I video hanno cominciato a circolare all’improvviso, soprattutto su WhatsApp e sui social network. Mostravano quelli che sono stati soprannominati “gli zombi di Kinshasa”: persone che, per alcuni minuti, sembrano quasi paralizzate o si muovono al rallentatore. La polizia non ci ha messo molto a scoprire cosa c’era dietr0: una nuova droga chiamata bombé.

“È un’epidemia”, afferma uno degli investigatori che si occupano del caso. La crisi ha attirato l’attenzione anche del governo della Repubblica Democratica del Congo (Rdc). Alla fine dell’estate il presidente Félix Tshisekedi è intervenuto a un consiglio dei ministri per discutere della nuova droga. Ci tiene a dimostrare che non intende starsene con le mani in mano.

Ma la rapidissima diffusione della bombé è soprattutto il sintomo dei problemi di un paese malato e di una megalopoli, Kinshasa, che per molti abitanti è diventata ostile. Nelle classifiche internazionali la capitale congolese è regolarmente tra le città meno vivibili al mondo, agli ultimi posti insieme a Damasco e a Baghdad.

Un velo davanti

Nel quartiere di Selembao, uno dei più malfamati della città, quattro ragazzi sono seduti in un cortile nascosto. Hanno davanti una lastra di vetro con sopra della polvere marroncina. Accanto stanno sbriciolando delle pasticche bianche. Poi mischiano le due sostanze. “Le pasticche servono a stimolare l’appetito. Se non le mettiamo, rischiamo di non mangiare per due giorni”, spiegano i ragazzi.

Con una lametta da barba ricavano dal mucchietto di polvere tre linee sottili, come si fa con la cocaina. Si passano la lastra per sniffare a turno. La polvere restante la fumano mischiandola al tabacco delle sigarette. Inizialmente i ragazzi sono euforici, ma dopo un po’ cominciano a muoversi sempre più lentamente.

Probabilmente i quattro giovani sono a conoscenza del contenuto di quella polvere: i residui e il rivestimento interno dei catalizzatori delle auto. Li raschiano via dalle vecchie auto e poi li trasformano in droga. “Non ci interessa cosa c’è dentro”, ammettono. In fondo non hanno nulla da perdere. “La bombé ci aiuta a dimenticare tutto. In occidente la gente ha i soldi in banca, io non ho niente. Con la bombé diventa tutto più facile”, dice uno di loro. È come avere un velo davanti, raccontano. Per il costo di appena un dollaro.

A Kinshasa con la stessa somma non si può fare molto: mangiare in un ristorante di livello medio costa intorno ai trenta dollari. Gli affitti nei quartieri benestanti superano quelli delle città tedesche di Monaco e Francoforte. Kinshasa è tra le città più care del mondo, almeno per i residenti stranieri. In giro si vedono molti ricchi che percorrono le ampie strade del quartiere degli affari con i loro suv.

Pezzi da contrabbandare

In realtà l’economia è allo sbando e la ricchezza generata dalle abbondanti materie prime congolesi finisce nelle tasche delle élite. La classe media è inesistente. La maggior parte dei quindici milioni di abitnati di Kinshasa non ha un lavoro né un salario fissi. Con la pandemia di covid-19 la precarietà è ulteriormente aumentata. Non è un caso, quindi, che la bombé sia diventata un fenomeno di massa proprio di questi tempi. Al gradino più basso della società di Kinshasa ci sono i kuluna (dal portoghese coluna, “colonna”, intesa come colonna di fanteria), i teppisti: un esercito di giovani che per guadagnare qualcosa si affiliano alla piccola e media criminalità organizzata. Tra loro, la polvere che porta all’oblio spopola.

Kinshasa, 15 settembre 2021 (Arsène Mpiana Monkwe, Der Spiegel)

Per i kuluna la pikation, la fase di totale stordimento che raggiungono da seduti, distesi o anche in piedi, è la felicità assoluta. “In quei momenti non ci sono per nessuno. È il sonno più profondo che si possa immaginare”, racconta una persona che ne fa uso. Altri descrivono un passaggio da uno stato di euforia a uno di calma, durante il quale non si hanno più pensieri.

La bombé non dà allucinazioni, nessun viaggio colorato come quelli provocati da altre droghe. È semplicemente il nulla, spiegano alcuni ragazzi e ragazze. E a Kinshasa è sufficiente. Su Facebook e Twitter circolano video che mostrano persone in questo stato. Alcuni kuluna dicono di usare la droga prima degli scontri tra bande. “È una sostanza estremamente pericolosa”, spiega Patrice Milambo Kapia, il direttore del Programma nazionale di lotta alle dipendenze e alle sostanze tossiche. “Può causare danni al cuore e ai polmoni, e alla lunga può portare al cancro”. Sono già stati registrati diversi decessi legati al consumo di bombé. Le sostanze che vengono dai catalizzatori sono particolarmente pericolose, avverte Milambo.

Nelle marmitte catalitiche delle auto si accumulano residui di ossido di zinco, platino e rodio. In un laboratorio di Anversa, in Belgio, si sta studiando come funzionano e che effetti hanno queste sostanze. Ci sono ancora molti punti oscuri da svelare, ma gli esperti ritengono plausibile che le polveri estratte dai catalizzatori inneschino delle reazioni chimiche con le altre componenti della droga.

Un capitano di polizia che preferisce rimanere anonimo ci illustra i risultati di un’analisi eseguita da un laboratorio di Kinshasa. Oltre all’indicazione “catalizzatore”, compaiono i nomi di sostanze come tramadolo, dolaren, nitrile, ampicillina. A volte si trovano anche tracce di eroina. “Passo dopo passo le indagini hanno portato alla luce un numero crescente di elementi. I consumatori ci hanno indicato gli spacciatori e i produttori”, racconta l’investigatore. Quest’estate i poliziotti hanno raccolto i frutti del loro lavoro: hanno arrestato quasi un centinaio di persone. Tra i presunti organizzatori del traffico di catalizzatori, ci sarebbero anche tre cittadini tunisini. In alcune botti di plastica nel loro nascondiglio sono stati trovati dei pezzi estratti dall’interno delle auto.

La maggior parte dei quindici milioni di abitanti di Kinshasa non ha un lavoro fisso. Con la pandemia la precarietà è aumentata

Gli accusati si sono difesi dicendo che quel materiale doveva essere portato in Germania per essere riciclato, ha riferito la polizia. I trafficanti guadagnano fino a 200 dollari per un chilo di questa polvere. In altri paesi c’è un fiorente contrabbando di residui dei catalizzatori, soprattutto per la presenza di metalli nobili come il platino e il rodio. Ma il fatto che quelle polveri siano usate per produrre stupefacenti ha colto gli inquirenti di sorpresa.

Un meccanico di Kinshasa mostra come lavorano i trafficanti. Tiene in mano un catalizzatore che ha smontato da poco da un’auto. All’interno, invece del filtro di ceramica, ci sono dei fili metallici, mentre all’esterno si possono vedere delle saldature, segno che la marmitta è stata aperta e richiusa. “Spesso in questi traffici sono coinvolti anche dei meccanici”, racconta. “Tolgono il catalizzatore dalle auto in riparazione nelle loro officine o parcheggiate davanti agli hotel. Poi estraggono il filtro e al suo posto mettono un groviglio di fili metallici, in modo che la marmitta non faccia un rumore troppo diverso dal solito”. Il meccanico ha avuto vari clienti con auto in queste condizioni. Ai danni per la salute di chi assume la bombé, si sommano quelli provocati all’ambiente dalle marmitte truccate.

Samy Moyo, del consiglio nazionale dei giovani, non intende restare a guardare. Dirige un progetto che cerca di offrire delle alternative a chi ha sviluppato la dipendenza dalla bombé. In un’aula sono radunati decine di ex kuluna. Chi non trova posto si mette ad ascoltare da fuori, attraverso le finestre. Un insegnante racconta come si prepara un campo per la semina. “Insegniamo ai giovani delle tecniche agricole. Alla fine del corso ognuno riceverà un appezzamento di terra dal governo”, spiega Moyo. I campi da coltivare non mancano nella Rdc, che è un paese enorme.

L’offerta è allettante. Ai consumatori abituali di bombé è richiesto di trasferirsi in campagna. Possono tenere per loro il 75 per cento dei raccolti, mentre il restante 25 per cento va allo stato. Ci guadagnano tutti. In più, chi aderisce al progetto riceve da subito una forma di stipendio. “Ho smesso di farmi di bombé perché ora ho una prospettiva”, dice Plamedi Lama, 23 anni. Ma c’è chi non ha ancora ricevuto il pezzo di terra promesso. “Se fosse una bugia, torneremmo in città a farci di bombé. Cos’altro ci resta?”, dicono Lama e i suoi amici. A casa ha una moglie e un figlio. La maggior parte dei kuluna ha commesso reati gravi: furti, omicidi, violenze. Loro stessi sono sorpresi da questa seconda opportunità.

Il governo sta portando avanti una grande campagna contro la droga. Per dimostrare che s’impegna ha perfino fatto stampare delle magliette con messaggi contro l’abuso di sostanze. Ma nella pratica le cose sono complicate. “Abbiamo ricevuto i terreni dal governo, ma non le sementi o gli attrezzi per coltivarli”, fa notare Moyo, il direttore del progetto. “Come si fa a cominciare così?”. Lui e i ragazzi hanno manifestato piantando delle tende davanti al ministero responsabile del programma. Ma finora i risultati sono stati scarsi. Alcuni ragazzi che partecipavano al programma hanno ricominciato a drogarsi. Uno di loro è morto.

Intanto le autorità mostrano il pugno di ferro nella lotta contro la nuova droga. Chi la produce o ne fa uso rischia dure pene carcerarie. Le cento persone arrestate ad agosto sono state presentate alle autorità cittadine e ai giornalisti sedute per terra, mentre politici e poliziotti li squadravano dall’alto al basso, accomodati su sedie al riparo dal sole. Difficile trovare un’immagine più esemplificativa delle differenze sociali a Kinshasa. Un parlamentare congolese ha perfino promesso di pagare cento dollari di tasca propria a chi consegna i trafficanti di bombé.

Olga Kithumbu prova a portare avanti la battaglia con altri metodi. Con la sua voce squillante guida da una parte un gruppo di donne e dall’altra uno di uomini. Quest’assistente sociale ha imparato a farsi rispettare dai kuluna, abituati a obbedire solo ai capibanda. Kithumbu lavora per un programma di disintossicazione dalla bombé chiamato Comunità sobrie. È riuscita a salvare 250 uomini e donne, dice. Oggi queste persone raccolgono i rifiuti nelle strade di Kinshasa in cambio di un modesto compenso.

Beatrice è una delle ragazze che hanno partecipato al programma: “Avevo un banchetto al mercato e prendevo la bombé. Un giorno mi sono addormentata e non ho sentito più nulla. Quando mio figlio mi ha svegliata, mi avevano rubato tutto. Ho deciso che era arrivato il momento di smettere”. Racconta che quando era in astinenza le tremava tutto il corpo, un sintomo descritto da altri consumatori.

“La bombé non attira solo i ragazzi e i bambini di strada”, dice Valentin Vangi, direttore del programma. “Si sono rivolti a noi anche poliziotti e imprenditori. Tutti assumono la bombé per dimenticare i loro problemi”. E di problemi la Rdc è piena, aggiunge. Nell’est decine di milizie combattono contro le forze del governo, e sferrano attacchi contro la popolazione civile: è ufficialmente in corso una guerra. Le conseguenze economiche si avvertono anche nella capitale. Questo è terreno fertile per la diffusione di una droga a buon mercato che aiuta a dimenticare. ◆ nv

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Questo articolo è uscito sul numero 1437 di Internazionale, a pagina 61. Compra questo numero | Abbonati