05 novembre 2014 14:50
Lydie Salvayre incontra i giornalisti dopo l’assegnazione del premio Goncourt, a Parigi. (Gonzalo Fuentes, Reuters/Contrasto)

Le prime pagine di Contro, romanzo di Lydie Salvayre, pubblicato in Francia da Gallimard nel 2006 e in Italia dalla casa editrice Bébert nel 2014, nella traduzione di Alice Cibelli.

Ho passato dieci anni in una strana repubblica.
Un giorno ho aperto gli occhi e mi sono guardata. Il mio viso era brutto. Avevo un sorriso falso, l’anima nevrastenica. Una mano mi agguantava il cuore, torcendolo. La mia vita la portavo come si porta una bisaccia.
Sapevo che bisognava andare.
Ho preso autostrade. Attraversato mari, fiumi e quattro continenti. Avanzavo velocemente e senza voltarmi. Come si scappa dopo un omicidio. Sono stata tentata, talvolta, di rinunciare al viaggio e fare ritorno al mio sonno abietto. Ma mai, ciononostante, ho abbandonato il mio ritmo. Volevo allontanarmi da un paese dove gli uomini si spengono a forza di sottomettersi.

Eccomi in mezzo a voi, dopo una lunga notte.
Ritornata in me.
A ognuno chiedo: ha visto un uomo?
Io cerco un uomo. Cerco un uomo con gli occhi per vedere, una lingua per giurare e al disotto un’anima.

Perché nella repubblica da dove vengo, gli uomini non hanno più né occhi né lingua. Dicono di sì a tutto. Applaudono a tutto. Leccano e accarezzano. Non recalcitrano davanti agli intralci. Fanno docilmente lavori che uccidono. E senza esserne obbligati, si attaccano alle macchine che li tengono prigionieri come bestie da circo.

A volte uno di loro esplode. E i cacciatori d’immagini accorrono subito per filmare l’incendio ritrasmesso dalle televisioni in diretta. L’effetto è garantito.

A volte un altro reso folle a furia di tacere, lancia un lungo grido e i tecnici del suono accorrono subito per completare la loro collezione di grida. Tra gli umani ce ne sarebbero, si dice, seicento cinquanta tipi.

Ha visto un uomo?
Io cerco un uomo.
Cerco un uomo la cui lingua sia stanca di leccare.
Cerco un uomo con sei coltelli nelle tasche e in bocca mille ingiurie di Spagna pronte a fulminare.
Nella repubblica da dove vengo, gli uomini indietreggiano impauriti non appena si accenna un gesto di dolcezza, come fanno le bestie da tempo abbandonate. Non è sorprendente?

Nella repubblica da dove vengo, ci si mostra avidi di commemorazioni varie di primo livello ereditate direttamente dai barbari, tra cui figura anche questa, che consistono nel festeggiare i grandi massacri della Storia con fanfare vigorose, bandiere, discorsi e cortei, tutto assai vibrante.

Nella repubblica da dove vengo, gli amanti innamorati d’amore non muoiono più e s’inviano email infarcite di mediocrità e nomi di volatili.
Un comportamento simile, tutto sommato esente da qualunque rischio d’infettività, non comprometterebbe il futuro sessuale di una nazione e il suo futuro in generale? Non rischierebbe alla lunga di sdolcinare se non di silurare una cultura dove la grazia dello scritto trova il suo fondamento nell’ardore voluttuoso e viceversa?

L’ultimo pazzo è morto
E così anche l’ultimo amante
Il paese va a gonfie vele, Rachele

Voi lo credereste? Il rispetto, nella repubblica da dove vengo, non va ai santi, agli eroi, né ai banditi di grande calibro. Va ai ricchi, ai bellimbusti, agli imbecilli e ai commercianti.
I commercianti laggiù non sono messi a morte, contrariamente a come dappertutto avviene.

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