All’inizio di giugno i siriani hanno distolto la loro attenzione dal nuovo coronavirus per concentrarsi su un evento che avrebbe inciso direttamente sulle loro vite e sulle loro condizioni: l’entrata in vigore negli Stati Uniti del Caesar act.

La legge, firmata dal presidente statunitense Donald Trump a dicembre del 2019 ed entrata in vigore il 17 giugno, prevede misure punitive per chiunque sostenga il regime del presidente Bashar al Assad. Prende il nome da un disertore dell’esercito siriano che, con lo pseudonimo Caesar, nel 2014 fece trapelare circa 55mila fotografie in cui si vedevano i corpi di 11mila detenuti uccisi sotto tortura nelle carceri del regime. L’Fbi statunitense confermò che non c’erano prove di manipolazione digitale e che le immagini erano autentiche. All’epoca le foto suscitarono lo sdegno dell’opinione pubblica.

Le sanzioni riguardano qualunque tipo di sostegno al regime siriano – economico, materiale o tecnico – e colpiscono i suoi alleati stranieri e i gruppi militari che lo appoggiano. Riguardano anche i singoli individui che forniscono servizi o informazioni per aiutarlo, direttamente o indirettamente, a mantenere o espandere la produzione di petrolio e gas, l’aviazione e il settore dell’ingegneria e delle costruzioni. Le sanzioni prevedono il sequestro delle proprietà, il divieto di espatrio e multe.

Nel mirino delle sanzioni ci sono anche alcuni esponenti di spicco del regime, inclusi Assad e sua moglie, oltre a molti ufficiali dei servizi di sicurezza, dell’esercito, dell’aeronautica e dei servizi segreti. La possibilità di colpire la Banca centrale siriana (Bcs) è ancora in discussione e le sue attività saranno sorvegliate dal dipartimento del tesoro statunitense. La legge prevede anche misure a favore dei siriani, per sostenere le organizzazioni della società civile e rendere più facile la distribuzione degli aiuti umanitari.

Le sanzioni saranno revocate ad alcune condizioni: il governo siriano e i suoi alleati dovranno smettere di colpire i civili con barili bomba, armi chimiche o missili; dovrà cessare l’assedio ad alcune città, consentendo l’accesso agli aiuti umanitari e ai servizi sanitari in tutte le aree del paese; i prigionieri politici rinchiusi nelle carceri del regime dovranno essere liberati e le strutture detentive dovranno essere visitate da ispettori internazionali per vigilare sulla situazione dei diritti umani.

Senza precedenti

I siriani, parlandone nei negozi, nei caffè e in famiglia, accusano il provvedimento di aver causato il peggior crollo della lira siriana nella storia recente. In realtà il crollo c’era stato prima ancora che la legge entrasse in vigore, arrivando a un tasso di cambio di 3.000 lire per un dollaro nella prima settimana di giugno. Questo declino ha avuto delle conseguenze dirette sui mercati e sulla popolazione e, secondo l’economista siriano Adham Kudeimati, è stato l’effetto “di politiche attuate da bande criminali che governano il paese in base ai propri interessi”. Kudeimati sottolinea che il governo siriano “non prevede piani di salvataggio né misure in grado di risollevare la situazione”.

In questo contesto l’applicazione del Caesar act potrebbe portare a uno “strangolamento” delle istituzioni finanziarie del regime, che non sono più in grado di fornire i beni di prima necessità perché “le fonti di sostegno si sono prosciugate”, prosegue Kudeimati. Questo ha causato l’aumento dell’inflazione e un “forte rincaro” dei generi alimentari.

Un campo profughi nel villaggio di Qah, nella provincia di Idlib, il 21 maggio 2020 (Anas Alkharboutli, Picture alliance/Getty Images)

Maan Talaa, politologo dell’Omran center for strategic studies, commenta che l’imposizione di sanzioni si ripete in forme diverse fin dall’inizio della rivoluzione siriana nel 2011. Talaa conferma che l’attuale declino economico è dovuto alla “cronica e sistematica cattiva gestione” dell’economia da parte del regime, che ha “legalizzato il furto di denaro pubblico” non garantendo la trasparenza e meccanismi di sorveglianza sui bilanci dello stato e delle istituzioni militari e di sicurezza.

Nel tentativo di trovare delle soluzioni, all’inizio di giugno la Bcs ha annunciato alcuni provvedimenti che aumentano i controlli sulle società di cambio e sulle rimesse dall’estero. Inoltre l’11 giugno Assad ha licenziato il primo ministro Imad Khamis e ha nominato al suo posto Hussein Arnous, ex governatore delle province di Deir Ezzor e Quneitra e ministro delle risorse idriche, che resterà in carica fino alle elezioni legislative fissate per il 19 luglio.

Il 7 giugno alcuni parlamentari avevano chiesto al governo di assumersi la responsabilità di proteggere i cittadini e garantirne la sopravvivenza. Tre giorni dopo il responsabile delle operazioni bancarie della Bcs, Fouad Ali, ha dichiarato di aver “colpito gli snodi del mercato nero” per combattere gli speculatori e far aumentare il valore della lira siriana rispetto al dollaro. Ma secondo Kudeimati le misure saranno “inutili” finché il governo continuerà a sfruttare ogni progetto di sviluppo per espandere la sua influenza.

Motivi di destabilizzazione

L’analista economico Oussama al Qadi sottolinea che “il Caesar act non ha nulla a che fare con il deterioramento dell’economia siriana”, dovuto invece soprattutto al decreto legislativo numero 3, emanato da Assad a gennaio del 2020. La misura impone penali più pesanti a chiunque usi valuta estera per i pagamenti o per le altre transazioni commerciali. Secondo Al Qadi questo ha paralizzato le piccole attività economiche e ha spinto all’accumulazione. “Per il regime siriano il miglior modo di guarire un paziente è ucciderlo”, commenta.

Kudeimati spiega che al crollo della lira siriana hanno contribuito “diverse questioni locali, regionali e internazionali”. Un primo fattore di destabilizzazione è stato il conflitto tra Assad e suo cugino Rami Makhlouf, l’imprenditore più ricco del paese. Lo scontro è scoppiato quando il regime ha chiesto a Makhlouf di lasciare la guida della compagnia telefonica governativa Syriatel. Per reazione a maggio Makhlouf ha pubblicato su Facebook una serie di video in cui accusava il presidente di aver sequestrato i suoi beni. I dati disponibili su Syrian pound today, un sito dedicato ai tassi di cambio, indicano che le dichiarazioni di Makhlouf hanno avuto un impatto diretto sull’andamento della lira siriana: prima del 30 aprile un dollaro costava 1.250 lire siriane, il 19 maggio era arrivato a 1.820.

Tra i fattori regionali che hanno inciso sul crollo dell’economia siriana, Kudeimati cita il legame tra la Banca centrale siriana e la già compromessa Banca centrale dell’Iran. Il deteriorarsi della situazione economica in Iran a causa delle sanzioni statunitensi e le difficoltà della Russia, alle prese con la svalutazione della sua moneta, hanno spinto Teheran e Mosca a ridurre il loro sostegno militare e finanziario al regime siriano.

Muhammad Moussa, ricercatore ed esponente del sindacato degli economisti liberi, sottolinea che a causare le fluttuazioni della lira siriana sono state anche alcune iniziative individuali di uomini d’affari che hanno trasferito grandi somme di denaro in Siria, senza che il regime rilasciasse alcuna dichiarazione ufficiale. Inoltre, in vista dell’entrata in vigore del Caesar act, molti investitori mediorientali non hanno fatto transazioni in lire siriane, concesso crediti allo stato o acquistato i suoi titoli, temendo la bancarotta del paese.

Il collasso delle banche libanesi è un altro elemento che ha contribuito alla crisi siriana. Dalla metà degli anni cinquanta, il Libano rappresenta per Damasco uno sbocco economico verso il mondo. E le sanzioni occidentali contro il regime siriano hanno ulteriormente rafforzato questo legame. Ma da quando ad agosto del 2019 le banche libanesi hanno limitato la diffusione del dollaro e hanno vietato i prelievi di valuta straniera, anche la lira libanese ha subìto un crollo.

A peggiorare la situazione è arrivato il covid-19. Dopo aver messo in atto alcune misure per contenere la diffusione del virus, già ad aprile il regime ha cominciato a riavviare le attività commerciali e i servizi, nel tentativo di rianimare la malandata economia. Non ci sono dati ufficiali degli effetti economici di queste misure, ma la decisione di riprendere le attività indica che vari settori potrebbero aver subìto gravi perdite.

Dietro le quinte

Secondo Maan Talaa, il Caesar act è “un modo per punire” il regime per i suoi crimini contro l’umanità ed è stato voluto dagli attivisti siriani della diaspora, che hanno contribuito alla sua stesura e approvazione. Ma la legge serve anche agli interessi strategici degli Stati Uniti in Medio Oriente, sottolinea lo studioso.

Innanzitutto riduce il costo dell’intervento statunitense nella regione, in termini di risorse economiche e umane, favorendo una “gestione dietro le quinte”. In secondo luogo colpisce in modo indiretto l’Iran e “soffoca i progetti di Teheran in Siria”. Talaa ricorda che la legge non era stata discussa dalla precedente amministrazione Obama per non compromettere l’accordo sul nucleare raggiunto con l’Iran.

La legge ha anche lo scopo di spingere Damasco ad accettare nuovi colloqui con gli Stati Uniti. L’obiettivo è riportare il regime al tavolo dei negoziati di pace di Ginevra e impegnarlo a rispettare la risoluzione 2254, approvata dal Consiglio di sicurezza dell’Onu nel 2015 per chiedere il cessate il fuoco e un accordo politico per mettere fine al conflitto nel paese.

Il Caesar act è una mossa economica con obiettivi politici, commenta Talaa, e riguarda la riabilitazione del regime sul piano locale, regionale e internazionale e le sfide che la Siria dovrà affrontare dopo la guerra, prima tra tutte la ricostruzione. In questo senso è “un messaggio rivolto dagli Stati Uniti alla Russia”, che ha grandi interessi politici ed economici nel paese. “Washington sta avvertendo Mosca e Damasco che dovranno affrontare enormi problemi se non seguiranno la linea politica proposta dalla Casa Bianca”, spiega Talaa. Non a caso l’11 giugno James Jeffrey, inviato speciale di Washing­ton per la Siria, e Sergej Vershinin, viceministro degli esteri russo, hanno discusso al telefono di una “soluzione politica” in Siria.

Da sapere
Aumenta l’insicurezza alimentare
fonte: liveuamap

16 giugno 2020 Secondo la Banca centrale siriana, il tasso di cambio ufficiale della valuta siriana è 1.256 lire per un dollaro. Ma il prezzo al mercato nero oscilla tra 2.300 e 2.650 lire, arrivando fino a 3.000.

17 giugno Negli Stati Uniti entra in vigore il Caesar act.

29 giugno Alla vigilia di una conferenza a Bruxelles organizzata dall’Onu e dall’Unione europea per incoraggiare il sostegno umanitario alla Siria, alcune ong firmano un testo in cui avvertono che la fame potrebbe toccare livelli record nel paese. L’Onu calcola che i siriani in condizioni d’insicurezza alimentare sono 9,3 milioni; il 42 per cento in più rispetto all’anno scorso, secondo il documento delle ong.

**7 luglio **Russia e Cina mettono il veto a una risoluzione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite che prevede l’estensione della distribuzione di aiuti umanitari dalla Turchia alla Siria. Il giorno seguente la Russia non riesce per un voto a far approvare il suo testo per ridurre l’assistenza transfrontaliera. ◆ Un rapporto dell’Onu pubblicato lo stesso giorno denuncia crimini di guerra e possibili crimini contro l’umanità nella provincia di Idlib, l’ultima roccaforte dei ribelli nel nordovest della Siria, bersaglio di un’offensiva del regime tra la fine del 2019 e i primi mesi del 2020. Gli autori dei crimini sono le forze governative e i gruppi ribelli e jihadisti che controllano la zona.

9 luglio Primo caso registrato di nuovo coronavirus nel nordovest del paese. La persona infetta è un medico siriano che lavora nell’ospedale di Bab al Hawa, nel nord della provincia di Idlib, vicino al confine con la Turchia.

19 luglio Si svolgono le elezioni legislative, che non sono riconosciute dai paesi occidentali.

Afp, Al Bawaba


In ogni caso, sostiene Talaa, un crollo definitivo dell’economia siriana non dipenderà dalle sanzioni statunitensi, ma da fattori interni al regime, come la corruzione delle istituzioni finanziarie e il potere senza limiti degli apparati di sicurezza. Lo studioso teme anche che le sanzioni non saranno in grado di modificare la politica di Assad. Le istituzioni, al contrario, potrebbero adattarsi alle nuove condizioni, garantendo la sopravvivenza del regime.

Secondo Osama al Qadi, per migliorare la situazione economica il regime dovrebbe elaborare un sistema alternativo e cancellare il decreto numero 3. Ma senza una soluzione politica la crisi economica non potrà che peggiorare, facendo aumentare le sofferenze della popolazione. Al Qadi prevede che per giustificare il suo “fallimento politico e amministrativo”, il regime “userà come capri espiatori il primo ministro, il ministro dell’economia e il governatore della Banca centrale, come ha già fatto in passato”.

Muhammad Moussa sostiene che il processo per ricostruire la fiducia nella lira siriana potrebbe durare anni e dovrebbe avere come presupposti la fine della guerra, il ripristino delle relazioni internazionali, la revoca delle sanzioni, l’apertura di valichi commerciali, politiche economiche flessibili e una banca centrale in grado di proteggere la moneta. Inoltre, bisognerebbe liberare i prigionieri e consentire il ritorno degli sfollati interni. Nelle condizioni attuali, qualunque aiuto fornito dagli alleati del regime per arrestare il declino della lira avrà “solo un effetto temporaneo”, spiega Moussa.

Doppia moneta

La svalutazione della lira siriana si riflette sui prezzi dei beni e dei servizi. Secondo Al Qadi la popolazione siriana si può dividere in due categorie, “i poveri e i miserabili”, perché tutte le altre classi sociali sono state cancellate. Nel 2011 il reddito pro capite era stimato a 300 dollari al mese ed era considerato insufficiente. Oggi è sceso a 30 dollari, “oltrepassando di gran lunga la soglia di povertà”, dice Al Qadi.

Un’importante fonte di valuta estera sono le aree sotto il controllo dell’opposizione, spiega ancora Moussa. La lira siriana, infatti, è esportata nelle aree del nord della Siria in cambio di dollari accumulati grazie alle attività commerciali al confine con la Turchia.

Di fronte al crollo della moneta, i siriani che vivono nelle zone controllate dall’opposizione hanno adottato un sistema a doppia circolazione, usando la valuta siriana e quella turca. Il governo siriano temporaneo, in esilio in Turchia e formato da una coalizione di gruppi dell’opposizione appoggiati da Ankara, controlla i tassi di cambio, monitora i mercati e immette moneta in queste aree, dove gli stipendi sono pagati in dollari o in lire turche, a seconda della disponibilità.

Lo stesso vale per le aree controllate dall’Amministrazione autonoma della Siria del nordest, guidata dai curdi. Al Qadi sottolinea che non si tratta di una sostituzione della moneta ma di un sistema a doppia valuta, che usa una moneta straniera accanto alla lira, nella speranza che si realizzi una transizione politica e la valuta nazionale recuperi valore. Un sistema simile è stato adottato dal Libano, dal Mozambico e da altri paesi nelle crisi più difficili.

In passato il regime siriano ha aggirato più volte le sanzioni e gli esperti si chiedono se riuscirà a farlo di nuovo. Secondo Moussa ci sono diversi modi, alcuni già sperimentati. Per esempio creare nuove aziende intestate a persone fedeli al regime; trasformare in zone franche le miniere di fosfato vicino alle città portuali di Latakia e Tartus, destinate agli investimenti russi; sfruttare le organizzazioni umanitarie o usare le rotte dei trafficanti tra Siria e Libano, e i valichi interni tra le aree governative e quelle controllate dall’opposizione e dai curdi.

In ogni caso, “aggirare le sanzioni consentirà al regime di salvarsi solo in minima parte”, sostiene Moussa, dato che lo stato e l’economia sono fondamentalmente “collassati”. Ma il Caesar act, ricorda lo studioso, è “uno strumento di pressione, non di distruzione”. E resta da vedere quale sarà l’atteggiamento degli Stati Uniti, che potrebbero “chiudere un occhio, come hanno fatto in altre occasioni”, conclude Moussa. ◆ fdl

Enab Baladi è un settimanale indipendente siriano di politica, società e attualità. Oltre alla versione online, ha un’edizione cartacea stampata in Turchia e distribuita in Siria.

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Questo articolo è uscito sul numero 1367 di Internazionale, a pagina 54. Compra questo numero | Abbonati