07 ottobre 2020 16:57

Un passaporto dell’Unione europea è uno dei documenti più desiderabili al mondo. Chi lo detiene può vivere e lavorare in 27 diversi paesi, tutti prosperi e in pace. Molti hanno anche una cucina eccellente. Nella grande lotteria del diritto per nascita a una cittadinanza, coloro che possiedono un biglietto colore bordeaux con su scritto Unione europea sono tra i fortunati vincitori.

Attribuire un prezzo a questo documento è difficile, ma Cipro c’è riuscita. Chi investe 2,2 milioni di euro nell’isola può ottenere un passaporto cipriota con tutti i benefici che derivano dall’essere cittadino dell’Ue. Malta ha un programma simile (al costo di poco più di un milione di euro, è anche sensibilmente meno caro) per chiunque sia stanco di viaggiare con documenti che aprono meno porte.

Per visualizzare questo contenuto, accetta i cookie di tipo marketing.

Non tutti pensano che sia una buona idea. In un suo recente discorso, Ursula von der Leyen, la presidente della Commissione europea, ha citato questi “passaporti d’oro” come una delle minacce allo stato di diritto in Europa, insieme all’intimidazione dei giudici. Il suo fastidio è comprensibile. Dal momento che chiunque possieda un passaporto dell’Ue può muoversi liberamente al suo interno, quello che rappresenta un guadagno facile per il governo di Cipro può generare problemi per il resto dell’Unione. Cipro ha incassato sette miliardi di dollari grazie al programma lanciato nel 2013, pari a un quarto del pil annuale dell’isola. Ha venduto passaporti a molte persone ricche ma sgradevoli, che adesso sono libere di trasferirsi in Germania o Francia.

Vietare simili vendite sarebbe una decisione popolare. Ma la questione non è semplice. Decidere chi abbia diritto a essere un cittadino è un diritto gelosamente custodito da ogni stato dell’Ue. Tutti i paesi dell’unione concedono passaporti per ragioni che vanno oltre i classici motivi, come la naturalizzazione di chi sposa un loro cittadino o di chi vive nel paese abbastanza a lungo. Alcuni paesi li concedono per ottenere il favore delle comunità della diaspora, fare ammenda per azioni commesse in passato, o creare nuovi elettori. Può darsi che essere un cittadino dell’Ue comporti diritti comuni. Ma c’è forte disaccordo, tra gli stati membri, su chi dovrebbe avere il diritto di esserlo.

Alcuni paesi dell’Ue, in particolare quelli con grandi diaspore, distribuiscono passaporti bordeaux come un venditore di vini all’ingrosso a Natale. L’Irlanda permette a chiunque abbia un nonno irlandese di rivendicare la cittadinanza del paese. Visto il gran numero d’irlandesi emigranti in passato, esiste oggi un numero incalcolabile di potenziali irlandesi all’estero. Nella sola Gran Bretagna circa sei milioni di persone potrebbero avere il diritto a un passaporto irlandese. Ovvero una popolazione del 20 per cento circa superiore a quella che vive effettivamente in Irlanda oggi. E grazie alla Brexit in molti potrebbero avere un buon motivo per richiederlo. Chiunque abbia un antenato maschio italiano ha la possibilità di richiedere un passaporto italiano. In via patrilineare non esiste un limite temporale, e questo diritto arriva indietro nel tempo fino al 1861, anno di nascita dell’Italia (i diritti dei discendenti di donne partono solo dal 1948). Tra il 1998 e il 2010 un milione di persone ha ottenuto un passaporto italiano in questo modo. Secondo una stima, in tutto il globo ci sono sessanta milioni di potenziali cittadini italiani (tuttavia molti di loro si sono trasferiti in paesi ancora più ricchi, come gli Stati Uniti, ed è improbabile che facciano ritorno nel paese degli avi).

Origini da recuperare
I passaporti possono essere distribuiti anche per motivi politici. Il più smaliziato di tutti, in questo senso, è stato il primo ministro ungherese Viktor Orbán. Dopo che la prima guerra mondiale ha portato alla ridefinizione dei confini dell’Europa orientale, cittadini d’origine ungherese si sono ritrovati sparsi nei paesi vicini, come Serbia e Romania. Il governo di Orbán ha facilitato le regole per ottenere la cittadinanza, nel tentativo di naturalizzare e concedere il diritto di voto a un milione di queste persone. Tra il 2011 e il 2016, sono stati creati ogni anno 180mila nuovi cittadini ungheresi: più delle naturalizzazioni in Francia e Germania messe insieme, secondo Yossi Harpaz, autore di Citizenship 2.0. Dual nationality as a global asset (Cittadinanza 2.0. La doppia nazionalità come bene globale), un libro sulla doppia nazionalità. Chiunque possa dimostrare di avere origini familiari nelle aree rilevanti dell’impero austroungarico, ed è disposto a imparare l’ungherese – una lingua notoriamente difficile – può richiedere un passaporto (come prevedibile, scuole di ungherese sono apparse in tutta la Serbia). La strategia ha funzionato: quando questi nuovi cittadini ungheresi votano, sostengono in grandissima maggioranza proprio Orbán.

Anche offrire la cittadinanza come atto di espiazione storica è una pratica comune. L’Austria, che altrimenti pone limitazioni alla doppia nazionalità, permette oggi ai discendenti di ebrei espulsi, o fuggiti, durante gli anni trenta e quaranta di richiedere un passaporto. Un simile diritto esiste in Germania, ed è iscritto nella costituzione del paese. La Spagna si spinge ancora più indietro nel tempo, permettendo ai discendenti degli ebrei sefarditi cacciati nel quindicesimo secolo di reclamare la cittadinanza spagnola (i discendenti dei musulmani cacciati nello stesso periodo non hanno una simile fortuna).

Alcuni paesi hanno un approccio opposto e concedono difficilmente un passaporto. Al pari dell’Austria, Paesi Bassi e Germania hanno regole severe nell’attribuire la doppia nazionalità a chi viene da paesi extra Ue. In un’era in cui i cittadini venivano regolarmente arruolati nell’esercito per sterminare i loro vicini, simili limitazioni alla doppia nazionalità avevano senso. Oggi appaiono obsolete e hanno l’unica funzione di rendere gli immigrati – che potrebbero non voler rinunciare alla loro altra nazionalità – in una posizione di costante marginalità.

Poiché i passaporti sono visti, da un lato, come un bene o uno strumento politico e, dall’altro, come un’adesione civile valida per tutta la vita, stabilire delle regole comuni per la loro attribuzione è quasi impossibile. Anche se gli stati sono ben felici di puntare il dito contro Malta e Cipro, non amano essere criticati per il modo in cui essi stessi assegnano la cittadinanza. Alcuni probabilmente sono contrari all’idea di limitare la doppia nazionalità. Altri probabilmente sono preoccupati dalle ignote dimensioni delle diaspore italiane e irlandesi, che potrebbero trasformarsi in cittadini dell’Ue. Ed è decisamente fuori luogo che l’Ue si pronunci sul modo in cui i paesi debbano fare ammenda per le proprie responsabilità nell’Olocausto. È chiaro che prima di qualsiasi decisione sul divieto di vendere passaporti dell’Ue, sarebbe necessaria una chiara definizione di chi abbia diritto a tali passaporti. Ma la cosa rischia di rivelarsi molto complicata.

Un approccio alla Al Capone potrebbe essere sufficiente all’Ue per mettere fine ai programmi portati oggi avanti da Malta e Cipro. Invece d’impedire loro di vendere passaporti tout court, Bruxelles potrebbe perseguire questi paesi ai sensi delle leggi sul riciclaggio di denaro, rendendo la vita difficile ai nuovi arrivati meno raccomandabili. Ma uno stato agguerrito – insieme ad alcuni astuti avvocati – potrebbe comunque essere in grado di tenere in vita questo commercio di passaporti. Attribuire una cittadinanza è un enorme potere ed è improbabile che gli stati membri vi rinuncino. Questo significa, probabilmente, che dovranno accettare che i loro vicini vendano passaporti a dei plutocrati.

(Traduzione di Federico Ferrone)

Questo articolo è uscito sul settimanale britannico The Economist.

Leggi anche:

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it