Leventuale ingresso dell’Ucraina nell’Unione europea sarebbe una buona idea? Sì, ma a condizione di riformulare il progetto di Bruxelles. In sintesi, dev’essere l’occasione per ridefinire l’Unione come una comunità politica al servizio dello stato di diritto e del pluralismo democratico, e per abbandonare la religione economica del libero scambio e della concorrenza, che da decenni è considerata la soluzione a tutti i problemi.

Se difendere l’Ucraina dall’aggressione russa è di vitale importanza, lo è innanzitutto per ragioni politiche e democratiche. Contrariamente a Mosca, Kiev rispetta i princìpi della democrazia elettorale, della separazione dei poteri e della risoluzione pacifica dei conflitti.

L’Europa si presenta come un faro per il pianeta. Se da una parte è vero che la democrazia nel nostro continente è più avanzata che altrove, le sue fondamenta restano pur sempre fragili

L’ingresso dell’Ucraina nell’Unione dev’essere un’opportunità per elaborare norme stringenti che garantiscano il pluralismo in ogni forma, per quel che riguarda sia l’organizzazione della vita elettorale (con una legislazione finalmente ambiziosa in materia di finanziamento delle campagne elettorali e dei partiti) sia la regolamentazione dei mezzi d’informazione (con garanzie d’indipendenza per le redazioni).

L’Europa si presenta al mondo come un faro. Se da una parte è vero che la pratica della democrazia elettorale per certi aspetti è più avanzata che altrove, le sue fondamenta istituzionali restano pur sempre fragili. Non si tratta solo di difendere la trasparenza a Kiev e di mettere in discussione lo strapotere politico degli oligarchi ucraini sulle elezioni e sui mezzi d’informazione, ma anche di ridurre il potere degli oligarchi francesi, tedeschi, italiani, polacchi o maltesi, e di promuovere in tutto il continente nuove forme di partecipazione politica, immuni dagli interessi privati.

L’adozione di standard democratici europei più ambiziosi dev’essere anche un’occasione per farla finita con la religione economica del libero scambio e della concorrenza, che è stata la vera filosofia alla base dell’Europa dopo l’Atto unico europeo del 1986 e il trattato di Maastricht del 1992.

Concretamente, per evitare che l’ingresso dell’Ucraina nell’Unione provochi nuovi danni sociali e ambientali, in particolare a causa di una lotta esasperata nel settore agricolo e industriale, è indispensabile agire su due fronti. Per prima cosa bisogna fare di tutto per costituire al più presto uno zoccolo duro di paesi disposti ad adottare a maggioranza delle norme sociali, fiscali e ambientali più stringenti. Questo si potrebbe fare, per esempio, attraverso il progetto del trattato di democratizzazione dell’Europa, con la costituzione di un’assemblea europea che sia emanazione dei parlamenti nazionali. Ci sarebbero anche altre strade, ma sempre percorribili da un piccolo numero di stati volontari, senza possibilità di veto degli altri.

Poi è indispensabile che ciascun paese dia degli strumenti per stabilire a quali condizioni è disposto a continuare gli scambi con gli altri paesi, inclusi i partner europei.

Un esempio particolarmente chiaro riguarda il dumping fiscale (quando uno stato offre tasse più basse per attirare aziende e persone straniere). Oltre a offrire molte scappatoie, il problema dell’aliquota minima del 15 per cento sui profitti delle aziende a livello dell’Ocse e dell’Unione è che si tratta di una tassazione troppo bassa. E, considerate le regole dell’unanimità in vigore, questo aspetto non cambierà nel prossimo futuro.

Il modo più semplice per sbloccare la situazione è per mezzo di un’azione unilaterale. Per esempio, se la Francia pensa che l’aliquota adeguata sia (supponiamo) del 30 per cento, allora potrebbe decidere che le importazioni provenienti da paesi in cui l’aliquota è più bassa devono pagare la differenza al momento della commercializzazione dei beni e servizi sul suo territorio. Come ha mostrato l’Osservatorio europeo sulla fiscalità, una misura simile farebbe incassare a Parigi 39 miliardi di euro, risorse considerevoli da investire in sanità, istruzione e trasporti.

I seguaci del dumping generalizzato grideranno al protezionismo, ma la verità è che qui la faccenda è diversa: si tratta di far pagare alle aziende che esportano beni e servizi in Francia la stessa tassa pagata dai produttori francesi, una misura che dovrebbe essere considerata da tempo una condizione minima per un commercio equo. La stessa logica si può applicare alle norme sanitarie o alle emissioni di anidride carbonica.

Solo investendo sul piano sociale ed economico potremo convincere l’opinione pubblica che serve un nuovo allargamento dell’Unione europea, sulla base di valori democratici condivisi e non di una religione economica che avvantaggia i più ricchi e che allontana sempre di più le classi medie e popolari dall’ideale europeo. ◆ fdl

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Questo articolo è uscito sul numero 1559 di Internazionale, a pagina 42. Compra questo numero | Abbonati