Non c’è dubbio: le regole sul debito nell’Unione europea devono essere riformate. Il sistema in vigore è superato, visto l’alto tasso di indebitamento dei paesi europei.

Inoltre le eccezioni diventano più frequenti e le norme non sono mai davvero applicate. Già prima della pandemia e della guerra in Ucraina il Patto di stabilità era diventato una tigre di carta.

Ma il governo tedesco può e deve respingere il progetto di riforma presentato dalla Commissione. La proposta di Bruxelles non rappresenta solo un allentamento delle regole. Se fosse applicata così com’è, di fatto in Europa non ci sarebbero più regole sul debito. Sarebbe un rischio incalcolabile per la sopravvivenza dell’euro. La Commissione vorrebbe concordare dei programmi di riduzione del debito “su misura” direttamente con i governi. Ed è proprio questo il problema: la riduzione del debito sta diventando oggetto di trattativa, invece di essere guidata da regole chiare e universalmente applicabili.

In passato l’Unione europea non è riuscita a obbligare i governi a rispettare le regole nemmeno in periodi economicamente favorevoli. Nonostante le continue infrazioni nessun paese viene sanzionato da più di vent’anni. Al contrario, l’Unione si è sempre mostrata comprensiva quando Francia e Italia hanno chiesto nuove eccezioni.

E ora la Commissione dovrebbe avere ancora più potere e negoziare la riduzione del debito direttamente con i singoli stati? Per di più basandosi su previsioni sull’andamento del debito che solo gli addetti ai lavori comprendono e che sono facilmente manipolabili?

Non può finire bene.

Anche le regole attuali hanno i loro difetti, come si è visto in passato. Ma avere degli obiettivi chiari per la riduzione del debito, come chiede il governo tedesco, è sempre meglio che introdurre regole ambigue, le quali in ultima analisi dipendono dalla capacità negoziale di ciascun paese. Questo a condizione che le regole siano applicate in modo coerente. Purtroppo la proposta tedesca non spiega come fare per garantirlo. ◆ nv

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Questo articolo è uscito sul numero 1510 di Internazionale, a pagina 28. Compra questo numero | Abbonati