Joe Biden è stato il vicepresidente di Barack Obama. La segretaria al tesoro di Biden, Janet Yellen, era stata scelta da Obama per dirigere la Federal reserve, la banca centrale statunitense. Il direttore del consiglio economico nazionale di Biden, Brian Deese, è stato vicedirettore di quello di Obama. Il capo di gabinetto di Biden, Ron Klain, è stato anche capo di gabinetto per i primi due anni dell’amministrazione Obama e poi suo principale consigliere per la lotta al virus ebola. E così via. Volti e nomi familiari possono far dimenticare quanto le due amministrazioni democratiche siano diverse tra loro. I problemi con cui fa i conti Biden sono opposti a quelli di Obama: il primo deve vedersela con una crisi di offerta, il secondo aveva dovuto affrontare una crisi della domanda.

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Per anni qualsiasi mia conversazione con gli economisti della presidenza Obama ha avuto al centro la necessità di convincere i datori di lavoro ad assumere e i consumatori a spendere. Lo stimolo economico del 2009 fu troppo scarso e, anche se si è evitata una seconda grande depressione, gli Stati Uniti sono sprofondati in una ripresa dolorosamente lenta. I democratici hanno fatto tesoro di quella lezione durante la pandemia. Hanno risposto alla crisi con un impeto fiscale travolgente, collaborando con l’amministrazione Trump nell’approvare il Cares act da 2.200 miliardi di dollari per i sussidi di disoccupazione, aggiungendoci l’American rescue plan da 1.900 miliardi di dollari, una legge sulle infrastrutture da mille miliardi e infine le varie proposte contenute nel piano Build back better sulle priorità sociali e ambientali. I democratici hanno preferito i rischi di un surriscaldamento economico – per esempio l’inflazione – alla minaccia di una disoccupazione di massa.

I democratici hanno fatto tutto il possibile per evitare la minaccia di una disoccupazione di massa

“Vogliamo raggiungere quella che gli economisti chiamano piena occupazione”, ha dichiarato Biden a maggio. “Non vogliamo lavoratori che competono l’uno con l’altro per pochi impieghi disponibili, ma datori di lavoro che competono tra loro per attirare manodopera”. Il fatto che ci siano riusciti è il segreto meglio custodito di Washington. Un anno fa gli analisti prevedevano una disoccupazione vicina al 6 per cento nell’ultimo trimestre del 2021. Invece è scesa al 3,9 per cento a dicembre, spinta dal maggiore calo annuale della disoccupazione nella storia degli Stati Uniti. I salari sono alti, nuove aziende nascono una dopo l’altra, e la povertà è scesa sotto i livelli precedenti alla pandemia. Dal marzo 2020 gli statunitensi hanno risparmiato almeno duemila miliardi di dollari in più del previsto. E questo non significa solo che i ricchi si sono ulteriormente arricchiti: uno studio della JPMorgan Chase ha rilevato che nel luglio 2021 il saldo medio dei conti correnti delle famiglie è stato del 50 per cento più alto rispetto agli anni prima della pandemia.

È facile immaginare la fiacca ripresa che noi statunitensi avremmo avuto se si fossero ripetuti gli errori del 2009 e del 2010. Invece abbiamo risposto alla pandemia con un vigore fiscale straordinario, forse eccessivo. Ci siamo battuti contro la recessione e abbiamo vinto. I problemi che abbiamo non dovrebbero nascondere i risultati positivi. E qualche problema, effettivamente, ce l’abbiamo. L’inflazione su base annuale è schizzata al 7 per cento, il massimo da decenni, e la variante omicron del virus che causa il covid-19 ha mostrato che l’amministrazione Biden non era preparata. Non ha colpa per la nuova variante, ma per la scarsità di test e di miglioramenti in materia di mascherine e ventilazione.

Le mie conversazioni con gli economisti dell’amministrazione Biden sono molto diverse da quelle avute durante l’amministrazione Obama, anche quando le persone sono le stesse. Oggi la conversazione è incentrata su quello che l’economia può produrre e quanto velocemente può essere consegnato. C’è bisogno di aziende che producano di più, e lo facciano più velocemente. C’è bisogno di più chip per produrre più automobili e computer. Servono porti per ricevere più merci; serve che la Pfizer produca più pillole antivirali; che gli spedizionieri assumano più camionisti e che le scuole aggiornino i loro sistemi di ventilazione. Alcuni di questi problemi paradossalmente sono lo specchio dei successi dell’amministrazione Biden. Nonostante tutti i discorsi sulle crisi di forniture e distribuzione, buona parte dei ritardi e delle carenze è il risultato di una domanda inaspettatamente alta, non dei disagi imposti alla produzione dalla pandemia. Le filiere sono costruite per garantire i beni che secondo le aziende saranno consumati in futuro. E le attese erano basse per il 2021: in parte perché gli analisti pensavano che la domanda sarebbe scesa in virtù del calo dell’occupazione e dei salari; in parte perché nessuno si aspettava una risposta fiscale così forte; e in parte perché non si era considerato che le persone, non potendo andare a cena fuori o al cinema, avrebbero comprato più cose. La spesa generale ha seguito più o meno le tendenze precedenti alla pandemia, ma il tipo di acquisti è cambiato: nel settembre 2021 gli statunitensi hanno comprato il 18 per cento in più di beni materiali rispetto al febbraio 2020.

Se le aziende potessero proteggere la loro forza lavoro più efficacemente, potrebbero produrre di più e consegnare più in fretta

Ora l’amministrazione Biden teme che i suoi problemi di offerta vanifichino i successi sulla domanda. Di recente Biden ha puntato il dito contro chi vorrebbe abbassare i prezzi e allo stesso tempo non aumentare i salari. “Se oggi i prezzi delle automobili sono troppo alti, ci sono due soluzioni”, ha detto Biden. “O si aumenta l’offerta di automobili producendone di più, oppure si riduce la domanda di automobili rendendo gli statunitensi più poveri. È questa la scelta. Credeteci o meno, ci sono molte persone che preferiscono la seconda ipotesi”. Ha ragione, ma si tratta di una battaglia concreta, non solo ideologica, e la Casa Bianca sta facendo alcuni errori.

L’amministrazione soffre della cattiva gestione delle forniture legate al covid-19. Ha lavorato in maniera straordinaria nei primi mesi, inondando il paese di vaccini, che però non sono l’unico strumento per tutelare la sanità pubblica. L’American rescue plan prevedeva circa venti miliardi di dollari per la distribuzione dei vaccini, circa cinquanta miliardi per aumentare i test, e ancora di più per adattare le aule in modo che insegnanti e studenti si sentissero al sicuro. Dove sono andati a finire quei soldi?

Se gli statunitensi si sentissero più protetti, potrebbero anche comprare servizi invece di oggetti. E se le aziende potessero testare e proteggere la loro forza lavoro più efficacemente, potrebbero produrre di più e consegnare più in fretta. Ma l’amministrazione Biden non si è pienamente calata nel suo ruolo di pianificatore economico. Quando a dicembre alla portavoce della Casa Bianca, Jen Psaki, è stato chiesto delle carenze di test, lei ha risposto: “Cosa dovremmo fare, spedirne uno in ogni casa?”. La replica maligna di Psaki è presto diventata la politica di Biden. L’amministrazione sta lanciando un sito in cui ogni famiglia può richiedere quattro test gratuiti. È un buon inizio, ma nulla più. Perché i test rapidi funzionino, le persone devono poterli fare costantemente. Ma visto che l’amministrazione non ha creato la fornitura di test di cui aveva bisogno mesi fa, non ce ne sono abbastanza da comprare. Uno dei motivi di questo insuccesso è l’incapacità dell’Agenzia per gli alimenti e i medicinali (Fda) di approvare molti test già venduti in Europa.

Lo stesso vale per le mascherine. Ogni statunitense dovrebbe poter ritirare una scorta illimitata di mascherine N95 (simili alle Ffp2 europee) in ogni ufficio postale, biblioteca o sportello della motorizzazione civile. Invece le persone le comprano contraffatte su Amazon o indossano quelle di tessuto che sono molto meno efficaci. L’amministrazione Biden si sta convincendo a fornire le mascherine. Ma bisogna fare di più. Che ne dite della ventilazione? Ma che ne è dell’aumento e dell’accelerazione nella produzione di vaccini necessari a coprire tutto il mondo e a evitare nuove varianti? Che ne è dell’impegno per riuscire a produrre più pillole antivirali?

Per decenni le amministrazioni, sia democratiche sia repubblicane, hanno creduto che il mercato potesse gestire l’offerta. Quella visione del mondo ormai è superata, ma è sopravvissuta così a lungo che Wash­ington ha perso l’energia e la fiducia necessarie a gestire l’offerta, almeno quando si tratta di cose che non siano le spese militari. Può darsi che non fosse preparata a un simile scenario. Ma è con questo che deve fare i conti. ◆ ff

EZRA KLEIN
è un giornalista statunitense. È stato tra i fondatori di Vox. È un editorialista del New York Times, dov’è uscito questo articolo, e conduttore del podcast The Ezra Klein Show .

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Questo articolo è uscito sul numero 1444 di Internazionale, a pagina 32. Compra questo numero | Abbonati