L’operazione militare compiuta il 28 novembre da Israele a Beit Jinn, vicino Damasco, rischia di complicare ulteriormente il panorama regionale, soprattutto in Siria e Libano. I funzionari israeliani hanno sostenuto che dei gruppi islamisti, insieme ad altri affiliati ai ribelli yemeniti huthi, si stavano preparando a colpire Israele dal sud della Siria.
L’obiettivo è chiaro: puntare il dito contro gruppi islamisti legati a Damasco o considerati vicini all’Iran. Questo è in linea con le dichiarazioni israeliane secondo cui Hezbollah starebbe continuando le sue operazioni di traffico di armi e missili attraverso la Siria. L’attacco israeliano arriva in un momento particolarmente delicato, a pochi giorni dalla scadenza dell’ultimatum sul disarmo di Hezbollah dato al Libano da Israele e Stati Uniti. Washington sta anche cercando di chiudere un accordo tra Siria e Israele e uno tra Damasco e le Forze democratiche siriane (Fds, a maggioranza curda), che controllano il nordest del paese.
Israele ha lavorato per sabotare l’accordo di sicurezza con Damasco e per interrompere il processo negoziale, e i suoi funzionari lasciano intendere che non si fidano del presidente siriano Ahmed al Sharaa. Inoltre cerca d’impedire qualsiasi sviluppo dei rapporti tra Siria e Stati Uniti e, secondo alcuni osservatori, il suo più grande interesse è dividere la Siria, frammentarla o mantenerla debole alimentando i conflitti interni. Di conseguenza, Israele moltiplica i pretesti per condurre incursioni nel sud della Siria. Se però in passato non incontrava ostacoli, l’operazione di Beit Jinn potrebbe segnare una svolta: l’emergere di una resistenza popolare alle forze israeliane.
Se questo modello prendesse piede, Damasco potrebbe sostenerlo in futuro per evitare un conflitto diretto con Israele. D’altra parte alcuni ritengono che nel sud della Siria, in particolare a Beit Jinn e in altre località, siano ancora presenti gruppi legati all’Iran in grado di compiere incursioni in Israele se Tel Aviv decidesse di intensificare le operazioni contro Hezbollah o di colpire il territorio iraniano.
“Israele ritiene la Siria responsabile del passaggio di armi destinate a Hezbollah, anche se le autorità siriane s’impegnano a impedirne il traffico sequestrando molti carichi”, commenta una fonte diplomatica araba. “Ma secondo gli israeliani Damasco continua a lasciarne passare un po’, in modo da fare pressioni per ottenere concessioni nei negoziati sulla sicurezza. Per loro però è fuori questione rinunciare alle posizioni conquistate dopo la caduta del regime di Bashar al Assad, o tornare all’applicazione dell’accordo di disimpegno del 1974”, con cui i due paesi stabilirono di creare una zona cuscinetto demilitarizzata sulle alture del Golan.
Le pressioni su Beirut
L’operazione di Beit Jinn è avvenuta mentre s’intensificano le minacce israeliane di un’offensiva contro Hezbollah in Libano. Il 29 novembre una radio israeliana ha riferito che il governo ha minacciato di ampliare il raggio d’azione dei suoi attacchi contro Hezbollah se Beirut non adotterà misure concrete per frenare le attività della milizia.
Secondo la radio nei giorni precedenti era stato trasmesso un messaggio al governo libanese tramite l’amministrazione statunitense, in cui si precisava che l’esercito di Tel Aviv sarebbe pronto a “prendere di mira aree mai colpite prima” nel territorio libanese. L’esercito avrebbe attenuato le sue misure militari in occasione della visita del papa a Beirut tra il 30 novembre e il 2 dicembre. Alcuni funzionari libanesi hanno confermato che l’operazione israeliana sarebbe aerea e terrestre e mirerebbe a occupare nuovi territori dove allestire postazioni strategiche.
Da qui deriva il timore concreto di un’offensiva in Libano che passi per il territorio siriano, in particolare da Beit Jinn, da dove le forze israeliane potrebbero raggiungere la località di Shebaa, punto d’incontro tra Siria, Libano e Israele. Da lì Israele potrebbe avanzare verso la Beqaa occidentale, penetrare più in profondità in Libano e tagliare così tutte le vie di approvvigionamento tra la Siria e il Libano.
Beirut subisce forti pressioni internazionali per fare maggiori concessioni a Israele ed evitare una guerra. Washington ha dato tempo al governo fino alla fine dell’anno per terminare la smilitarizzazione di Hezbollah, pur sapendo che è impossibile. Il suo obiettivo, come per Israele, è ottenere dal Libano e da Hezbollah indicazioni chiare di una rinuncia all’azione militare e di una disponibilità a consegnare le armi secondo scadenze precise, in modo da ottenere una stabilità duratura con Israele ed evitare l’escalation. Una richiesta che Hezbollah respinge categoricamente.
Tra gli strumenti di pressione nei confronti del Libano c’è la sospensione totale di tutti gli aiuti e le conferenze previste per sostenere l’esercito o finanziare la ricostruzione, in attesa della consegna delle armi e dell’adozione di riforme finanziarie e amministrative.
In questo quadro si osserva una convergenza di vedute tra gli Stati Uniti, l’Arabia Saudita e anche la Turchia, riguardo sia al Libano sia alla Siria. Altri paesi invece si oppongono a questo orientamento, soprattutto Francia ed Egitto. Non va neppure ignorato il ruolo dell’Iran, che ha perso la sua influenza in Siria ma la mantiene in Libano, dove continua a sostenere Hezbollah.
L’Egitto ha rilanciato la sua iniziativa in Libano per evitare l’escalation ma anche per preservare il suo ruolo, sfruttando l’esperienza del vertice di Sharm el Sheikh e del cessate il fuoco a Gaza. Il Cairo coordina la sua azione con l’Iran e la Francia e ha anche tentato di dialogare con gli Stati Uniti, l’Arabia Saudita e il Qatar.
Secondo le nostre fonti sarebbe previsto un incontro a Parigi tra Anne-Claire Legendre, consigliera per il Medio Oriente del presidente francese Emmanuel Macron, l’inviato saudita Yazid bin Farhan e il suo collega statunitense Morgan Ortagus. Si tratterebbe di un appuntamento decisivo, in cui esaminare il terzo rapporto dell’esercito libanese sull’applicazione del suo piano di limitazione degli armamenti e sulle misure previste nella zona a nord del fiume Litani. Ortagus potrebbe chiedere al Libano di accelerare le operazioni e attuare tutti i provvedimenti per impedire la consegna di armi o finanziamenti a Hezbollah.
◆ Il 30 novembre 2025 papa Leone XIV è partito dalla Turchia ed è arrivato in Libano per una visita di quarantott’ore, con l’obiettivo di portare un messaggio di pace in un paese segnato dalla crisi economica e dalle conseguenze della guerra con Israele che si è conclusa un anno fa con un fragile cessate il fuoco. Secondo il quotidiano Al Arab, la sua presenza ha “portato speranza nelle anime dei libanesi”, favorendo un dialogo tra le varie comunità del paese, ma non risolve i problemi del Libano e le difficoltà che la popolazione vive ogni giorno.
◆ Il 28 novembre un attacco israeliano ha ucciso tredici persone a Beit Jinn, una cittadina alla periferia di Damasco.
◆ Il 23 novembre Israele ha ucciso Haitham Ali Tabatabai, capo militare di Hezbollah, in un attacco a un edificio alla periferia sud di Beirut, in cui sono morte cinque persone.
La Francia però non ha nascosto il suo disappunto nei confronti del metodo statunitense, sostenendo che Washington starebbe cercando di limitare il ruolo di Parigi nell’ambito del meccanismo per la supervisione del cessate il fuoco in Libano e di coordinarsi esclusivamente con Israele. Alcune informazioni indicano anche una volontà di Washington e Tel Aviv di abbandonare il meccanismo in favore di negoziati trilaterali tra Stati Uniti, Israele e Libano.
Di fronte alla sensazione di essere esclusi dalle questioni che riguardano il Libano e la Siria, si delinea una convergenza tra Parigi, il Cairo e perfino Teheran, tutti desiderosi di salvaguardare la loro presenza nella regione. La Francia continua inoltre a tenere aperta la porta dei negoziati europei con l’Iran. Anche l’Egitto sta cercando di migliorare i suoi rapporti con l’Iran e di svolgere un ruolo di mediatore tra Teheran e Washington.
Insomma, la regione, in particolare Libano e Siria, ha davanti a sé due mesi estremamente delicati e pericolosi. Gli statunitensi fanno pressione per attuare le proprie soluzioni, che a volte convergono con gli interessi di Israele, altre volte no. Molti paesi cercano di entrare nel gioco, ma è certo che alla fine saranno gli Stati Uniti a scegliere gli alleati con cui elaborare una formula completamente nuova. In attesa che il quadro si chiarisca, continueranno a ripetersi attacchi come quelli compiuti da Israele il 23 novembre per uccidere il capo militare di Hezbollah, Haitham Ali Tabatabai, o per colpire Beit Jinn. ◆ fdl
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Questo articolo è uscito sul numero 1643 di Internazionale, a pagina 28. Compra questo numero | Abbonati