La macchina del commercio internazionale ha rallentato e le multinazionali hanno deciso di abbandonare, almeno per ora, i loro partner all’estero e le strategie tipiche dell’economia globale puntando sull’affidabilità, anche se è più costosa. Alcune aziende stanno trasferendo manodopera e mezzi di produzione più vicini al proprio paese o ai fornitori. Altre stanno comprando le aziende fornitrici o stanno svolgendo da sole alcune attività in precedenza appaltate all’esterno. “In un mondo pieno d’incertezze bisogna avere più controllo”, spiega Ellen Kullman, dirigente della 3D Carbon, un produttore di stampanti.

Per circa trent’anni le multinazionali hanno seguito una strategia collaudata: produrre a buon mercato in posti lontani, esternalizzando i lavori poco qualificati e puntando sul sistema just in time (produrre riducendo al minimo le scorte) e sui trasporti oceanici per abbattere i costi. Con la pandemia, però, molte aziende hanno avuto difficoltà a ottenere materie prime, a reclutare manodopera e a prenotare gli spazi sulle navi mercantili. Questi problemi stanno penalizzando la disponibilità e la qualità di beni e servizi in tutti i settori, dalle scarpe da ginnastica ai voli aerei alle colazioni da McDonald’s.

A settembre Massimo Renon, amministratore delegato dell’azienda d’abbigliamento italiana Benetton, ha cercato di ordinare un cappotto blu sul sito dell’azienda e ha scoperto che era esaurito. “Ho chiesto ai miei collaboratori come fosse possibile”, racconta. “Mi hanno risposto con molta franchezza che le materie prime erano in ritardo, la logistica dei trasporti nel caos, i costi di produzione in forte aumento e il controllo della filiera praticamente impossibile”. Da allora l’azienda ha deciso di rafforzare la produzione in Serbia, Croazia, Turchia, Tunisia ed Egitto, invece che in posti meno costosi ma più lontani come la Thailandia. Negli Stati Uniti l’impresa di costruzioni PulteGroup deve affrontare carenze quotidiane di prodotti essenziali come finestre, vernici ed elettrodomestici. Per tenere aperti i cantieri a volte l’azienda deve recuperare materiali in varie località degli Stati Uniti. “Dobbiamo essere flessibili e creativi nell’approvvigionamento di materiali, anche se questo implica costi più alti”, ha dichiarato l’amministratore delegato Ryan Marshall. L’azienda sta costruendo un impianto di produzione automatizzato nella Carolina del Sud, che dovrà rimediare alla carenza di operai specializzati destinata, secondo le previsioni, a durare ancora per tutto il decennio. Sarà la seconda struttura esterna della Pulte. La prima, quella di Jacksonville, in Florida, realizza pannelli per pareti, sistemi di pavimentazione e strutture per i tetti, tutti prodotti fatti con materiali che è ormai difficile trovare. L’azienda punta a costruire tra le sei e le otto fabbriche nei prossimi anni, ma anche così non sarà possibile eliminare tutti i fattori d’incertezza.

Molte aziende stanno ripensando ogni segmento delle loro operazioni. Le multinazionali sono state colpite per prime, quando è esplosa la pandemia, dalla chiusura delle frontiere, dalle restrizioni e dai lockdown. Alcune hanno scelto delle soluzioni permanenti. La Majestic Steel Usa, che produce e distribuisce laminati d’acciaio, ha fatto delle acquisizioni per estendere il suo mercato alla costa occidentale degli Stati Uniti, in aggiunta all’Ohio, al Nevada, alla Florida e al Texas. “Vogliamo essere più vicini ai clienti, migliorando la capacità di trasporto o intervenendo sulle difficoltà e gli ostacoli nella filiera”, ha affermato Dave Kipe, amministratore delegato della Majestic. L’azienda sta anche cercando di accorciare le distanze dai fornitori. Ad agosto ha avviato la costruzione di una struttura da 47.800 metri quadrati sul sito di un’acciaieria della Nucor in Arkansas. “Riceviamo molto acciaio dalla Nucor”, ha affermato Kipe. “Non dovremo più spedirlo a Cleveland, saremo molto più vicini al sito di produzione e potremo ridurre i tempi di consegna”.

Anche le interruzioni provocate da uragani e altri eventi climatici hanno un peso nelle decisioni relative alla produzione. La Sherwin-Williams, un’azienda statunitense che produce vernici, ha deciso di comprare un fornitore che opera lontano dal golfo del Messico, dove il maltempo ha ostacolato la produzione. L’azienda ha ridotto le stime sulle vendite per il 2021, perché i fornitori di resina nel sud degli Stati Uniti, colpiti l’estate scorsa dall’uragano Ida, stanno impiegando più tempo del previsto a riavviare la produzione. Così ha deciso di comprare la Specialty Polymers, che ha stabilimenti più a nord, in Oregon e nella Carolina del Sud. In questo modo, ha spiegato la Sherwin-Williams, l’azienda sarà in grado di aumentare la produzione e ridurre i rischi legati ai fenomeni atmosferici.

Alla Benetton i dirigenti hanno passato l’estate a studiare un modo per risolvere il problema dei ritardi e dei costi in aumento. Più della metà della produzione dell’azienda si trova in Asia. Il ricorso ai fornitori in Laos, Cambogia, Cina e Thailandia è più economico, ma impone visite frequenti per assicurarsi che la produzione e i materiali rispondano agli standard di qualità, spiega Renon. Il piano è tagliare della metà la produzione in Asia nei prossimi 12-16 mesi e spostare il lavoro in paesi che si affacciano sul mar Mediterraneo. In questo modo diminuiranno i costi di trasporto. Renon è convinto che i costi di produzione più alti saranno in parte compensati da prodotti migliori. I clienti magari compreranno meno, aggiunge, “ma se vogliono avere articoli di qualità sanno che si possono rivolgere a noi”.

Giovani startup

L’incertezza degli approvvigionamenti si fa sentire in particolare nelle aziende più giovani. La Bartesian, una startup statunitense che produce una macchina da bancone per fare i cocktail, ha aggiornato la sua strategia a causa delle pandemia. L’azienda aveva un accordo per realizzare le macchine in Cina, dove la Bartesian programmava di produrre anche le capsule riciclabili per preparare le bibite. L’anno scorso il progetto è stato messo da parte a favore di un impianto alla periferia di Chicago. “Abbiamo capito che è meglio avere il controllo di tutto il processo produttivo”, ha affermato Ryan Close, amministratore delegato della Bartesian. “Non possiamo dipendere dai fornitori. La produzione a Chicago costa di più, ma con l’attuale paralisi nelle spedizioni la Bartesian avrebbe corso il rischio di restare a mani vuote e di perdere denaro”, ha affermato Close. ◆ gim

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Questo articolo è uscito sul numero 1435 di Internazionale, a pagina 115. Compra questo numero | Abbonati