06 luglio 2020 14:38

Per i presidenti che vogliono truccare un’elezione c’è uno schema consolidato. Primo, usare le risorse dello stato per corrompere, ingannare e intimidire le persone prima che vadano alle urne. Quando si aprono i seggi, bloccarne l’accesso o falsificare i risultati. Dopodiché, assicurarsi di avere il sostegno di esercito e giudici nel caso gli avversari manifestino la loro opposizione in piazza o in tribunale.

Quando nel maggio del 2019 il presidente in carica Peter Mutharika è stato dichiarato vincitore delle elezioni in Malawi, il suo è sembrato un caso da manuale di brogli elettorali. Le schede erano state modificate con il bianchetto. Le lamentele degli osservatori internazionali sono state tiepide. Ma i cittadini del Malawi hanno contrattaccato.

Gli attivisti hanno organizzato pacifiche manifestazioni di protesta. I partiti d’opposizione si sono rivolti alla corte costituzionale. A febbraio i giudici dell’alta corte, a quanto pare dopo aver rifiutato delle bustarelle, hanno reso possibile una ripetizione delle elezioni, che si è svolta il 23 giugno.

Risorgere dopo le sconfitte
Il risultato, annunciato il 27 giugno, ha sancito la vittoria di Lazarus Chakwera, del Partito del congresso del Malawi (Mcp) e della sua coalizione di opposizione, che ha ottenuto il 59 per cento dei 4,4 milioni di voti espressi. Mutharika ha ottenuto il 40 per cento. Il margine di sconfitta è stato tale che l’ormai ex presidente non ha avuto alcuna possibilità di mettere in discussione l’esito delle votazioni.

Lazarus è un nome calzante per un politico la cui carriera sembrava finita un anno fa. È anche un segno della sua religiosità, poiché suo padre, un agricoltore che aveva già perso due figli maschi quand’erano bambini, ha dato al futuro presidente il nome dell’uomo che Gesù avrebbe fatto tornare in vita dopo la morte. Chakwera è diventato un teologo, e ha guidato la sezione del Malawi della chiesa delle Assemblee di dio, che fa parte della rete pentecostale. Nel 2013 ha svestito gli abiti religiosi per lanciarsi in campagna elettorale. È diventato capo dell’Mcp, che ha faticato a scrollarsi di dosso la sua eredità di formazione politica di Hastings Banda, il dittatore che guidò il Malawi dal 1964 al 1994.

Non basteranno le preghiere per migliorare la condizione dei cittadini del Malawi

Il Malawi è uno dei paesi più religiosi dell’Africa. Più dell’81 per cento dei malawiani afferma di fidarsi dei leader religiosi, rispetto a una media del 69 per cento nei 34 paesi recentemente coinvolti in un’inchiesta di Afrobarometer, un’azienda di sondaggi panafricana. La cosa ha reso più semplice, per Chakwera, presentarsi come un’alternativa onesta a Mutharika, considerato corrotto da molti.

Però non basteranno le preghiere per migliorare la condizione dei cittadini del Malawi. Chakwera ha promesso un milione di nuovi posti di lavoro e sussidi per i fertilizzanti: una promessa allettante per un’economia perlopiù agraria. Ma sarà difficile trovare i fondi per mantenere queste promesse. Il paese è uno dei più poveri al mondo: il 70 per cento dei suoi abitanti vive con meno di 1,90 dollari al giorno (a parità di potere d’acquisto). Molti servizi pubblici dipendono dagli aiuti internazionali. E si prevede che il pil pro capite diminuirà sia quest’anno sia il prossimo, a causa del covid-19.

In ogni caso il Malawi merita di assaporare la sua vittoria. Ha mostrato l’importanza d’istituzioni forti in democrazie fragili. Giudici indipendenti, una vibrante società civile, mezzi d’informazione risoluti, un parlamento forte: tutti elementi che rendono più difficile, per un capo di stato equivoco, rimanere attaccato al potere. La loro stabile, anche se disuguale, ascesa in tutto il continente è una delle ragioni che spiegano i 32 avvicendamenti di potere pacifici avvenuti in Africa dal 2015. E perché, in 19 di questi casi, sia stato un capo di stato al potere a farsi da parte. Il Malawi è un segno che la politica in Africa sta diventando più competitiva. I politici e i partiti che si affrontano hanno più di un incentivo a garantire miglioramenti nelle vite degli elettori, in Africa come altrove.

(Traduzione di Federico Ferrone)

Questo articolo è uscito sul settimanale britannico The Economist.

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