Dopo un anno di disoccupazione, Han Jinzhong, 34 anni, si è ritrovato con in mano un cacciavite elettrico in una catena di montaggio della Cina nordoccidentale. Per otto ore al giorno stringe una vite, scansiona un codice qr e attiva una videocamera per verificare il lavoro. Poi lo rifà ancora e ancora, per 1.500 volte a ogni turno.
Han è uno dei quarantamila operai di uno sterminato complesso industriale a Jixian, una cittadina del comune di Xi’an nella provincia dello Shaanxi, e oggi fulcro della strategia produttiva della casa automobilistica Build your dreams (Byd). Nel 2024 Jixian è stata la prima tra le città dove la Byd ha costruito uno stabilimento – e la prima di tutta la Cina – a produrre più di un milione di veicoli, cementando il ruolo dell’azienda tra le maggiori case automobilistiche del paese.
“I lavori come questo li chiamiamo ‘girare le viti’”, racconta Han. I turni massacranti sono una componente dell’implacabile corsa cinese nella produzione di auto elettriche, quella che ha permesso alla Byd di superare la Tesla nelle vendite trimestrali e al paese di produrre più di dieci milioni di vetture nel 2024.
Le fabbriche della Byd a Xi’an, che si estendono per chilometri e danno lavoro a più di centomila persone, sono al cuore di questo boom. Lontani dagli eleganti showroom delle metropoli e dai centri dell’innovazione sulla costa orientale, i governi locali di tutta la Cina si stanno rapidamente riorganizzando per soddisfare la crescente domanda di veicoli elettrici.
All’inizio, le grandi città come Shanghai e Shenzhen hanno fatto da apripista sfruttando le loro infrastrutture industriali e la loro potenza finanziaria per attirare le case produttrici.
Ora il cuore della competizione si è spostato verso l’interno del paese. Hefei, nella provincia orientale dell’Anhui, per esempio, ha investito miliardi per diventare il quartier generale della Nio, tra le aziende principali per volume di vendite di auto elettriche, e attirare in città case produttrici e fornitori. Yibin, nella provincia sudoccidentale del Sichuan, ha conquistato la Catl, il più grande produttore al mondo di batterie per veicoli elettrici, con l’evidente obiettivo di rafforzare l’economia locale. E Liuzhou, nella regione autonoma di Guangxi Zhuang, nel sud del paese, ha puntato su piccole auto elettriche a basso costo con incentivi statali. Queste iniziative stanno trasformando placide regioni agricole in distretti industriali, e insieme alle fabbriche cresce anche il loro peso sulle cittadine della zona, sui chi ci lavora e su chi ci vive.
Davanti ai cancelli dello stabilimento della Byd, Jixian brulica di nuove attività commerciali – sale da tè, chioschi di noodles e sale da biliardo –, in gara tra loro per attirare gli operai in tuta blu che arrivano a ogni cambio di turno. Per molti residenti le fabbriche significano nuove opportunità, ma anche un nuovo genere di dipendenza dai ritmi della catena di montaggio. Alcuni lo chiamano progresso; altri si rammaricano che l’ecosistema autosufficiente della Byd – con i suoi barbieri, le sue palestre e i suoi minimarket – trattenga all’interno dei cancelli della fabbrica gran parte della vita quotidiana.
“Il lavoro può essere massacrante, ma è sicuro e offre anche alcuni vantaggi per quanto riguarda la previdenza sociale”, racconta Han.
Di notte nelle strade di Jixian cala il silenzio. Le luci dello stabilimento si estendono fino all’orizzonte, e le vetture prodotte qui provocheranno cambiamenti in tutto il mondo. Per l’industria cinese dei veicoli elettrici Jixian è una storia di successo, un microcosmo delle ambizioni del paese. Ma per i suoi abitanti, e ora per le migliaia di operai della Byd, questa nuova prosperità è legata a obiettivi di produzione e turni interminabili: un memento costante del prezzo da pagare per il progresso.
Reclutare, lavorare, ripetere
Han non ha mai incontrato chi l’ha aiutato a trovare il suo impiego alla catena di montaggio. Ha letto per caso il post di un dipendente della Byd su Xiaohongshu, un popolare social network, che annunciava assunzioni nella fabbrica di Jixian. “Non trovavo lavoro, la mia famiglia mi faceva pressioni e non riuscivo a pagare i contributi previdenziali. Questa persona ha detto che poteva presentarmi, così gli ho mandato nome, numero di telefono e dati della carta d’identità”, racconta Han. Qualche settimana dopo, era in fabbrica. E a quel punto si è reso conto che reclutare sconosciuti faceva parte del lavoro. Il sistema di assunzioni della Byd compensa i dipendenti che procurano nuove leve: tremila yuan (poco meno di 400 euro) per lo sponsor e duemila per la persona da assumere, purché resti almeno tre mesi. È un sistema semplice che ha trasformato i dipendenti in reclutatori informali. Su Xiaohongshu la sezione dei commenti trabocca di reazioni entusiastiche: “Posso partecipare?”, “I turni di notte sono obbligatori?”, “Quanto posso guadagnare al mese?”, “Si lavora da seduti o in piedi?”.
“Chiunque può essere assunto”, sostiene Han. “I miei colleghi vengono da contesti di ogni tipo, gig economy, ristorazione, edilizia. Basta avere un diploma di scuola media”.
In media alla Byd gli addetti alla catena di montaggio guadagnano quattromila yuan al mese, il doppio del reddito pro capite nei villaggi. Secondo Yang Yan, un agente di collocamento di Xi’an, poche aziende possono competere con la Byd in termini d’impiego a lungo termine e prestazioni di previdenza sociale.
Anche Meng Yao, 24 anni, è arrivato alla Byd nel settembre 2024 tramite un impiegato reclutatore. Come Han, è venuto a “girare le viti” perché è stato attirato dalla prospettiva di un salario sicuro e di altri benefit. Ma non c’è solo la busta paga. Meng soffre di una rara patologia oculare che lo costringe a costose terapie, e sua madre ha un debilitante disturbo lombare. L’assicurazione medica della Byd coprirà un futuro intervento chirurgico per salvargli la vista.
Questa promessa di stabilità ha attirato a Jixian migliaia di lavoratori. La Byd ha assunto almeno 20mila abitanti della zona e molti altri, come Han, sono arrivati dalle province vicine. Nei villaggi intorno a Xi’an i giovani che in passato erano stati costretti a partire per trovare un’occupazione in città lontane ora tornano a casa e vanno a lavorare alla catena di montaggio.
“I giovani sono arrivati tutti con la Byd”, racconta Ren, una parrucchiera sulla quarantina. Una parte della fabbrica oggi occupa quello che era il castagneto della sua famiglia. Sette anni fa ha venduto senza troppe esitazioni il terreno per quarantamila yuan al mu (un mu equivale a circa 600 metri quadrati) . “I giovani non hanno più voglia di lavorare la terra, preferiscono trovare un posto fisso”, aggiunge. Oggi Ren gestisce un negozio di barbiere al centro di Jixian, un’attività resa possibile dalla costante presenza di dipendenti della Byd. La sua piccola bottega è solo uno dei 594 negozi che oggi costellano Jixian e la vicina città di Jiufeng, sei volte di più che nel 2018.
Wang Miao e sua moglie gestiscono l’unico caffè della città. Un tempo avevano una casa da tè, ma hanno cambiato perché la concorrenza aumentava. Malgrado qualche inconveniente, il locale riesce a sopravvivere. Queste attività, per quanto modeste, fanno parte di una promettente microeconomia alimentata dalla rapida espansione della Byd. All’alba, agricoltori convertiti al commercio si presentano davanti ai cancelli della fabbrica per offrire la colazione alle migliaia di lavoratori del cambio turno. Novelli imprenditori investono i risparmi in iniziative rivolte alle tute blu. Anche un insegnante del liceo locale è stato visto mentre arrotondava vendendo i kiwi del suo orto ai dipendenti della Byd.
Jixian si trova poco lontano da Xi’an, l’antica città celebre per l’esercito di terracotta e per la via della seta, che partiva da qui, e fa parte della contea di Zhouzhi, conosciuta come “la capitale cinese del kiwi”. La trasformazione di Jixian è cominciata appena sei anni fa, nel 2018, quando la Byd la scelse per farne il suo nuovo distretto produttivo. Quella che era cominciata come una fabbrica monofase si è ingigantita fino a raggiungere le dimensioni di quasi trecento campi da calcio. L’acquisto dei terreni dagli agricoltori ha richiesto solo 14 giorni, una “velocità record”, come si legge in un rapporto del governo.
Nel 2021 l’espansione inesorabile della fabbrica aveva già surclassato la stessa Jixian. L’impianto dà lavoro a più di 40mila dipendenti e ha superato la popolazione della città, che conta 37mila abitanti. Oggi la Byd è la casa automobilistica cinese con il maggior valore di mercato, 839 miliardi di yuan (più di 110 miliardi di euro) e Jixian ha avuto un ruolo cruciale per il suo successo. Nel 2022 Xi’an per un breve periodo era diventata la principale città cinese per la produzione di vetture elettriche, battendo Shanghai e Shenzhen. Quell’anno la Byd ha venduto 1,86 milioni di nuovi veicoli, per quasi la metà prodotti nello stabilimento di Xi’an.
Eppure i residenti non sanno dire esattamente perché sia stata scelta proprio Jixian. La spiegazione più frequente è che la terra qui costa meno, perché di bassa qualità, e l’irrigazione scarseggia, quindi l’agricoltura è poco redditizia. Per la Byd, Xi’an ha un valore simbolico perché è il luogo dove ha cominciato a produrre automobili. L’azienda, che originariamente si occupava soprattutto di batterie al litio, è passata alle vetture dopo aver acquistato una fabbrica di auto di Xi’an nel 2003. Con l’aumento della domanda l’azienda si è ampliata e le fabbriche di auto sono diventate il suo progetto più ambizioso. Dietro questa rapida crescita c’è una rete di supporto del governo che va dai sussidi ad accordi agevolati sui terreni, un chiaro esempio della capacità dello stato di trasformare le economie rurali. Tra il 2011 e il 2018 le autorità locali hanno destinato 1,18 miliardi di yuan alle attività della Byd a Xi’an, mentre gli aiuti del governo centrale tra il 2020 e il 2022 hanno aggiunto alle casse dell’azienda altri 6,6 miliardi di yuan.
Interi ecosistemi
La Byd ha anche saputo avvantaggiarsi della grande forza lavoro del paese, una risorsa cruciale per la sua crescita dopo il 2020, l’anno in cui il mercato delle auto elettriche è decollato. Tra l’agosto e l’ottobre 2024, l’azienda ha assunto quasi 200mila operai, e oggi ha superato i 900mila dipendenti. Ma questa è solo metà dell’opera. Mantenere motivate queste migliaia di persone è essenziale in un mercato caratterizzato da turni massacranti e un elevato ricambio.
La risposta della Byd consiste nel costruire non semplici fabbriche, ma interi ecosistemi, in modo di agganciare la vita dei dipendenti all’orbita dell’azienda con servizi, alloggi e scuole, cancellando i confini tra occupazione e comunità. “La Byd include tutto: lì si lavora, ci si sposa tra colleghi, si guidano le sue auto, si vive nella sua comunità e si mandano i figli alle sue scuole”, recita L’anima dei tecnici, un libro pubblicato per il trentesimo anniversario dell’azienda, che continua: “Per questo i dipendenti sentono che entrare alla Byd non significa solo trovare un lavoro, ma avviarsi insieme verso un futuro condiviso”.
◆ Oggi più della metà delle auto nuove vendute in Cina è elettrica. Ma questa rapida trasformazione sta mettendo in difficoltà le officine per le riparazioni. A differenza dei veicoli a benzina, quelli elettrici funzionano con sistemi complessi. Ripararli richiede non solo conoscenze meccaniche, ma anche strumenti di precisione, test rigorosi e un insieme di competenze completamente nuove. Poche officine sono attrezzate per gestire il cambiamento in corso e la formazione è costosa, lunga e spesso non riesce a tenere il passo con le novità. Ora che la prima ondata di veicoli elettrici è fuori garanzia, i consumatori si lamentano delle opzioni di riparazione limitate e dei tempi di attesa. Entro quest’anno il settore dei veicoli elettrici avrebbe avuto bisogno di 1,2 milioni di lavoratori, ma ne mancano all’appello più di un milione, di cui l’80 per cento nei servizi di assistenza e riparazione. Lo squilibrio è impressionante. La Cina ha 397mila officine di riparazione per veicoli a benzina, ma meno di ventimila specializzate nei veicoli elettrici. Si tratta di poco più di un centro di assistenza ogni mille auto elettriche in circolazione. Inoltre i lavoratori formati per gestire le riparazioni dei veicoli elettrici oggi sono meno di centomila, poco competenti nel testare le batterie, nell’analisi dei dati e le tecnologie di guida autonoma. Le aziende stanno intervenendo con una formazione pratica e un aumento delle retribuzioni, ma il cambiamento è lento e milioni di veicoli elettrici sono già in circolazione: il seguito della “rivoluzione elettrica” cinese dipenderà dalla capacità di formare abbastanza personale qualificato per mantenerli in funzione. Sixth Tone
Il libro è stato distribuito gratuitamente a tutti gli addetti, compresi gli operai della catena di montaggio come Han e Meng, anche se nessuno dei due aveva abbastanza tempo – o energia – per leggerlo attentamente. Per Meng Yao la vita in fabbrica è un ciclo continuo che non ti lascia il tempo e la voglia di approfittare dei campi sportivi, delle palestre o delle case da tè. “Sono qui da due mesi e ho a malapena mangiato fuori, perché quando finisco sono così esausto che voglio solo buttarmi a letto”, dice.
È un ritmo imposto dalla necessità. Con un salario di base di appena duemila yuan al mese, Meng conta sugli straordinari per far quadrare i conti. Può portare le sue entrate mensili a circa seimila yuan, ma deve restare in piedi per turni di dieci ore accanto alle saldatrici, protetto solo da una sottile mascherina antipolvere, e sopportare un rumore assordante e il rischio di ustioni provocate dalle scintille. Ma assicurarsi ore di straordinario può accendere forti tensioni. Han racconta che tra i colleghi spesso scoppiano discussioni perché le opportunità sono limitate.
Malgrado la faticosa routine, Meng considera la Byd “umana”, soprattutto in confronto al suo vecchio lavoro alla Foxconn, il grande fornitore della Apple. Incalzato, non riesce a spiegare cos’è che gli sembra umano in questa esperienza. “Forse è così per i tecnici in tuta bianca”, ammette alla fine, alludendo alla rigida gerarchia della Byd, dove i dipendenti sono classificati con lettere dalla A alla I. Gli operai come Meng e Han sono identificati con H o I, lontani dalle gratifiche dei dipendenti di grado superiore. “In ogni caso, è così che funziona. Con gente come noi, se resti o te ne vai, se sei vivo o morto, per loro non fa differenza”, dice Meng.
Fuori dei cancelli della Byd, le attività di Jixian sono legate ai ritmi della fabbrica, e le loro fortune salgono, e sempre più spesso scendono, con il flusso di lavoratori e di salari. “I negozi spuntano rapidamente ma scompaiono altrettanto in fretta”, dice Ren, la parrucchiera. Ricorda che un decennio fa il suo salone era “pieno ogni giorno dall’alba al tramonto” perché era l’unico della città. All’epoca il centro brulicava di persone libere dai rigidi orari della vita di fabbrica, mentre oggi, in un tranquillo pomeriggio di novembre, ha avuto solo due clienti. “Gli operai una volta venivano in città a fare spese”, dice Ren. “Ma ora che la Byd ha i suoi negozi e le sue strutture dentro lo stabilimento, non si fanno più vedere”.
Il ritmo della città rispecchia gli orari della fabbrica. Ogni mattina gli autobus elettrici verde chiaro scivolano sulle strade silenziose per portare in fabbrica gli operai del turno di giorno. Mentre loro timbrano il cartellino, i colleghi del turno di notte escono lentamente e si fermano ai chioschi lungo la strada prima di ritirarsi nei loro dormitori. A metà mattina le strade sono di nuovo silenziose. La scena si ripete al tramonto. Anche se il turno di giorno termina alle 17.30, molti operai si trattengono per gli straordinari, perciò nei ristoranti e nei dormitori l’attività ferve solo per poco. Sale giochi, sale da biliardo e internet café si animano nei fine settimana con i giovani lavoratori in cerca di una breve fuga. Ma nei giorni feriali domina un silenzio inquietante.
Nei dormitori della fabbrica Han guarda l’andirivieni degli operai intorno a sé. Il letto vuoto accanto al suo gli ricorda il ricambio continuo: il suo occupante è partito, forse per andare a lavorare in un’altra azienda. “Mi piace la vita comunitaria”, dice Han. “Ma qui non ho molto in comune con nessuno”. Anche se sono circondati da migliaia di colleghi, sia Han sia Meng ammettono di non sentirsi in sintonia con il mare di tute blu che riempie la fabbrica. Han si considera solo di passaggio. Spera di sfuggire alla ripetitività della catena di montaggio, e punta a un ruolo nella pubblica amministrazione o a una promozione come caposquadra, ma ammette che la strada è incerta.
Meng non è sicuro del suo prossimo passo. “Voglio diventare un creatore di contenuti”, dice sognando un futuro dentro Douyin, com’è conosciuto in Cina TikTok. Intorno, i suoi colleghi parlano di matrimonio e videogiochi, argomenti che sente lontani. “Si sono abituati troppo alla vita in fabbrica e tutte le loro aspirazioni sono lentamente svanite”. Eppure Meng continua a sperare. “Un giorno comprerò una casa, avrò un’auto che mi piace e troverò stabilità”, dice. “Ho solo bisogno di una buona occasione”. ◆ gc
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Questo articolo è uscito sul numero 1604 di Internazionale, a pagina 62. Compra questo numero | Abbonati