Benché esistano ancora i creazionisti (e in alcuni ambienti siano forse in crescita), l’idea di evoluzione per selezione naturale è diffusa e conosciuta. Lo è molto meno quella di “selezione sessuale”, con cui Darwin volle spiegare la presenza dei “caratteri ornamentali”, come la coda del pavone o i colori di certe farfalle. In questo saggio preciso e brillante Daniele Derossi, biologo e romanziere, spiega le ragioni di questo diverso successo collegando storia della scienza, storia della moda e dei rapporti di genere. La spiegazione degli “ornamenti” dei maschi sulla base delle preferenze di gusto delle femmine della specie, esposta da Darwin in L’origine dell’uomo (1871) incontrò infatti due ostacoli: da un lato, l’ostilità di alcuni scienziati (come il coautore della teoria dell’evoluzione Wallace, che vedeva quegli ornamenti come sintomo di forza fisica), dall’altro, il trionfo della “grande rinuncia maschile”, la tendenza cominciata dal seicento che portò gli uomini a vestirsi in modo scuro e uniforme. In questo clima vittoriano l’idea di maschi che esibivano la loro bellezza e di donne che li sceglievano risultava poco condivisibile. Dagli anni settanta alcuni studi la sostengono con nuovi argomenti, mostrando che le teorie scientifiche non nascono nel vuoto, ma, come spiega Derossi “operano in un tempo e in un luogo, e da quel tempo e da quel luogo sono inevitabilmente influenzate”. ◆

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Questo articolo è uscito sul numero 1643 di Internazionale, a pagina 90. Compra questo numero | Abbonati