In una bella casa della città vecchia di Tbilisi, Mali Guang­wen-Kandareli, un’elegente ottantenne, racconta la storia del nonno, un imprenditore cinese che più di un secolo fa introdusse in quest’angolo del Caucaso una cultura completamente nuova.

Alla fine dell’ottocento, Liu (Lao) Junzhou portò in Georgia uno dei più grandi tesori cinesi, il tè. Pochi anni dopo il suo prodotto, che in seguito sarebbe stato conosciuto come Lao Tea, vinse la medaglia d’oro all’Esposizione universale di Parigi del 1900. “Per essere precisi, la Cina non era presente all’esposizione per motivi politici, ma in ogni caso il tè di Lao vinse”, racconta Guangwen-Kandareli. “In Cina il tipo di tè prodotto in Georgia è chiamato tè rosso, ma qui cambiò colore e diventò nero”.

Fu così che cominciò l’età dell’oro del tè georgiano. L’industria si sviluppò rapidamente e la Georgia, in quanto parte dell’Unione Sovietica, si ritrovò a fornire la maggior parte del tè consumato dai sovietici. Il settore dava lavoro a centinaia di migliaia di persone e il paese diventò presto uno dei maggiori produttori del mondo.

Ma trent’anni fa tutto finì bruscamente. Con il crollo dell’Unione Sovietica, la Georgia perse l’unico mercato per il suo tè, ormai prodotto su scala industriale e molto peggiorato nella qualità. Solo negli ultimi anni alcuni piccoli imprenditori si sono dati da fare per restituirgli la gloria passata.

I semi dei pionieri

Il primo a coltivare il tè in Georgia fu il principe Mamia V. Gurieli, che intorno al 1809 aggiunse la pianta nel suo giardino botanico. Allora la Georgia faceva parte dell’impero russo. Il primo a tentare una vera coltivazione fu però un altro principe, Mikha Eristavi, che – secondo la leggenda – contrabbandò dei semi dalla Cina nel 1845. All’epoca l’impero cinese considerava il tè un prodotto d’importanza strategica e ne vietava l’esportazione. Malgrado gli sforzi, Eristavi non riuscì a ottenere il sostegno sperato nella capitale russa di allora, San Pietroburgo, e a procurarsi i fondi necessari per fondare un’impresa. La svolta arrivò nel 1893, quando l’imprenditore russo Konstantin Popov incontrò Lao Junzhou durante un viaggio in Cina. Popov invitò Lao in Georgia per piantare e lavorare il tè nella regione dell’Agiaria, sul mar Nero.

Stando al suo diario, Lao Junzhou – che era riuscito a creare una nuova varietà di tè adatta al clima locale – si presentò con mille semi, mille piante e dodici lavoratori.

Le piante non hanno nemici naturali: il freddo dell’inverno uccide insetti e batteri. Il tè georgiano è naturalmente biologico

Nel 1909 i progressi erano già così significativi che lo zar insignì Lao di un importante riconoscimento. Nel 1912 il suo tè vinse il primo premio all’esposizione botanica russa.

Poi arrivarono i sovietici.

All’inizio le cose funzionarono bene. Stalin destinò denaro e risorse e nel 1932 Ksenja Bakhtadze, una scienziata dell’istituto Anaseuli, creato dai sovietici nella città di Ozurgeti per studiare il tè e le culture subtropicali, fece un altro fondamentale passo avanti. Riuscì a creare 29 varietà dal “cespuglio madre” coltivato da Lao, adattandole alle diverse zone climatiche della Georgia e delle regioni vicine. Poco tempo dopo in tutte le aree di produzione intorno al mar Nero – in Azerbaigian, Turchia, Crimea e nella regione russa di Krasnodar – si usavano piantine provenienti dalle coltivazioni georgiane.

Negli anni cinquanta del novecento i sovietici decisero che la Georgia avrebbe fornito il tè all’intero paese. I dirigenti locali riponevano grandi speranze nel settore: immaginavano che il tè avrebbe arricchito il paese e pensavano che sarebbe stato il fondamento della sua economia.

In quel periodo, i coltivatori trovarono dei sistemi per accelerare il processo di fermentazione e meccanizzare la raccolta, piantando i cespugli di tè in filari e usando apposite rifilatrici. Per la lavorazione furono costruite enormi fabbriche circondate da nuovi villaggi. Secondo Zaur Gabrichidze, studioso del Centro di ricerca scientifica per l’agricoltura di Tbilisi, negli anni ottanta, all’apice della produzione, la Georgia raccoglieva circa 500mila tonnellate di foglie di tè all’anno, corrispondenti a 120mila tonnellate di tè essiccato, e forniva la maggior parte del tè consumato in Unione Sovietica, dando lavoro a 180mila persone in 150 impianti.

Negli anni settanta e ottanta le piccole piantagioni private avviate nell’ottocento sulle colline lungo la costa del mar Nero si erano trasformate in 60mila ettari a produzione intensiva. E la Repubblica Socialista Sovietica di Georgia era diventata una potenza internazionale dell’industria del tè. “Il paese era il quinto produttore del mondo, dopo Cina, India, Sri Lanka e Giappone”, spiega Zaur Gabrichidze, che ha lavorato per cinquant’anni all’istituto Anaseuli. I sovietici volevano massimizzare la quantità ed erano poco interessati alla qualità e al sapore, che si ottengono raccogliendo a mano le due o tre foglie più alte della pianta.

Con la meccanizzazione dei processi di produzione e raccolta, il tè georgiano inevitabilmente perse qualità. All’epoca la cosa importava poco, perché l’economia pianificata sovietica prevedeva che quasi tutto il tè coltivato in Georgia fosse consumato all’interno dell’Urss, dove i consumatori non avevano molta scelta. Con il tempo quel sistema si sarebbe rivelato insostenibile dal punto di vista economico.

La grande crisi

La produzione di tè s’interruppe bruscamente subito dopo il crollo dell’Unione Sovietica, nel 1991. Nei tre anni seguenti, a causa del caos dilagante, di alcune guerre in cui il paese si ritrovò invischiato e dell’impoverimento generale, la Georgia, nel frattempo diventata indipendente, perse l’85 per cento del pil. Le fabbriche di tè furono smantellate, le apparecchiature rubate e rivendute sotto forma di rottami di metallo nella vicina Turchia. Le piantagioni furono distrutte o abbandonate, e vennero lentamente invase dalle erbacce. Nel corso degli anni i cespugli di tè furono estirpati e sostituiti con noccioli o piante di granturco. La disoccupazione era alle stelle ovunque, ma le aree produttrici di tè – come la regione della Guria e la zona intorno alla città di Tkibuli – diventarono tra le più povere del paese. Il declino è durato per circa venticinque anni. Poi, mentre il paese tornava lentamente a vivere, anche il sogno di resuscitare la gloria del tè georgiano ha cominciato a riprendere vigore. E dai primi anni duemila molti piccoli imprenditori hanno provato a rilanciare le antiche coltivazioni e hanno investito nel tè. Per qualcuno la scommessa ha funzionato.

Nel 2017 a Tbilisi si è svolto il primo Festival del tè georgiano. Nello stesso anno il governo ha lanciato un programma speciale per contribuire a finanziare la rinascita di questa industria. Così sono stati recuperati più di mille ettari di vecchie piantagioni.

Ma il tè può davvero dare speranza alla Georgia? E riuscirà a recuperare la sua fama perduta?

“L’epoca della produzione intensiva è finita per sempre. Oggi bisogna creare un prodotto di ottima qualità”, spiega Lika Megreladze, proprietaria di Komli, una piccola azienda turistica legata al tè nella regione di Guria. “È una passione che ho ereditato dalla mia famiglia. Sono immersa nella cultura del tè fin dall’infanzia”, dice Megreladze, spiegando che la madre aveva studiato all’istituto Anaseuli. Nel giardino di casa coltiva sette varietà della pianta.

Clima e suolo

Ma cosa rende il prodotto georgiano tanto speciale in un mercato internazionale sempre più competitivo? Secondo la gente del posto, il merito è del clima subtropicale della Georgia occidentale, abbastanza caldo perché i cespugli di tè possano fiorire, ma con notti fresche e inverni rigidi che rallentano la crescita delle piante. La Georgia è il paese più settentrionale in cui si coltiva il tè.

“Il raccolto si concentra in un periodo di sei o sette mesi, per il resto del tempo i cespugli possono riposare in pace”, dice Tengiz Svanidze, presidente dell’associazione dei produttori georgiani. “Questo favorisce il gusto delicato, con meno tannino, e il sapore morbido che solo i tè di altissima qualità hanno”.

Inoltre, qui le piante non hanno nemici naturali, perché il freddo dell’inverno uccide insetti e batteri. Il tè georgiano è naturalmente biologico.

Da sapere
La produzione globale
I primi dieci paesi produttori di tè e il dato della Georgia, 2015 (Fonte: teahow.com)

“Il nostro tè nero è davvero eccezionale, molto aromatico. E quello verde è il migliore del mondo”, sostiene Svanidze. “Per noi l’unica strada è proporre prodotti di altissima qualità in piccole quantità”. Attualmente si calcola che nel paese le piantagioni di tè si estendano per circa tremila ettari, compresi i terreni non ancora del tutto recuperati. Sulla produzione non ci sono cifre ufficiali, ma le stime parlano di tremila tonnellate all’anno, di cui – secondo Svanidze – solo qualche centinaio è di buona qualità.

La Georgia è conosciuta in tutto il mondo per il suo vino, molto meno per il tè. “Siamo riusciti a preservare la cultura del vino artigianale perché si tratta di un prodotto indigeno. Ma il tè non lo è”, spiega Megreladze. “Per questo dobbiamo recuperare una produzione ormai secolare e trasformarla in una tradizione”.

Prima della pandemia in Georgia il turismo era in una fase di grande espansione, e cominciavano ad arrivare anche gli appassionati di tè. Com’era già successo per “la via del vino”, l’ente nazionale del turismo aveva promosso una “via del tè” nella regione di Guria per aiutare i visitatori a scoprire i migliori prodotti locali. “Specialmente i più giovani sono sorpresi di apprendere che la Georgia produce tè; ma i più anziani – in particolare i cittadini dell’ex Unione Sovietica e dei paesi comunisti dell’Europa orientale – ricordano ancora quando tutti bevevano il tè georgiano”, dice Megreladze. “Ora la cosa più urgente è inserire i nostri prodotti di qualità nel mercato locale”.

La via dell’eccellenza

Natalia Partskhaladze – amministratrice di Kona, una giovane azienda che vende tisane e tè artigianali – dice che c’è ancora molto lavoro da fare per valorizzare le eccellenze georgiane: “I consumatori georgiani sono piuttosto fedeli ai prodotti locali, ma il mercato per i prodotti esclusivi è molto limitato. All’estero, invece, il tè georgiano non è abbastanza conosciuto. Nel settore del vino pubblico e privato hanno lavorato insieme per far conoscere le etichette georgiane in tutto il mondo. Per il tè non è stato fatto nulla di simile”.

Mali Guangwen-Kandareli non si stanca mai di raccontare la storia di come suo nonno portò il tè in Georgia. “Il suo lavoro e i suoi successi non dovrebbero essere dimenticati”, dice alla fine della nostra conversazione. “Sarebbe una vergogna non approfittare delle eccezionali opportunità offerte dal terreno e dal clima della costa. Ma per promuovere la produzione in modo economicamente efficiente serve un grande sforzo”.

Vicende familiari a parte, Mali Guang­wen-Kandareli non si occupa di tè. È arrivata in Georgia per puro caso, dopo aver incontrato quello che sarebbe diventato suo marito – il pittore georgiano Givi Kandareli – a Pechino, molto tempo dopo la morte di Lao Junzhou in Cina.

Ed è probabilmente per un’altra coincidenza se la storia del tè georgiano oggi è di nuovo legata a Parigi, dove nel 1900, all’esposizione universale, per la prima volta Lao fece conoscere al mondo i suoi prodotti. Nel 2019 la famosa azienda di tè francese Mariage Frères ha comprato il tè di Kona per il suo negozio di Parigi. Un pacchetto da cento grammi di tè nero selvatico della regione di Guria, che Mariage Frères ha ribattezzato “il nirvana del tè nero”, costa 120 euro. È uno dei più cari al mondo. ◆ gc

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Questo articolo è uscito sul numero 1404 di Internazionale, a pagina 50. Compra questo numero | Abbonati