La riconquista l’11 gennaio della città di Wad Madani, nel centro del Sudan, è la prima vittoria importante dell’esercito sudanese dall’inizio della guerra, più di un anno e mezzo fa. Potrebbe segnare una svolta nel conflitto e preannuncia un’imminente battaglia per Khartoum, cento chilometri a nord. La capitale è ancora sotto il controllo dei paramilitari delle Forze di supporto rapido (Rsf), guidati da Mohamed Hamdan Dagalo, noto come Hemetti. Il 14 gennaio sono stati pesantemente bombardati i quartieri occidentali di Omdurman, la città gemella di Khartoum, con un bilancio stimato di 120 morti, secondo fonti locali.

La presa di Wad Madani è un’iniezione di fiducia per il generale Abdel Fattah al Burhan: pochi credevano ancora che il suo esercito potesse impedire alle Rsf di conquistare tutto il paese. L’11 gennaio una coalizione formata dalle forze governative e dai loro alleati (tra cui gruppi di ex ribelli, milizie estremiste islamiche e su base etnica) è entrata a Wad Madani senza incontrare resistenza. A detta di Hemetti, i suoi combattenti sono stati costretti a ritirarsi da una pioggia di bombardamenti con i droni, forniti dall’Iran. Il teatro di guerra del Sudan è così opaco e imprevedibile perché entrambe le fazioni si appoggiano ad altri gruppi combattenti e dipendono dall’aiuto militare che arriva dall’estero: l’esercito governativo lo riceve dall’Iran, le Rsf dagli Emirati Arabi Uniti.

Per le Rsf Wad Madani era la porta d’accesso al Sudan orientale e centrale. Con la sua vasta rete di canali di irrigazione, lo stato di Gezira, di cui Wad Madani è capoluogo, è considerato il granaio del Sudan. Quando le Rsf hanno conquistato la zona un anno fa, hanno innescato una reazione a catena di vendette, stupri e distruzione di campi e attrezzature agricole. Nel giugno 2024 nel villaggio di Wad al Nura c’è stato un massacro: nei video pubblicati sui social media si vedevano persone che scavavano una fossa comune per 140 persone, tra cui 35 bambini.

FONTE: UNHCR

Le Rsf, guidate da uomini di etnia araba del Darfur, noti come janjaweed, sono tristemente note per i crimini di guerra contro le popolazioni nere del Sudan. Per questo il 7 gennaio il governo statunitense le ha accusate di genocidio, imponendo sanzioni. In ogni caso, quando si parla di violazioni dei diritti umani, nessuna delle due parti è innocente. Anche l’esercito governativo commette crimini di guerra contro i civili, bombardando mercati, uccidendo esponenti dei comitati cittadini o persone sospettate di sostenere le Rsf. Tanti sudanesi temono inoltre che una vittoria di Al Burhan significhi il ritorno al potere degli integralisti islamici, che l’avevano perso dopo la rivolta popolare del 2019 contro il presidente Omar al Bashir.

Cambio di alleanze

Molti crimini commessi a Wad Madani durante l’occupazione delle Rsf sono stati attribuiti ad Abuagla Keikal, comandante di una milizia del Sudan orientale. Inizialmente Keikal aveva aiutato le Rsf a conquistare la città, ma alla fine del 2024 ha cambiato alleati, e ha avuto un ruolo importante nella riconquista di Wad Madani, questa volta al fianco di Al Burhan.

Se le forze governative riusciranno a prendere il controllo dell’intero stato di Gezira si aprirà una nuova fase e la guerra civile si sposterà nella capitale Khartoum. Lì l’esercito avrà un compito difficile, perché le Rsf si sono insediate ovunque. Solo una piccola parte della capitale, come alcune zone delle città sorelle Omdurman e Bahri, resta sotto il controllo di Al Burhan. Nel centro città, al palazzo presidenziale e all’aeroporto i combattenti delle Rsf continuano a dettare legge. ◆ oa

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Questo articolo è uscito sul numero 1597 di Internazionale, a pagina 22. Compra questo numero | Abbonati