20 aprile 2016 15:10

Alcuni scienziati hanno dichiarato che ridurre lo spreco di cibo in tutto il mondo contribuirebbe a limitare le emissioni dei gas che riscaldano il pianeta, diminuendo alcuni degli effetti dei cambiamenti climatici, come per esempio le condizioni climatiche più estreme e l’innalzamento del livello dei mari. Entro il 2050 sarebbe possibile tagliare circa il 14 per cento delle emissioni provenienti dall’agricoltura gestendo in modo migliore l’uso e la distribuzione del cibo, secondo uno studio del Potsdam Institute for Climate Impact Research (Pik).

“L’agricoltura è una delle principali cause dei cambiamenti climatici, ed è responsabile di oltre il 20 per cento di tutti i gas serra emessi nel 2010”, ha spiegato il coautore Prajal Pradhan. “Evitare lo spreco e la perdita di cibo eviterebbe inutili emissioni di gas serra e contribuirebbe a mitigare i cambiamenti climatici”.

Tra il 30 e il 40 per cento del cibo prodotto nel mondo non viene mai consumato, perché scartato dopo la raccolta o durante il trasporto, o perché gettato via da negozi e consumatori. Si prevede che la quantità di cibo sprecata aumenti drasticamente, se Cina e India si abitueranno a mangiare più carne, come già fanno gli occidentali.

La riduzione degli sprechi alimentari potrebbe anche diminuire la fame nel mondo

I paesi più ricchi tendono a consumare più cibo di quanto sarebbe salutare fare o semplicemente a sprecarlo, hanno aggiunto i ricercatori. Con lo sviluppo dei paesi più poveri e la crescita della popolazione mondiale, le emissioni legate allo spreco di cibo potrebbero aumentare, passando dalle 0,5 gigatonnellate di equivalente di diossido di carbonio all’anno a una quantità compresa tra le 1,9 e 2,5 gigatonnellate all’anno entro metà secolo, come mostrato dallo studio pubblicato nella rivista Environmental Science & Technology.

I ricercatori hanno scoperto che la domanda globale media di cibo per persona rimane praticamente costante, ma che negli ultimi cinquant’anni la disponibilità di cibo è rapidamente cresciuta. È così che le emissioni di gas legate al surplus di cibo si sono impennate di oltre il trecento per cento.

Un’idea ampiamente condivisa è che la riduzione dello spreco alimentare e la distribuzione della produzione in eccesso laddove c’è un maggiore bisogno potrebbe anche ridurre la fame nelle aree con problemi di cibo, tenendo peraltro conto della scarsa disponibilità di terra per aumentare la produzione alimentare.

Ma Jürgen Kropp, un altro dei coautori dello studio nonché direttore del dipartimento sui cambiamenti climatici del Pik, ha dichiarato alla Thomson Reuters Foundation che andrebbe dato maggiore risalto a quanto la riduzione degli sprechi alimentari potrebbe diminuire le emissioni.

Obiettivi per il 2030

Lo studio non si sofferma su come ridurre lo spreco di cibo, ma si stanno già diffondendo alcune iniziative per contrastare il problema, sia nei paesi ricchi che in quelli in via di sviluppo.

A gennaio, per esempio, trenta capi d’azienda, ministri e funzionari, insieme a fondazioni, gruppi di ricerca e organizzazioni benefiche hanno creato una coalizione che cerca di ridurre del cinquanta per cento lo spreco alimentare e diminuire in maniera significativa la perdita di cibo entro il 2030. La loro missione è in linea coi nuovi obiettivi globali di sviluppo entrati in vigore quest’anno. Champions 12.3 – questo il nome dell’iniziativa, che prende spunto dal livello di spreco alimentare pro capita da raggiungere entro il 2030 – include i capi di Tesco, Nestlé, Rabobank, Unilever, Oxfam America, Wwf international e Rockefeller Foundation.

Andrew Steer, un altro membro della coalizione che guida il World Resources Institute, ha fatto notare che se lo spreco e la perdita alimentare fossero un paese, sarebbero il terzo maggiore responsabile di emissione di gas serra al mondo. “La perdita e lo spreco di cibo colpiscono le persone, costano denaro e danneggiano il pianeta”, ha dichiarato in un comunicato. “Diminuirli è una cosa semplicissima”.

(Traduzione di Federico Ferrone)

Questo articolo è stato pubblicato dalla Thompson Reuters Foundation.

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