Lo storico Jungle train parte da Johor Bahru, nel sud della Malaysia, al calare della sera, diretto a Tumpat, nel nordest del paese, al confine con la Thailandia. Il treno diesel lascia la stazione con un forte scoppio e una serie di scintille che illuminano l’oscurità. La vecchia locomotiva argentata, probabilmente l’ultima del sudest asiatico, emette un fischio che riecheggia nella notte mentre il convoglio prende velocità sull’unica rotaia. I treni possono incrociarsi solo nelle stazioni più grandi, quelle con il doppio binario.

Nelle cuccette di seconda classe i letti a castello sono pronti e delle tendine turchesi garantiscono la privacy durante la lunga notte. L’Ekspres Rakyat Timuran, questo il nome ufficiale del treno, copre 538 chilometri in sedici ore. La ferrovia che attraversava la foresta vergine malese è stata costruita dai britannici a partire dal 1885. L’ultimo tratto è stato completato solo negli anni trenta del secolo scorso. La linea collegava le piccole cittadine di minatori e gli avamposti dell’amministrazione coloniale britannica.

Il rischio è che il Jungle train stia per compiere uno dei suoi ultimi viaggi. Nel 2026 sarà attiva la East coast rail link, una linea per l’alta velocità che sarà realizzata dalla Cina che collegherà il nord della Malaysia con la capitale Kuala Lumpur. Da lì sarà possibile raggiungere rapidamente anche il sud del paese.

Pokkeong Kwan fruga nelle grandi borse di plastica piene di piccole confezioni rosse. Ne tira fuori una. Ha poco più di 40 anni, sta andando dai suoi genitori a Jerantut e porta delle mooncake in regalo. Mi mostra sullo smartphone una foto dei dolcetti. Me ne offre uno e poi si ritira dietro la sua tenda. Dal russare, che sovrasta lo sferragliare del treno, si capisce che si è addormentata.

Tutto pieno

Le famiglie si sistemano negli scompartimenti letto. I bambini giocano ancora un po’ nel corridoio prima di sdraiarsi accanto alle mamme, che indossano tutte un hijab colorato. A ogni stazione aumentano i passeggeri. Anche in terza classe, dove ci sono solo posti a sedere, è tutto pieno. C’è una settimana di vacanze scolastiche e molti vanno a trovare i parenti.

Il treno si ferma a Jerantut alle cinque del mattino, a metà del viaggio. Alle spalle della cittadina addormentata si estende la foresta vergine più vecchia al mondo, quella del parco nazionale di Taman Negara, dove sono a rischio molte specie animali, come la tigre e fino a poco tempo fa il rinoceronte di Giava, ora estinto in Malaysia. Da qui comincia la giungla e la ferrovia vi si fa strada verso nord, costeggiando fiumi fangosi, una conseguenza dell’erosione.

“Le esplorazioni delle aziende minerarie hanno rilevato la presenza di diversi metalli rari sotto la foresta pluviale, una cosa interessante dal punto di vista economico. Diverse aziende si sono fatte avanti per l’estrazione”, spiega Theiva Lingam, dell’organizzazione per la salvaguardia dell’ambiente Sahabat Alam Malaysia. Un problema in un paese dove si è già deforestato tanto. “Naturalmente le aziende promettono che salvaguarderanno la foresta e l’ambiente”.

Il treno fischia per indicare che si parte per la cittadina successiva: Kuala Lipis, dove, in epoca coloniale, si estraeva oro. Il Jungle train si immerge in una foresta vergine dove sempre più spesso si vedono piantagioni di olio di palma.

Fazir Terengganu sta andando con la figlia di otto anni Faiqa a Kuala Lipis a trovare la famiglia. È un funzionario e conosce bene il territorio. Indica delle colline di sabbia in lontananza, completamente disboscate. “Anche lì saranno realizzate piantagioni di olio di palma. Una volta i binari erano circondati dalla giungla, adesso non più. Molte zone sono state disboscate e al posto degli alberi sono arrivate le palme”, dice. Il paesaggio lungo i binari è verde, ma del verde sbagliato. Negli ultimi vent’anni in Malaysia è stato disboscato il 18 per cento della foresta pluviale. Il paese è il secondo esportatore di olio di palma al mondo, usato ovunque, dagli alimenti ai cosmetici e ai carburanti. Dopo aver attraversato piantagioni di olio di palma per un’ora la vegetazione si trasforma in quella di una foresta pluviale: liane, felci, epifite che strangolano lentamente gli alberi, canne di bambù alte come case ed enormi piante tropicali. Il treno accelera e dal finestrino si vede scorrere una lunga striscia formata da varie tonalità di verde e da un po’ di marrone.

Il treno rallenta di nuovo, attraversa il fiume Lipis su un ponte in ghisa e poi ne segue il corso permettendo ai passeggeri di farsi un’idea migliore della foresta vergine in tutte le sue sfumature. Ma non ci vuole molto perché tornino a farsi vedere le piantagioni di olio di palma. Sembra il preludio di quello che la giungla deve aspettarsi in futuro. Negli ultimi anni sono stati messi dei limiti al disboscamento e alla trasformazione in terreno coltivabile, ma non un divieto. Kuala Lipis si avvicina. Alla fine dell’ottocento i britannici hanno trasformato questa piccola località, quindicimila abitanti, nella capitale del territorio federale di Pahang, status che ha perso nel 1957. La cittadina ha molti edifici in legno, ormai fatiscenti, risalenti all’impero britannico. Alla stazione, Terengganu e la figlia Faiqa mi salutano con la mano. L’imam chiama alla preghiera. Dev’essere anziano oppure un giovane inesperto: non riesce a mantenere l’intonazione, ma la cosa non pare disturbare nessuno. Sulla banchina, un anziano con una maglietta da calcio blu cammina avanti e indietro. Dallo smartphone che tiene in mano arriva il lungo fischio di una vecchia locomotiva a vapore e lui lo imita con entusiasmo.

Il vero fischio parte in crescendo, fino a imitare il suono deciso di un clarino. L’uomo alza lo sguardo felice. Poi il treno si dirige verso Gua Musang, a nord. Adesso tutte le viaggiatrici indossano l’hijab o il niqab, neri. Nel territorio federale di Pahang si segue solo l’islam. Invece nel sud della Malaysia e nel territorio federale di Kuala Lumpur sono presenti diverse etnie e religioni.

Per fortuna rimane ancora un po’ di foresta vergine. Ogni tanto il paesaggio si apre. Nella foresta si vedono rocce calcaree alte più di cento metri. Gli alberi sono riusciti ad affondare le radici anche nella pietra. La stazione di Gua Musang compare tra due di queste rocce, guardiane della porta della città. È circondata da piantagioni di olio di palma e di durian. Il disboscamento ha causato una forte erosione. Durante i temporali tropicali non ci sono più le radici dei giganti della foresta a trattenere l’acqua. “Qualche anno fa a Gua Musang c’è stata una terribile inondazione. Tutta l’area era sott’acqua. Negli ultimi tre mesi dell’anno questo problema si presenta sempre più spesso”, dice l’ambientalista Theiva Lingam. Secondo lei l’aumento delle piantagioni di durian promette poco di buono per quello che rimane della foresta.

Natura minacciata

Il treno riparte verso Dabong, dove finisce la foresta. Da lì mancano ancora due ore e mezza per arrivare a Tumpat, la stazione finale, sulla costa orientale. Tra non molto bisognerà ribattezzare il Jungle train in “treno dell’olio di palma”, visto il disboscamento. A una soluzione di questo tipo è arrivato anche il governo malese. “Ora chiamano foresta anche le piantagioni di olio di palma, dopo tutto anche le palme sono alberi” dice Lingam, indignata.

Yusuf Liu, che ha scritto molti libri sui treni nel sudest asiatico, ha un’idea diversa per salvare il Jungle train. Quello che conta è il denaro. Per lui il treno va ammodernato. Deve diventare come l’Orient express, con vagoni di lusso. “I turisti ricchi pagano volentieri per questo genere di cose”. La sua paura è che con l’alta velocità il Jungle train resti solo un treno locale che ferma in tutte le stazioni.

Quando il convoglio arriva a destinazione, ci siamo lasciati la giungla alle spalle ormai da un pezzo. È chiaro che le ultime parti di foresta pluviale non avranno vita facile, questo è ciò che insegna il viaggio in un paese che qualche decennio fa era ricoperto per la maggior parte dalla giungla. Mentre salgo in taxi il fischio risuona ancora una volta, forte e a lungo, come per salutarmi. ◆ vf

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Questo articolo è uscito sul numero 1594 di Internazionale, a pagina 74. Compra questo numero | Abbonati