Tra le associazioni di telespettatori ce n’è una molto agguerrita, l’Aiart, nata nel 1953, d’ispirazione cattolica, la cui missione è monitorare ciò che viene trasmesso e, nel caso, invocare la censura. In questi tempi così favorevoli alle mordacchie, a farne le spese è uno spot, colpevole non di diffondere false informazioni ma di scherzare con i santi. In breve: una suora sostituisce le ostie con delle patatine, il parroco ignaro celebra l’eucarestia e una sorella, assaporato il corpo croccante di Cristo, s’illumina d’immenso. Il claim finale, sulle note di Schubert, recita: “Amica chips, il divino quotidiano”. L’associazione lancia l’accusa di blasfemia, seguita da social e testate, e il Comitato per l’autodisciplina pubblicitaria ordina con inedita rapidità di non trasmettere lo spot. L’incontro tra immaginario clericale e pubblicità non è nuovo. La Lavazza, per citarne uno, ha ambientato i suoi spot in paradiso e assunto san Pietro a testimonial, e negli anni settanta Carosello affidò a un simpatico gruppo di frati un po’ alticci la reclame dell’amaro Dom Bairo. Certo, un conto è ironizzare sulle persone, un altro è rappresentare la transustanziazione nella forma mondana di uno snack. Eppure lo stupore e l’espressione di vaga estasi della suora è una sobria riedizione delle celebri iconografie barocche dove spirito e carne si elevavano all’unisono. Ma oggi forse anche i riferimenti al passato paiono pericolosamente moderni. ◆

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Questo articolo è uscito sul numero 1558 di Internazionale, a pagina 86. Compra questo numero | Abbonati