Chetna Maroo
T
Adelphi, 148 pagine, 18 euro

Giocare a squash per superare il vuoto profondo che la morte di una madre lascia nella vita di una famiglia. Gopi e le sue sorelle cominciano a fare sport perché possano appassionarsi a qualcosa a cui possano tornare per tutta la vita, come un luogo sicuro. Racchetta, muto, T, campo, avversario. Certo, la pratica sportiva dà disciplina, esercita il corpo, ma soprattutto occupa la mente e riempie l’assenza. I sentimenti delle tre sorelle seguono nel testo il suono che fa la palla colpita da un tiro deciso: è “basso e fulmineo, come uno sparo, seguito da un’eco ravvicinata”; il silenzio che alimenta la balbuzie di Ged, compagno di allenamento di Gopi; il legame viscerale con il gujarati, la lingua materna, in tutti i sensi. Nel suo esordio, Maroo usa le descrizioni fisiche – dei muscoli, delle espressioni – per veicolare uno stato emotivo più profondo e complesso. Ciò che dell’esperienza umana è più indicibile, Maroo non tenta neanche di esprimerlo, ma lo lascia intravedere nelle movenze del corpo, nell’ossessione per uno sport, nel silenzio del dolore. Ed è qui che risiede la bellezza del romanzo. Alla fine, verso l’ultima partita del torneo Durham/Cleveland, Gopi realizza che il campo non è solo uno spazio per non pensare, un rifugio dal rumore del mondo, ma anche un posto dove scegliere da che parte andare, per non lasciarsi travolgere.

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Questo articolo è uscito sul numero 1560 di Internazionale, a pagina 80. Compra questo numero | Abbonati