30 settembre 2015 11:39

Ci sono venti milioni di profughi nel mondo, la maggior parte dei quali bambini. Circa 1,6 milioni di siriani vivono in Libano e un numero maggiore in Turchia. Le agenzie umanitarie faticano a garantirgli la sussistenza. A luglio il Programma alimentare mondiale (Pam) ha tagliato gli aiuti ai profughi in Medio Oriente, affermando che i fondi per le sue attività in quella regione sono stati tagliati dell’81 per cento.

Secondo un rapporto diffuso questo mese da due centri di ricerca, l’Overseas development institute e il Centre for global development (Cgd), le risorse disponibili per l’aiuto allo sviluppo sarebbero più efficaci se i donatori versassero più denaro e fornissero meno beni materiali.

Le agenzie umanitarie spesso non prendono le decisioni migliori per spendere le loro scarse risorse

Molti paesi non industrializzati aiutano i loro cittadini in difficoltà dandogli denaro contante per uscire dalla povertà. Ma nel 2014 il denaro contante ha rappresentato meno del 6 per cento degli aiuti umanitari. Si teme, infatti, che i profughi, come altre persone in situazioni disperate, non usino il denaro in maniera adeguata. Sendhil Mullainathan dell’università di Harvard spiega che la povertà porterebbe a sviluppare una “mentalità da carenza”, spingendo le persone a prendere delle decisioni sbagliate, in parte perché sopravvalutano i benefici immediati rispetto a quelli futuri.

Abhijit Banerjee e Esther Duflo del Massachussets institute of technology citano l’esempio dell’India, dove i poveri spesso dichiarano quanto sia difficile resistere alla tentazione di comprare del tè zuccherato, una leccornia costosa che crea sollievo durante i giorni difficili ma ha uno scarso apporto nutritivo.

In teoria, fornire ai profughi un aiuto in beni materiali garantisce che gli siano forniti i beni e i servizi di cui hanno davvero bisogno. Sfortunatamente, però, le agenzie umanitarie agiscono anche peggio dei profughi quando si tratta di decidere come spendere le loro limitate risorse. Spesso inviano alcuni articoli in eccesso e una quantità insufficiente di altri. Uno studio di Reach, un’iniziativa dell’Onu, ha scoperto che il 70 per cento dei rifugiati siriani in Iraq aveva ceduto dei beni ricevuti dalle agenzie umanitarie in cambio di denaro, compresi addirittura i due terzi del riso che gli era stato assegnato.

Inoltre, anche se gli aiuti in beni di consumo riescono a risolvere uno degli aspetti debilitanti della povertà possono peggiorarne altri.

Il male olandese

I profughi, nel linguaggio dell’economia del benessere, soffrono di una mancanza di “competenza”. In molti casi conducono una vita non dignitosa, non godono dell’accettazione sociale e del diritto di esprimersi politicamente. Per ottenere gli aiuti delle agenzie umanitarie spesso sono obbligati a fare delle lunghe file in pubblico, il che è una fonte di vergogna.

Il sostegno in denaro, invece, può aumentare le loro capacità. Può essere fornito in maniera discreta, in particolare utilizzando carte prepagate, spiega Owen Barder del Cgd, uno degli autori del rapporto. Quando hanno del denaro in tasca le persone possono partecipare alla vita della loro comunità, perché sono in condizione di effettuare delle azioni (come ripagare i debiti, ospitare altre persone e contribuire alle cerimonie) che il solo aiuto in beni di consumo non gli permette di compiere.

L’opposizione tra denaro e aiuti in natura accende anche il dibattito macroeconomico. Una delle preoccupazioni è relativa al “male olandese”, un’espressione coniata da The Economist nel 1977 per definire un afflusso di denaro straniero che porta a un apprezzamento della valuta del paese che lo riceve e che rende meno competitive le esportazioni.

In un articolo pubblicato nel 2009, Arvind Subramanian e Raghuram Rajan, all’epoca entrambi all’Fmi, hanno scoperto che negli anni ottanta e novanta, più un paese riceveva aiuti umanitari, meno crescevano le sue industrie orientate all’esportazione. L’inflazione dovuta all’afflusso di denaro può anche far crescere il prezzo dei beni di base, come per esempio il cibo o gli affitti, a livelli inaccessibili per la popolazione del paese che ospita i profughi, generando malcontento.

Ma dare denaro ai profughi non causa necessariamente il male olandese. Prima di tutto perché il numero dei profughi nella maggioranza dei paesi è basso rispetto a quello degli abitanti. Anche in paesi dove sono in molti (in Libano è un profugo siriano circa una persona su quattro) è improbabile che un afflusso di denaro straniero si riveli un disastro.

Dal 2011 al 2014 gli aiuti umanitari diretti in Libano (in denaro o in natura) sono stati pari ad appena l’1,3 per cento del pil libanese, secondo i calcoli di Barder e Theodore Talbot, della Cgd. Un afflusso di denaro può aumentare l’inflazione, ma anche creare posti di lavoro e stimolare la crescita dell’economia che lo riceve.

Senza contare che anche l’alternativa, ovvero l’aiuto in natura, ha le sue conseguenze macroeconomiche.

Migliaia di giubbotti di salvataggio usati per i migranti, sulla spiaggia dell’isola di Lesbo, il 28 settembre 2015. (Aris Messinins, Afp)

L’economia locale rischia di soffrire le conseguenze dell’arrivo incontrollato di beni e servizi. Un paper di tre specialisti dell’università di San Francisco ha studiato il caso di Toms, un’azienda che regala ai bambini poveri un paio di scarpe per ogni paio venduto ai suoi clienti. Chi ha ricevuto un paio di Toms in regalo, com’era prevedibile, era meno invogliato a comprare un paio di scarpe di sua iniziativa, danneggiando così la locale industria calzaturiera.

Altri studi suggeriscono che l’aiuto alimentare riduce i prezzi delle materie prime locali, indebolendo così i produttori locali di cibo (procurarsi i prodotti alimentari al livello locale aggira il problema: i tre quarti del cibo acquistato dal Pam nel 2012, per un valore totale di 1,1 miliardi di dollari, provenivano da paesi non industrializzati).

Più leggero, più veloce, più difficile da rubare

I principali vantaggi del denaro sono di ordine pratico. È relativamente facile lucrare sugli aiuti umanitari o truccare un contratto di approvvigionamento. Più difficile è sottrarre denaro trasferito telematicamente. Un rapporto dell’International rescue committee, un’organizzazione non governativa, non ha trovato prove che dimostrino che l’assistenza in denaro ai rifugiati siriani in Libano genera corruzione. La tecnologia permette ulteriori progressi. La Giordania, che accoglie un milione di profughi siriani, è il primo paese a usare dispositivi di riconoscimento dell’iride per essere sicura che gli aiuti arrivino alle persone designate, che possono riceverli solo dopo che una scansione ne ha confermato l’identità.

Il denaro è inoltre molto più semplice da distribuire. Il governo statunitense ha calcolato che il trasporto e altre spese generali rappresentano il 65 per cento delle spese destinate all’aiuto alimentare d’emergenza. Si potrebbe aiutare circa il 20 per cento di persone in più senza costi supplementari se tutti ricevessero aiuti in denaro invece di cibo, secondo uno studio del 2012 sugli aiuti umanitari in Ecuador, in Niger, in Uganda e nello Yemen effettuato da ricercatori dell’International food policy research institute.

Il denaro presenta alcuni problemi: in situazioni di emergenza, quando i negozi sono chiusi, può essere inutile. Ma se si vuole che quei venti milioni di rifugiati possano sperare in una vita dignitosa, dovrebbe avere un ruolo molto maggiore.

(Traduzione di Federico Ferrone)

Questo articolo è uscito sul settimanale britannico The Economist.

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