Dopo le paternali del ministro a chi fugge dal proprio paese portandosi dietro i figli, sono giunte all’opinione pubblica altre sfiziose ipotesi su come dissuadere i migranti dal partire. C’è chi ha suggerito di chattare con loro per avvertirli che il viaggio non sarà rilassante, e forse verrà anche a piovere. Altri rimproverano agli scafisti di descrivere ai migranti un’Italia migliore di quella reale, alimentando illusioni destinate poi a infrangersi: recensioni negative sulla nazione da parte dei sovranisti, guardate cosa ci capita di ascoltare. Ma l’avvertimento definitivo, quello che mi attendevo perché a incolpare il piccolo schermo prima o poi ci caschiamo tutti, è stato: non dovete credere a quello che vedete in tv, l’Italia non è un varietà da prima serata. Questo è evidente, semmai è un grande talk show in cui si litiga con ostinazione. Ma in passato, prima che i social network le scippassero il primato in tema di comunicazione, la tv, con le sue ricche scenografie, le telepromozioni, le musiche leggere e le donne libere di cantare e ballare (meno libere di parlare), ha sicuramente contribuito a imporre il profilo di un paese gioioso e opulento, scandito da applausi e risate. Ricordo un alberghetto a Tunisi, con un folto gruppo di uomini incantato da uno show di Raffaella Carrà, dal suo stile disinvolto. Mi chiesero se per caso la conoscessi. Dissi di no, “ma è come se”, che era la risposta che forse si attendevano. ◆

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Questo articolo è uscito sul numero 1503 di Internazionale, a pagina 86. Compra questo numero | Abbonati