Luglio non è un mese che invita a dibattiti sulla musica, semmai può ispirare dei bilanci di metà anno su alcuni dei dischi più interessanti sentiti finora (Suono in un tempo trasfigurato di Bono/Burattini, Spira di Daniela Pes, che ha vinto la targa Tenco come migliore opera prima, e nell’emisfero opposto metterei anche L’amore di Madame). Quindi forse non ha senso commentare un pezzo uscito sulla rivista statunitense The Drift. Ma lo farò lo stesso, perché quell’articolo provoca fastidio anche a chi esula dalla musica prodotta e consumata negli Stati Uniti.

S’intitola Dream of Antonoffication – Pop music’s blandest prophet, e il profeta insipido in questione è Jack Antonoff, l’uomo ubiquo dietro le ultime produzioni kolossal pop di Taylor Swift e Lana Del Rey, oltre che musicista dei Bleachers, band di revival springsteeniano con i sintetizzatori.

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Per farla breve, nel pezzo l’autore sintetizza il marchio di fabbrica di Antonoff: un pop di gusto che si disperde come una nebulosa tra le autoradio, le serie televisive e i palchi dei Grammy, mettendosi sempre in modalità colonna sonora.

C’è una frase che mi ha colpito in particolare: “Avvicinatevi troppo ad Antonoff e il suo sound si volatilizza in una serie di elementi ordinari; allargate troppo la visuale, e svanisce nella generalità”. Leggendo questa frase, quanti produttori di musica urban italiana contemporanea vi sono venuti in mente?

C’è una tendenza che ha preso possesso dei pezzi da classifica troppo ambiziosi per essere “squalificati” come pop e basta, ma si sta avvicinando alla rarefazione totale. E poi, chissà che verrà. ◆

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Questo articolo è uscito sul numero 1520 di Internazionale, a pagina 80. Compra questo numero | Abbonati