Chiara Fiorentini
L’anno che ti ho detto addio
66thand2nd, 288 pagine, 17 euro

Edo vive a Ginevra, è un giovane architetto e, quando il romanzo si apre, è un malato terminale che tiene nascosto alla famiglia – alla sorella Bea, giornalista, e al compagno Matti, che invece è avvocato – che gli restano pochi mesi di vita. Il lutto stravolge le loro vite e sembra allentare legami in apparenza solidi, con la partenza della madre per l’Egitto, il matrimonio della cugina Lili, la nonna, centro gravitazionale della famiglia, che sembra perdere l’equilibrio. Bea e Matti invece formano un sodalizio, per superare il dolore improvviso, e cercano di elaborare il lutto. Lo fanno quasi andando a caccia di verità nascoste che possano fornirgli una spiegazione inafferrabile. Il mio primo pensiero è che non mi capitava da tempo di leggere un romanzo con così tanti dialoghi. Gli scambi tra i personaggi sono ben dosati nella brevità delle frasi, nel tono sarcastico, nelle voci, e danno velocità a un testo che ci si aspetterebbe introspettivo. Anzi, a volte è così rapido che si arriva a comprendere le relazioni, gli avvenimenti, le cause-effetto a distanza di qualche pagina. L’esordio di Chiara Fiorentini è fresco e si confronta con un tema complesso come quello del lutto, delle fratture che si aprono quando muore qualcuno che amiamo. Racconta, soprattutto, di come si torna a vivere dopo averlo affrontato. ◆

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Questo articolo è uscito sul numero 1599 di Internazionale, a pagina 80. Compra questo numero | Abbonati