Il modo migliore per smantellare il governo federale degli Stati Uniti e trasformarlo in uno strumento di potere personale e di scontro ideologico è colpire i bersagli più facili. I sussidi e i fondi per l’esercito rappresentano più di metà dell’intera spesa pubblica e buona parte delle frodi e degli sprechi dell’amministrazione, ma godono di un sostegno popolare troppo grande perché Elon Musk possa tagliarli senza incontrare resistenza. Al contrario, non c’è niente di più impopolare che mandare miliardi di dollari dei contribuenti in paesi poveri, lontani e sconosciuti, spesso con grandi problemi di corruzione. Gli statunitensi disprezzano profondamente gli aiuti all’estero, al punto da essere convinti che costituiscano un quarto del budget federale (nell’ultimo anno fiscale non hanno superato l’1 per cento). Il presidente John F. Kennedy aveva capito il problema, tanto che dopo aver creato l’Agenzia degli Stati Uniti per lo sviluppo internazionale (Usaid), nel 1961, disse ai suoi collaboratori: “Vogliamo legare il concetto degli aiuti alla sicurezza degli Stati Uniti. Questo è il motivo per cui aiutiamo gli altri paesi. Il punto è capire se farà i nostri interessi. ‘Aiuti’ non è una parola adeguata. Forse sarebbe meglio parlare di ‘assistenza reciproca’”. In un’altra riunione, Kennedy suggerì di usare l’espressione “sicurezza internazionale”.

Allungare la vita

L’Usaid ha continuato a esistere per più di sessant’anni, perché i leader del Partito repubblicano e del Partito democratico erano convinti che gli sforzi per eliminare la poliomielite, combattere la fame nel mondo, rafforzare la democrazia e aprire nuovi mercati avrebbero fatto gli interessi degli Stati Uniti. Questo fino al 20 gennaio 2025, quando Donald Trump si è insediato alla presidenza e ha subito firmato un ordine esecutivo per bloccare gli aiuti all’estero. I dipendenti dell’Usaid hanno ricevuto l’ordine di interrompere ogni attività. Gli smanettoni del dipartimento per l’efficienza del governo (Doge), gestito da Elon Musk, hanno occupato la sede di Washington dell’Usaid e hanno avuto accesso ai dati personali dei dipendenti. Gavin Kilger, un’ingegnere informatico di 25 anni, ha mandato un’email a tutti i dipendenti dell’Usaid dicendogli di non presentarsi in ufficio.

I collaboratori esterni sono stati licenziati e i dipendenti sono stati messi in congedo a tempo indeterminato. A quelli impegnati nelle missioni all’estero sono stati concessi trenta giorni per tornare negli Stati Uniti con le famiglie. Avendo ricevuto l’ordine di non parlare di quello che stava succedendo, i dipendenti dell’Usaid hanno usato pseudonimi e chat criptate per informare il mondo esterno. Mentre mi scrivevo su Signal con alcuni funzionari del governo avevo la sensazione che si trovassero a Mosca o a Teheran. “Hanno preso il controllo in modo autoritario”, mi ha raccontato uno di loro. “Devi stare attento a tutto quello che dici e che fai, è disgustoso”. Il sito usaid.gov è stato improvvisamente bloccato, per poi tornare online con un comunicato scarno che annunciava lo smantellamento dell’agenzia, seguito da un laconico “grazie per il vostro lavoro” (ora sul sito c’è un testo che dà ai dipendenti istruzioni per recuperare le loro cose dagli uffici). Un dipendente che lavorava da tanti anni per l’agenzia lo ha definito un “atto brutale da parte di un idiota ventenne che non sa niente di niente. Che cazzo ne sanno del mio lavoro?”. Parallelamente è partita una campagna di comunicazione per coprire la valanga di bugie e distorsioni della realtà da parte della Casa Bianca e di Musk. Sul suo social network X, l’uomo più ricco del mondo ha definito l’Usaid “un’organizzazione criminale e malvagia”. Andando a vedere ciò che veniva contestato all’agenzia, si trattava quasi sempre di falsità, esagerazioni o di casi isolati di progetti inutili, come se ne trovano in ogni organizzazione.

Alla radice dell’attacco all’Usaid c’è il disprezzo di Trump per qualsiasi cosa somigli anche vagamente alla cooperazione tra il debole e il forte

Un programma che consente a centinaia di giovani birmani appartenenti alle minoranze di studiare nelle università del sudest asiatico è stato attaccato dai collaboratori di Musk solo per via del suo nome – “programma di borse di studio per la diversità e l’inclusione” – come se i soldi andassero agli studenti di sinistra invece che ai profughi rohingya perseguitati da un regime militare genocida. L’ortodossia delle amministrazioni precedenti richiedeva una terminologia di questo tipo, mentre quella dell’amministrazione attuale ha messo fine al percorso di studi dei ragazzi birmani costringendoli a tornare in un paese che li opprime. Uno degli ordini esecutivi di Trump ha come titolo “difesa delle donne contro l’estremismo dell’ideologia gender e ripristino della verità biologica all’interno del governo federale”. La Casa Bianca ha anche sospeso i corsi di formazione online pagati dal dipartimento di stato che permettevano a circa mille donne afgane di studiare, sfuggendo al controllo dei taliban. Negli Stati Uniti quasi nessuno ha idea di cosa sta succedendo. Per un giornalista combattere le bugie diffuse dall’algoritmo di Musk è come cercare di spegnere un incendio con un annaffiatoio.

Senza dipendenti e fondi, l’Usaid ha dovuto mettere fine ai suoi programmi in tutto il mondo, come le campagne vaccinali in Nepal, la distribuzione di farmaci per l’hiv in Nigeria o la distribuzione di aiuti alimentari nei campi profughi in Sudan. Il segretario di stato Marco Rubio – che da senatore aveva sostenuto l’Usaid mentre oggi, come capo provvisorio dell’agenzia, ha il compito di sopprimerla – ha cercato di correggere il tiro esentando i progetti che aiutano a salvare vite; ma il tentativo si è rivelato del tutto inutile perché i dipendenti indispensabili per potare avanti i programmi non hanno potuto accedere ai loro computer, si sono ritrovati senza strumenti per comunicare e oggi temono di subire ritorsioni se dovessero riprendere a lavorare.

L’agenzia è passata da diecimila dipendenti a trecento ed è stata di fatto assorbita dal dipartimento di stato. Il funzionario con cui ho parlato gestisce un programma ridotto all’osso che ormai si occupa solo di assistenza alimentare e sanitaria (in precedenza si occupava anche di istruzione, protezione dell’ambiente, assistenza governativa, sviluppo economico). Con il ridimensionamento voluto dalla Casa Bianca, anche i programmi puramente umanitari saranno quasi impossibili da portare avanti. Per tutta l’Africa, per esempio, è previsto uno staff di appena dodici persone. “Parliamo dell’infrastruttura e dell’architettura che ci hanno permesso di raddoppiare l’aspettativa di vita”, mi ha spiegato Atul Gawande, scrittore e chirurgo che è stato il più recente (e probabilmente l’ultimo) direttore dell’Ufficio per la salute globale dell’Usaid. “Sopprimerle significa uccidere esseri umani”.

Lo smantellamento dell’Usaid è una sorta di esperimento di guerra lampo, come aveva fatto Hitler inviando carri armati e bombardieri contro l’indifesa Polonia per capire cosa avrebbe funzionato meglio prima di attaccare le potenze occidentali. L’assalto contro l’agenzia ha fornito un modello per svuotare il resto della burocrazia federale, evidenziando nel frattempo il radicalismo delle idee di Trump sul ruolo degli Stati Uniti nel mondo.

Kornidzor, Armenia, 25 settembre 2023 (Nanna Heitmann, Magnum/Contrasto)

Coercizione brutale

Tutti i presidenti del passato, da Franklin D. Roosevelt a Barack Obama, hanno capito che un impegno a favore delle alleanze, delle istituzioni e dei valori condivisi dal popolo statunitense – libertà, pluralismo e umanitarismo – avrebbe rafforzato la posizione degli Stati Uniti nel mondo. Questa era l’idea alla base del piano Marshall voluto da Harry Truman per l’Europa dopo la seconda guerra mondiale, dell’Usaid creata da Kennedy, del programma per i rifugiati voluto da Jimmy Carter e del piano di emergenza per l’aids introdotto da George W. Bush. In nessun caso si trattava di semplice generosità ma di iniziative pensate per evitare che il caos e la miseria travolgessero altri paesi, danneggiando indirettamente anche gli Stati Uniti. Con questi programmi Washington è riuscita a espandere la propria influenza senza imporre direttamente la propria volontà politica. È quello che gli esperti chiamano soft power.

Tutti i presidenti che ho citato hanno finito per tradire queste idee in un modo o nell’altro, trasformando la politica estera statunitense in un bersaglio facile per le critiche, in patria e all’estero, da destra e da sinistra. Kennedy ha usato gli aiuti internazionali per portare avanti una sanguinosa guerra controrivoluzionaria nel Vietnam del Sud, Carter ha messo i diritti umani al centro della sua politica estera e poi ha brindato con lo spietato scià dell’Iran e Bush ha gravemente danneggiato l’immagine internazionale degli Stati Uniti con la scusa di voler esportare la democrazia in Medio Oriente. Anche l’Usaid ha commesso degli errori, mantenendo spesso un atteggiamento antagonistico e arrogante nei confronti dei governi e delle popolazioni locali. “Abbiamo contribuito alla nostra rovina”, ammette un funzionario esperto. “Abbiamo sprecato soldi in aree in cui non era necessario”.

L’arrivo di aiuti umanitari statunitensi. Guiuan, Filippine, 2013 (Bryan Denton, The New York Times/Contrasto)

Ma la verità è che l’alternativa all’ipocrisia del soft power non avrebbe mai potuto essere una politica estera umile e accorta, né il sogno della sinistra che immagina gli Stati Uniti come una sorta di grande Norvegia né quello della destra di un ritorno all’isolazionismo degli anni venti. Gli Stati Uniti sono troppo grandi e potenti e hanno un concetto di sé troppo messianico per andare verso un ridimensionamento volontario.

La scelta per la superpotenza americana è sempre stata tra un espansionismo “illuminato”, con tutti i suoi difetti, e una coercizione brutale.

Manifestazione contro i tagli all’Usaid. Washington, 5 febbraio 2025 (Valerie Plesch, The New York Times/Contrasto)

Oggi Trump sta mostrando al mondo cosa sia la coercizione brutale. Invece di negoziare con il Canada e il Messico, il presidente impone la volontà statunitense attraverso i dazi. Invece di rafforzare la Nato, la attacca e minaccia un conflitto con uno degli stati più piccoli e pacifici dell’alleanza, la Danimarca. Invece di migliorare il modo in cui sono stanziati gli aiuti all’estero, li cancella umiliando le persone che li amministrano e ignorando la catastrofe umanitaria che ne verrà. Alla radice dell’attacco all’Usaid c’è il disprezzo di Trump per qualsiasi cosa somigli anche vagamente alla cooperazione tra il debole e il forte. “Prima l’America” è una dottrina più imperialista che isolazionista, ed è per questo che Trump cita spesso il repubblicano William McKinley, che guidò il paese tra la fine dell’ottocento e l’inizio del novecento con una politica fortemente protezionista. Il presidente sfrutta il sostegno di un miliardario con idee tecno-futuriste per riportare gli Stati Uniti alla fine dell’ottocento, quando l’amministrazione statale era una rete clientelare e la dottrina delle grandi potenze poggiava interamente sulla forza militare ed economica.

Trump sta liberando il paese e se stesso dalle norme restrittive – lo stato di diritto in patria e l’ordine basato sul diritto internazionale all’estero – sostituendole con un approccio utilitaristico sintetizzato dalla domanda: io che ci guadagno? Il presidente sta demolendo in modo unilaterale il soft power degli Stati Uniti, avvicinandoli pericolosamente a paesi come Cina, Russia e Iran. È per questo che la distruzione dell’Usaid è stata accolta con entusiasmo a Pechino, a Mosca e a Teheran.

Un pezzo di terra

Gestire la politica internazionale come una continua transazione ha un fascino evidente. Sbarazzarsi delle noiose cortesie su cui si basano le relazioni multilaterali e gli aiuti all’estero significa introdurre una certa chiarezza nella diplomazia e far capire dove sta la forza, un po’ come fa un lottatore di wrestling quando mostra i muscoli prima di salire sul ring. Una volta liberi da ogni vincolo, gli Stati Uniti potrebbero imporre la loro volontà ai paesi vicini e agli alleati più deboli, o almeno convincere il mondo di essere in grado di farlo.

Tra i primi paesi a essere colpiti c’è stata la Colombia, contro cui Trump ha usato la minaccia di dazi commerciali per costringere il governo di Bogotá ad autorizzare il rimpatrio di migranti espulsi dagli Stati Uniti. Il controllo che Trump esercita sull’informazione attraverso la propaganda gli permette di convincere l’opinione pubblica di aver ottenuto una vittoria anche quando, come nel caso del Canada, non c’è mai stata davvero una disputa. Se la Nato dovesse sciogliersi e gli Stati Uniti dovessero prendere il controllo della Groenlandia, molti statunitensi penserebbero di aver ottenuto una vittoria totale: avrebbero conquistato un pezzo di terra nell’Atlantico e allo stesso tempo risparmiato soldi, liberandosi di un’alleanza i cui benefici non erano del tutto chiari.

Non è facile capire in che modo le borse di studio per gli studenti birmani oppressi favoriscano gli interessi nazionali statunitensi, mentre è piuttosto semplice capire i vantaggi di una manovra prepotente per imporre le proprie pretese a un paese più piccolo. E se il paese più piccolo dovesse covare rancore, pazienza. Chi ha detto che la gratitudine tra stati è indispensabile? La forza ha un fascino tanto perverso quanto innegabile. Buona parte degli statunitensi ha fatto pace con l’idea che Trump sia presidente, non perché sia diventato più moderato ma perché è all’apice del suo potere e lo usa senza preoccuparsi delle conseguenze. Si chiama venerazione del potere. Dopo l’invasione dell’Ucraina, il presidente russo Vladimir Putin si è guadagnato l’ammirazione in alcuni paesi del sud globale, oltre che dell’estrema destra statunitense, mentre i discorsi di Joe Biden sui valori democratici sono sembrati deboli e ipocriti. La legge secondo cui “il più forte ha sempre ragione” è la base della vita politica in diversi paesi del mondo. In Nigeria o in India il fenomeno Trump non ha bisogno di essere spiegato.

Dalla Siria

◆ In due campi del nord della Siria – Roj, 2.600 abitanti, e Al Hol, 40mila abitanti – vivono le mogli e i figli dei combattenti del gruppo Stato islamico di una cinquantina di nazionalità diverse. La sicurezza di quei campi è a rischio, dopo l’annuncio dei tagli agli aiuti esteri dell’amministrazione Trump. La loro sorveglianza è affidata ai combattenti curdi dell’amministrazione autonoma locale e ai dipendenti di aziende private, come la Blumont e la Proximity International, pagate con i fondi del dipartimento di stato di Washington. Parte di questi fondi è stata bloccata, causando una carenza di provviste e farmaci, e alimentando le tensioni tra gli abitanti dei campi e chi li gestisce. Il rischio che i campi siano chiusi, e quindi che i familiari dei jihadisti rientrino in Europa, ha già messo in allarme le autorità di paesi come Germania e Francia. Mediapart


Porte chiuse ai rifugiati

Trump riesce a imporre la sua visione del mondo anche grazie all’apatia e alla miopia del popolo statunitense. La raffica di ordini esecutivi di Trump e l’attacco di Musk contro il governo federale hanno l’obiettivo di seminare il caos più totale, per confondere le idee anche alle persone più attente e coinvolte. Dal punto di vista di un’opinione pubblica disattenta, a Washington è in corso semplicemente uno scontro tra burocrati e rottamatori. Se il governo comincia a comportarsi come le grandi potenze del passato e come i rivali geopolitici di oggi, la maggior parte degli statunitensi non noterà una differenza nella sua vita, a meno che il paese non entri in guerra.

Aiuti da Washington
I dieci paesi che hanno ricevuto più aiuti dall’Usaid, 2023, milioni di dollari (FOREIGNASSISTANCE.GOV)

Secondo Rubio, l’obiettivo del congelamento degli aiuti è eliminare i programmi che non favoriscono “gli interessi nazionali”. Gawande ha paragonato questo modo di procedere all’idea di fermare un aereo in volo licenziando l’equipaggio per verificare l’efficienza della compagnia aerea. Quello che sta succedendo a Washing­ton ci permette di comprendere facilmente il funzionamento del soft power e dimostra che i programmi di aiuti sono effettivamente utili per gli interessi nazionali. Cancellare i programmi per l’assistenza sanitaria in Africa, per esempio, rende quasi impossibile il monitoraggio della recente epidemia di ebola in Uganda e la prevenzione di un contagio nel resto del mondo. In molti paesi, inoltre, la fine degli aiuti apre la porta ai prestiti predatori e alla propaganda della Cina. “Il mio lavoro consisteva letteralmente nel contrastare la Cina, fornendo assistenza allo sviluppo con un sistema più vantaggioso e amichevole per la popolazione locale, sottoposta alle pressioni di Pechino”, mi ha raccontato un funzionario dell’Usaid. Quando si cancellano programmi come quello che avrebbe permesso a settanta studenti afgani di frequentare le università statunitensi, i valori come la libertà e il pensiero indipendente perdono un po’ della loro attrattiva. “I giovani che simpatizzano con gli Stati Uniti e condividono i nostri valori migliori non sono più i benvenuti, gli abbiamo sbattuto la porta in faccia”, mi ha detto l’amministratore di un’università che aveva accolto alcuni degli studenti afgani.

Molti statunitensi non vogliono credere che il loro governo stia togliendo farmaci salvavita ai malati in Africa o che si sia rifiutato di aiutare gli afgani che si sono sacrificati per gli interessi americani. Vogliono la fine degli aiuti internazionali, ma vogliono anche che i bambini affamati vengano nutriti. Questa ingenua generosità è il motivo per cui Trump e Musk hanno fatto il possibile per inondare la rete di falsità e nascondere l’impatto della loro crudeltà. Il reale ostacolo alla scomparsa del soft power americano non è il congresso, non è la burocrazia e non sono nemmeno i tribunali: è l’opinione pubblica.

Dall’Europa orientale
Redazioni a rischio

◆ Vari mezzi d’informazione dell’Europa orientale sono preoccupati per il taglio dei fondi dell’Usaid. Come scrive in un rapporto l’ong Reporters sans frontières (Rsf), nel 2023 l’Usaid ha garantito una formazione e sostegno economico a 6.200 giornalisti, 707 giornali e 279 organizzazioni della società civile impegnate a rafforzare i mezzi d’informazione indipendenti. Il Financial Times fa l’esempio di Meduza, un sito russo di giornalismo d’inchiesta, costretto a trasferirsi in Lettonia per sfuggire al bavaglio e alle intimidazioni di Mosca. La fine dei fondi dell’Usaid costringerà Meduza a lottare ancora una volta per la sopravvivenza, racconta l’editrice del sito Galina Timčenko al Financial Times, visto che la direzione dovrà tagliare circa il 15 per cento del personale e diminuire gli stipendi.

Il sito georgiano OcMedia, che pubblica notizie in inglese sui paesi del Caucaso, rischia la chiusura, visto che perderà 250mila dollari di finanziamenti. I tagli degli Stati Uniti arrivano in un momento difficile per i mezzi d’informazione nel Caucaso che cercano di contrastare la propaganda del Cremlino.

“Molti giornali nazionali e locali in tutta la regione chiuderanno nelle prossime settimane e mesi. Potremmo assistere all’estinzione dell’intero panorama dell’informazione del Caucaso”, ha dichiarato Dominik Cagara di OC Media. Secondo Rsf, la situazione è particolarmente grave in Azerbaigian, Russia e Georgia.


Uno dei programmi più popolari negli Stati Uniti è quello che si occupa dell’accoglienza dei rifugiati. Per decenni gli statunitensi hanno aperto le porte a persone scappate da varie zone del mondo, dagli ebrei europei dopo la seconda guerra mondiale ai vietnamiti dopo la caduta di Saigon, fino agli afgani dopo il ritorno dei taliban al potere. I rifugiati seguono una trafila diversa dalla maggior parte dei migranti: alla fine di un percorso burocratico che in alcuni casi dura anni, arrivano negli Stati Uniti legalmente e si inseriscono grazie all’aiuto di sponsor locali. Ma per Trump e per Stephen Miller, il suo principale consigliere in materia di immigrazione, non esiste nessuna differenza tra i rifugiati e i migranti che attraversano illegalmente il confine. Il vortice di decreti e comunicazioni interne di Trump ha provocato la sospensione del processo di valutazione delle richieste d’asilo e l’interruzione dei finanziamenti per accogliere i rifugiati, ma la notizia è passata quasi inosservata.

Ecco un esempio di cosa comporta la chiusura del programma per l’accoglienza. Un capitano delle forze speciali afgane che ha prestato sevizio al fianco degli statunitensi mi ha raccontato che nel 2021, quando Kabul stava ormai per cadere, aveva impedito ai taliban di impossessarsi delle armi statunitensi che erano nell’aeroporto. Ma al momento dell’evacuazione era stato abbandonato. Arrestato dal nuovo regime, è stato imprigionato per nove mesi e torturato brutalmente. Nel 2023 è riuscito a rifugiarsi con la famiglia in Pakistan ed era in attesa di una risposta alla sua richiesta di asilo. Poi è arrivato Trump. Il capitano aveva sentito dire che il nuovo presidente aveva criticato l’amministrazione Biden per aver abbandonato gli equipaggiamenti militari in Afghanistan. Dato che lui aveva contribuito a evitare che le armi cadessero in mani nemiche, era convinto che la nuova amministrazione avrebbe apprezzato il suo lavoro. “Pensavo che mi avrebbero ritenuto una persona di valore, allineata con i loro piani”, mi ha raccontato. “Ero certo che avrebbero permesso a me e alla mia famiglia di metterci al sicuro”. Dopo aver pagato le conseguenze dell’inettitudine di Biden, oggi il capitano è vittima della crudeltà di Trump.

Dall’Afghanistan
Economia in bilico

◆ Più della metà dei 40 milioni di abitanti dell’Afghanistan dipende dagli aiuti internazionali per sopravvivere. Finora gli Stati Uniti sono stati la principale fonte di assistenza umanitaria al paese, per un ammontare di 3,71 miliardi di dollari, erogati attraverso le agenzie delle Nazioni Unite e altre organizzazioni, tra cui l’Usaid. Gli effetti dei tagli statunitensi si fanno già sentire, scrive il ricercatore Amin Saikal su The Conversation. Un importante programma per formare ostetriche è stato chiuso. Sono state sospese le lezioni all’università americana in Afghanistan e nelle “scuole segrete”, dove centinaia di ragazze afgane hanno continuato a studiare dopo che il regime dei taliban gli ha vietato di frequentare la scuola dopo la prima media. Gli effetti del taglio agli aiuti si faranno sentire sull’intera economia, scrive il sito Tolonews: “L’Afghanistan è uno degli otto paesi al mondo più dipendenti dagli aiuti statunitensi. Un rapporto del Center for global development, un centro studi di Washington, stima che la sospensione dei programmi dell’Usaid causerà una riduzione del 7 per cento della crescita economica afgana. Gli abitanti di Kabul sono preoccupati per le ricadute economiche e per la disoccupazione, e chiedono alle autorità di assisterli, in particolare durante il Ramadan, appena cominciato. Il ministero degli esteri di Kabul ha invece minimizzato l’effetto dei tagli”.


Continuare a pregare

La lealtà e la compassione non sono qualcosa di estraneo all’identità statunitense, e il tradimento di questi valori comporta costi che non possono essere facilmente quantificati. L’amministrazione Biden aveva creato un programma chiamato Welcome Corps, che permetteva ai cittadini statunitensi di contribuire al sistema di accoglienza (mia moglie e io ne abbiamo fatto parte). In Pennsylvania un pensionato, Chuck Pugh, aveva formato un gruppo di sponsor per consentire l’arrivo di una famiglia afgana. L’ultimo esame medico è stato completato appena prima della cerimonia di insediamento di Trump. Quando il programma per l’accoglienza è stato bloccato all’improvviso, Pugh è rimasto sconvolto: “Mi chiedo che genere di persone siamo davvero, noi statunitensi. So cosa vorrei credere, ma non sono sicuro che la mia idea corrisponda alla realtà”.

Del gruppo di sponsor fa parte anche la sorella di Pugh, Virginia Mirra, che come il marito è una cristiana devota e una convinta sostenitrice di Trump. Quando le ho chiesto cosa pensasse della sospensione del programma per i rifugiati, mi è sembrata sorpresa e delusa. Non ne sapeva niente. “Mi rattrista”, mi ha confessato. “Mi disturba. Sto cominciando a rendermi conto di cosa significhi. Questa gente è in pericolo. Magari è prevista un’esenzione per le persone come loro. Cosa possiamo fare?”.

Suo marito manda spesso a Trump spille con la bandiera statunitense. Le ho suggerito di invitarlo a scrivere una lettera al presidente per avere notizie della famiglia afgana che sarebbe dovuta arrivare in Pennsylvania. “Parlerò con lui stasera”, mi ha risposto. “Intanto continuerò a pregare affinché Dio protegga gli afgani e li porti in questo paese, in qualche modo. Credo ancora nei miracoli”. ◆ as

George Packer è un giornalista e scrittore statunitense. Ha lavorato per il New Yorker e l’Atlantic. In Italia ha pubblicato L’ultima speranza. Ascesa e declino dell’America (Mondadori 2023).

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it

Questo articolo è uscito sul numero 1604 di Internazionale, a pagina 48. Compra questo numero | Abbonati