Cervelli a confronto

Il cervello dei neandertal era grande come quello dei nostri antenati, ma probabilmente aveva un numero inferiore di neuroni. La causa sarebbe una mutazione nella proteina tktl1, coinvolta nella produzione di neuroni durante lo sviluppo del feto. I ricercatori dell’istituto Max Planck per la biologia cellulare e la genetica, in Germania, hanno testato i geni delle due varianti in embrioni di topi e furetti, e poi in specie di minuscoli cervelli umani creati in vitro a partire da cellule staminali. Con la variante neandertaliana, che differisce per un solo aminoacido, la produzione di neuroni risultava minore e più lenta, in particolare nel lobo frontale del cervello che è preposto alle funzioni cognitive superiori. È quindi possibile ipotizzare, scrivono i ricercatori su Science, che il gene tktl1 mutato abbia dato un vantaggio cognitivo ai sapiens rispetto ai loro cugini neandertal.

Il cuore un anno dopo

Le persone che s’infettano con il virus sars-cov-2 e sviluppano il covid-19 in forma lieve possono manifestare segni d’infiammazione cardiaca molti mesi dopo. I ricercatori hanno monitorato 346 persone senza problemi cardiaci precedenti, con un’età media di 43 anni, valutando le loro condizioni tre mesi e dodici mesi dopo l’infezione. A tre mesi dall’infezione il 73 per cento dei partecipanti riferiva sintomi cardiaci, tra cui difficoltà respiratorie, palpitazioni e dolore al petto. I disturbi erano di entità lieve o moderata, ma in alcuni casi abbastanza forti da creare problemi nella vita quotidiana. Le analisi hanno rilevato segni d’infiammazione cardiaca, ma non danni o disfunzioni. A un anno dall’infezione il 57 per cento dei partecipanti manifestava ancora sintomi cardiaci. Gli effetti a lungo termine del covid-19 sul cuore sono ancora sconosciuti. Dalle prime analisi le conseguenze negative del virus ricordano, a sorpresa, quelle delle malattie autoimmuni più che quelle delle miocarditi virali. Il meccanismo alla base dei sintomi cardiaci non è ancora chiaro. ◆

La proteina della fertilità

Si chiama Maia, in onore di un’antica divinità, ed è una proteina presente sugli ovociti che sembra avere un ruolo chiave nella fecondazione. I ricercatori dell’università di Sheffield, nel Regno Unito, hanno creato degli ovociti artificiali usando migliaia di perline rivestite con peptidi, sostanze chimiche che favoriscono la fusione con gli spermatozoi. Gli scienziati hanno poi scoperto che solo alcune perline avevano lo sperma attaccato, e che questo avveniva grazie alla proteina Maia. La scoperta, scrive Science Advances, potrebbe aiutare a mettere a punto nuove tecniche contro l’infertilità.

Innovazione aviaria

Barbara Klump, CC BY-SA

Il cacatua ciuffogiallo (Cacatua galerita), un pappagallo diffuso in Australia, è in grado di modificare i suoi comportamenti per arrivare al cibo che si trova nei secchi della spazzatura domestici a Sydney. Molti abitanti hanno adottato degli accorgimenti per impedire ai cacatua di aprire i bidoni, per esempio pietre sui coperchi, ma in alcuni casi gli uccelli sono riusciti ad aggirarli. I cacatua, scrive Current Biology, sarebbero quindi in grado di risolvere problemi grazie all’innovazione e all’interazione sociale.

Test del sangue per il cancro

Al congresso della Società europea di oncologia medica (Esmo) che si è svolto a Parigi, sono stati annunciati i risultati di un nuovo studio, chiamato Pathfinder, per la diagnosi precoce del cancro. I ricercatori hanno sviluppato un esame del sangue, basato su caratteristiche del dna, che permette di rilevare tumori in persone che non hanno sintomi chiari. L’esame ha rilevato possibili tumori in 92 partecipanti su 6.600, 35 dei quali sono stati poi confermati, scrive il Guardian.

Jose Garcia, Garciartist/Griffith University

Paleoantropologia In una grotta dell’isola del Borneo è stato trovato lo scheletro di un individuo vissuto circa 31mila anni fa a cui era stata amputata chirurgicamente una parte della gamba. L’operazione probabilmente è avvenuta quando l’individuo era ancora bambino. Il giovane sarebbe poi morto tra sei e nove anni dopo l’operazione. Finora, scrive Nature, si pensava che la chirurgia si fosse sviluppata più tardi, con la comparsa dell’agricoltura.

Genetica L’asino potrebbe essere stato addomesticato circa settemila anni fa in Africa orientale, scrive Science. Dall’analisi del dna prelevato da campioni antichi e moderni è emerso anche che ai tempi dell’impero romano vennero fatti incroci per ottenere animali di dimensioni maggiori, che probabilmente erano usati per il trasporto.

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1478 - 16 settembre 2022
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