Per chi è appassionato di post-punk, può essere disorien­tante non riconoscersi in una delle band più popolari del revival attuale, i Fontaines D.C. (l’ultimo album Skinty fia è finito in molte classifiche di fine anno). Ad alleviarmi un po’ da questo imbarazzo è stato il commento di una critica musicale quando ha detto che in fondo sono “una boy band post-punk”. Ho il sospetto che se qualcuno avesse detto che le Savages sono le Spice Girls del post-punk sarei insorta, e non ho mai pensato qualcosa del genere del bellissimo esordio degli Iceage nel 2011 o degli Interpol, che riportarono il genere alla gloria negli anni duemila.

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Non so cosa succede sul piano sentimentale, ancor prima che critico, per distinguere qualcosa che sa di artificioso e di messa in scena da qualcosa che invece vibra di sincerità nelle sue esplicite derivazioni dal passato, ma nell’ambito delle band italiane, in un territorio in cui il post-punk si mescola con pezzi di hardcore e di emo, viene in mente Fiesta, il solido esordio dei Leatherette. Passando a un genere che è tutto cuori tatuati ma nascosti sotto le giacchette di jeans, e in cui i primi R.E.M anticipano il grunge senza mollare del tutto la presa, lasciando i posteri a sbandare tra pop e rabbia, bisogna ascoltare The Wends, la band torinese un tempo nota come Smile. Suoneranno al prossimo South by Southwest di Austin e già con il secondo disco It’s here where you fall hanno avviato l’impresa: capire come pur navigando in un mare di riferimenti musicali così definiti e predatori, possono diventare anche loro una creatura a sé stante. ◆

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Questo articolo è uscito sul numero 1496 di Internazionale, a pagina 88. Compra questo numero | Abbonati