16 gennaio 2020 15:33

Alejandro Giammattei, insediato come presidente del Guatemala il 14 gennaio, non ha avuto vita facile nella sua ascesa al potere. Quest’uomo di 63 anni si è ammalato di sclerosi multipla in gioventù e per camminare deve usare delle stampelle. Il suo unico incarico governativo in passato è stato un breve passaggio, una decina d’anni fa, come capo delle prigioni del paese, che si era concluso con la sua stessa incarcerazione per dieci mesi mentre era in corso un’indagine sull’uccisione di sette detenuti. Le accuse sono poi state fatte cadere.

Ha alle spalle vent’anni di trascorsi come candidato perdente nelle elezioni presidenziali e in quelle a sindaco della capitale, Città del Guatemala. Stavolta alcuni rivali più popolari sono stati esclusi dalle liste.

Il paese che si appresta a guidare, inoltre, è ferito. La criminalità è alta, la corruzione è incontrastata e centinaia di migliaia di guatelmatechi ogni anno partono per gli Stati Uniti in cerca di una vita migliore. La risposta di Giammattei, scritta in inglese su un braccialetto colore blu guatemalteco, è hope (speranza).

L’immunità di Morales
Il suo predecessore, l’ex comico e outsider politico Jimmy Morales, eletto nel 2015 sull’onda di un voto di protesta contro la corruzione, non è riuscito a dare nessuna speranza. Anzi, ha scacciato un’agenzia anticorruzione sostenuta dall’Onu, la Commissione internazionale contro l’impunità (Cicig), che aveva indagato su sue presunte violazioni delle leggi sul finanziamento in campagna elettorale (un’accusa che lui respinge). Dopo aver ceduto il potere a Giammattei, Morales si affretterà a raggiungere l’altro lato della città per prestare giuramento come parlamentare, una posizione che potrebbe garantirgli l’immunità. Giammattei sostiene che uno dei suoi primi compiti come presidente sarà quello di “ricostruire i pezzi di governo che sono stati ignorati”.

Giammattei è più preoccupato della criminalità violenta. Ma soprattutto intende promuovere la crescita

Quest’affermazione non lascia presagire una lotta alla corruzione. Giammattei condivide con Morales lo scetticismo nei confronti della Cicig, che aveva avviato l’indagine che ha portato alla sua incarcerazione. Sostiene che sotto la supervisione della Cicig la corruzione sia peggiorata, e progetta di sostituirla con una commissione “nazionale” anticorruzione, dalle prerogative ancora poco chiare. Gli attivisti dubitano che il governo eserciterà su di sé un’efficace attività di sorveglianza.

Giammattei è più preoccupato della criminalità violenta. La sua retorica e il suo passato promettono un approccio militaristico. Ma soprattutto intende promuovere la crescita. Gli ottimisti lo paragonano a politici liberisti come Álvaro Arzú negli anni novanta e Óscar Berger nel primo decennio del duemila. Se la crescita economica non salirà dal 3 per cento al 5 o 6 per cento, “non riusciremo a far uscire la gente dalla povertà”, afferma Tony Malouf, il prossimo ministro dell’economia ed ex presidente della principale camera di commercio del Guatemala.

Malouf vuole ottenere tale risultato anche raddoppiando le esportazioni. Dopo la vittoria elettorale di Giammattei, ad agosto ha visitato quasi una dozzina di paesi per stimolare gli investimenti. Alleandosi alla “destra imprenditoriale”, la sua amministrazione potrebbe ottenere un livello di competenza mai visto negli ultimi governi, secondo il giornalista Juan Luis Font.

Malnutrizione e migranti
Giammattei rifiuta l’opinione diffusa secondo la quale le sue politiche conservatrici e liberiste vadano di pari passo con la sua indifferenza per gli indigeni poveri del Guatemala. Quando gli è stato chiesto che cosa farà il suo governo per i poveri delle campagne, ha mostrato una foto di un bambino malnutrito sul suo telefono. “Questa è la realtà di un milione di bambini in Guatemala”, ha detto, promettendo una “crociata alimentare”.

Costruendo strade negli altopiani occidentali, da dove provengono molti migranti, e attirando investimenti nella regione, Giammattei spera di erigere un “muro di prosperità” che tamponi l’esodo. Per farlo serviranno anche investimenti pubblici, oggi estremamente bassi. Le entrate fiscali sono il 10 per cento del pil, la percentuale più bassa di tutta l’America Latina.

Il partito di Giammattei, Vamos (Andiamo), che controlla un decimo dei seggi parlamentari, non può riscuotere tasse da solo. Ha poco controllo sul modo in cui il Guatemala gestirà i migranti provenienti da altri paesi e diretti negli Stati Uniti. Giammattei, inoltre, non ha visto i dettagli dell’impopolare “accordo di paese terzo sicuro” raggiunto sottobanco da Morales e dal presidente Donald Trump, secondo cui gli Stati Uniti possono rispedire in Guatemala i richiedenti asilo centroamericani che hanno attraversato il paese. “Non ho detto di essere contrario. Non ho detto di essere favorevole”, afferma Giammattei. “Ho solo detto: fatemi vedere i documenti”.

Non potrà tirarsi fuori dall’accordo senza fare infuriare Trump. La sua speranza è quindi che poche delle persone espulse dagli Stati Uniti scelgano di restare in Guatemala. Il “pericolo” non sembra effettivamente concreto. Dei 33 cittadini di Honduras e Salvador arrivati in un centro d’accoglienza, lo scorso 6 gennaio, solo uno prevede di chiedere asilo nel paese, come ha riferito alla stampa locale Mauro Verzeletti, il prete che gestisce il luogo. Se Giammattei riuscirà a riportare la speranza in Guatemala, però, i piani dei migranti potrebbero cambiare.

(Traduzione di Federico Ferrone)

Questo articolo è uscito sul quotidiano britannico The Economist.

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