23 novembre 2021 15:29

Il calcestruzzo fu messo a punto dai romani, e il loro lascito è ancora visibile nella magnifica copertura del Pantheon, la più grande cupola al mondo in calcestruzzo non armato. Da quando fu completato intorno al 125 dopo Cristo dall’imperatore Adriano, di calcestruzzo ne è stato versato moltissimo – attualmente circa trenta miliardi di tonnellate all’anno – per costruire edifici, strade, ponti, dighe e altre strutture. Oggi è il materiale per l’edilizia più diffuso sul pianeta e la domanda è in crescita.

Si tratta di una cattiva notizia per il riscaldamento globale. Il problema è che l’ingrediente fondamentale del calcestruzzo, il cemento (polvere di silicati a cui aggiungere sabbia, ghiaia e acqua per ottenere il calcestruzzo), è responsabile di un’enorme quantità di emissioni di gas serra: i cinque miliardi di tonnellate di cemento prodotti ogni anno rappresentano l’otto per cento delle emissioni mondiali di anidride carbonica (CO2) legate alle attività umane. Se l’industria del cemento fosse un paese, sarebbe il terzo al mondo per emissioni dopo Cina e Stati Uniti.

Al momento esistono poche alternative pratiche al calcestruzzo. Sta aumentando l’interesse per il legno lamellare a strati incrociati (Clt), che è prodotto a partire dagli alberi e quindi può essere una risorsa rinnovabile, ed è impiegato anche nella realizzazione di alcuni grattacieli. Ma paragonato al calcestruzzo, il Clt per ora resta un materiale ancora poco diffuso. I principali utilizzatori di calcestruzzo, in particolare la Cina che produce oltre la metà del cemento mondiale, non ne faranno a meno in tempi brevi. Quindi l’idea di rendere più sostenibile questo settore potrebbe sembrare un’impresa disperata. Ma non lo è, perché sono in fase di sviluppo nuove tecnologie per rendere il cemento più “verde”. Forse abbastanza verde da far sì che assorba l’anidride carbonica anziché rilasciarla nell’atmosfera.

Roba che scotta
Il punto di partenza è là dove le emissioni sono maggiori. Il primo passo per produrre il cemento è l’estrazione del calcare, che ha come componente principale il carbonato di calcio (CaCO3). Il calcare è miscelato con l’argilla e passato in un forno rotativo a più di 1.400 gradi centigradi, attraverso un processo chiamato “calcinazione”. Il calore estrae il carbonio e una parte dell’ossigeno, che combinandosi tra loro formano CO2. Gli agglomerati rimanenti, detti clinker, sono costituiti da complessi molecolari di ossido di calcio e silice, noti come silicati di calcio. Il clinker viene quindi raffreddato e macinato per ottenere il cemento. Oltre la metà delle emissioni legate alla produzione del cemento sono una conseguenza della calcinazione, e la maggior parte di quelle rimanenti deriva dalla combustione del carbone e di altre fonti fossili impiegate per alimentare il processo. Complessivamente, per ogni tonnellata di cemento fresco ne viene rilasciata quasi una di CO2.

Le aziende stanno sviluppando attrezzature in grado di catturare l’anidride carbonica direttamente dai forni per il cemento

Secondo uno studio condotto da Paul Fennell con i colleghi dell’Imperial College di Londra e pubblicato all’inizio di quest’anno sulla rivista Joule, dal momento che con la calcinazione è inevitabile che si generi CO2, l’approccio più efficace per decarbonizzare l’industria del cemento sarebbe la cattura e lo stoccaggio dell’anidride carbonica prima che sia immessa nell’atmosfera. Si potrebbe conservare l’anidride carbonica nel sottosuolo oppure usarla in altri settori industriali, per esempio per produrre carburanti sintetici. Ma si potrebbe anche iniettarla nel calcestruzzo quando viene miscelato con l’acqua per favorire le reazioni chimiche che provocano l’indurimento del cemento (polimerizzazione). La CO2 ha un effetto simile, e si ferma allo stadio di carbonato di calcio.

In effetti, invertire il processo di calcinazione in questo modo rende il calcestruzzo più resistente rispetto a quando si usa solo l’acqua. Così è possibile ridurre le emissioni legate alla realizzazione di una determinata opera e usare anche meno cemento, andando ad abbattere ulteriormente le emissioni complessive. Secondo l’azienda di consulenza McKinsey, la calcinazione inversa potrebbe catturare fino al 5 per cento delle emissioni prodotte dal cemento, e con l’evoluzione della tecnologia si potrebbe arrivare al 30 per cento.

Diverse aziende stanno imboccando questa strada. La canadese CarbonCure ha installato in oltre 400 impianti di sua proprietà in tutto il mondo apparecchiature che iniettano CO2 nel calcestruzzo premiscelato. Questo metodo è stato usato per costruire diversi edifici, tra cui un nuovo campus della Amazon (che è un’azionista della CarbonCure) in Virginia e uno stabilimento per l’assemblaggio di veicoli elettrici della General Motors a Spring Hill, nel Tennessee.

Finora la CO2 usata dalla CarbonCure è stata catturata da aziende che producono gas industriali. Ma le aziende stanno sviluppando attrezzature in grado di catturare l’anidride carbonica direttamente dai forni per il cemento. E la Calix, che ha sede a Sydney, in Australia, sta mettendo a punto un sistema ad alimentazione elettrica che riscalda il calcare in maniera indiretta, dall’esterno del forno anziché dal suo interno. Questo consente di catturare la CO2 pura senza dover ripulire i gas di combustione dalle fonti fossili bruciate dentro al forno: quindi, se l’elettricità usata provenisse da fonti non fossili, il cemento prodotto sarebbe completamente verde.

Un impianto pilota che usa questo sistema è stato avviato con successo nell’ambito di un progetto di ricerca dell’Unione europea in un sito in Belgio gestito dalla tedesca Heidelberg cement, tra le più grandi produttrici di cemento al mondo. Un impianto dimostrativo di dimensioni maggiori dovrebbe essere inaugurato nel 2023 ad Hannover, per contribuire a migliorare la tecnologia.

Spazzatura energetica
Un altro approccio – meno ecologico, ma comunque più sostenibile rispetto all’uso di combustibili fossili – è quello di sostituire parte del carbone bruciato nei forni rotativi con rifiuti urbani e industriali. Diverse aziende lo stanno già facendo. Per esempio la Cemex, gigante messicano di materiali per l’edilizia, che produce il Climafuel, combustibile ricavato da rifiuti urbani privati delle sostanze riciclabili, ricco di carbonio di origine vegetale (biomassa) presente nell’atmosfera fino a poco tempo prima e che vi sta semplicemente facendo ritorno, invece di essere stato estratto dal sottosuolo sotto forma di combustibile fossile. La Cemex ha sostituito con il Climafuel fino al 60 per cento del carbone impiegato in alcuni suoi cementifici britannici.

La soluzione sta nel migliorare la tecnologia per ricavare il calcestruzzo, in modo da usarne di meno per determinati lavori

Le aziende stanno anche cercando dei modi per sostituire con altri materiali una parte del cemento presente nel calcestruzzo. Molte vi aggiungono “ceneri volanti”, un sottoprodotto delle centrali elettriche a carbone, o scorie frantumate provenienti dagli altoforni adibiti alla produzione del ferro. Ma nessuna di queste soluzioni è sostenibile a lungo termine. Come osserva Peter Harrop, a capo della idTechEx, azienda britannica che si occupa di ricerche di mercato, e coautore di un nuovo rapporto sul futuro del calcestruzzo e del cemento, l’uso del carbone sta diminuendo e i produttori di acciaio puntano a tecnologie nuove e più pulite.

Secondo Harrop, una parte importante della soluzione sta nel migliorare la tecnologia per ricavare il calcestruzzo, in modo da usarne di meno per determinati lavori. Questo significa aggiungere altre sostanze, per esempio fibre sintetiche e naturali o anche il grafene, un materiale più resistente dell’acciaio costituito da fogli di carbonio spessi quanto un atomo: per ottenere risultati soddisfacenti ne servono solo piccole quantità.

Il grafene e altri rinforzi daranno vita a nuovi calcestruzzi dalle altissime prestazioni, che secondo Harrop saranno particolarmente indicati per la stampa 3d, grazie alla quale è possibile realizzare con precisione materiali stratificati usando dei robot e riducendo notevolmente gli sprechi. “Usare molto meno cemento è fondamentale”, ribadisce, soprattutto perché la produzione di cemento sembra destinata a raddoppiare nei prossimi vent’anni.

Anche gli additivi possono prolungare la durata del calcestruzzo e ridurre gli interventi di manutenzione. All’università del Michigan, Victor Li e i suoi colleghi usano fibre sintetiche e naturali, insieme all’iniezione di CO2, per realizzare un calcestruzzo pieghevole che chiamano Engineered cementitious composite, composito di cemento ingegnerizzato (Ecc). La struttura interna dell’Ecc è ispirata alla madreperla, un materiale flessibile che riveste l’interno delle conchiglie di alcuni molluschi, come abaloni e ostriche.

Grazie alla flessibilità di questo calcestruzzo, ponti e strade reggono più facilmente il traffico pesante e inoltre migliora la resistenza ai terremoti degli edifici più alti. Quando invecchia, l’Ecc sviluppa solo piccole crepe superficiali. Victor Li afferma che in questo modo è possibile fare a meno dell’acqua ed evitare la corrosione delle barre di rinforzo in acciaio presenti all’interno del calcestruzzo, cosa che può provocare lo sgretolamento del cemento armato nel giro di pochi anni, portando a volte al crollo della struttura.

Verso le emissioni zero e oltre
La sostituzione dei materiali potrebbe spingersi ancora più in là. La Solidia, un’azienda del New Jersey, negli Stati Uniti, produce un tipo di cemento che contiene silicati di calcio con un rapporto tra silice e ossido di calcio più elevato rispetto al Portland, la varietà standard. Questo ha due conseguenze: la prima è che il processo della Solidia richiede meno calore (quindi meno combustibile fossile) rispetto alla calcinazione convenzionale e rilascia meno CO2. La seconda è che, una volta miscelati nel calcestruzzo, i silicati ricchi di silice della Solidia possono essere polimerizzati più rapidamente rispetto al cemento normale, utilizzando CO2 al posto dell’acqua. La Solidia sta studiando gli impieghi per il suo cemento con uno dei suoi investitori, LafargeHolcim, colosso svizzero dei materiali da costruzione.

Avendo presenti tutti questi sviluppi, quanto potrebbe diventare ecologico il calcestruzzo? Fennell sostiene che, grazie a un migliore uso dell’energia e alla sostituzione di parte dei materiali, sarebbe abbastanza facile ridurre di circa l’80 per cento le emissioni di CO2 per tonnellata di calcestruzzo prodotta attualmente. Ma le aziende potrebbero fare molto di più passando a forni alimentati in gran parte o del tutto da biomasse, come il legno. Il carbonio contenuto nel legno sarebbe rilasciato nell’atmosfera sotto forma di CO2, ma se l’anidride carbonica ottenuta bruciando il legno fosse immagazzinata e non liberata, a mano a mano che nuovi alberi crescono per sostituire quelli bruciati ne risulterebbe un’uscita netta di carbonio dall’atmosfera.

Gli studiosi di modelli climatici ritengono che questa pista, chiamata bioenergy with carbon capture and storage, (bioenergia con cattura e stoccaggio dell’anidride carbonica, Beccs), sia tra quelle da percorrere per arrivare alle “emissioni negative” necessarie a raggiungere l’obiettivo delle emissioni nette zero o delle emissioni nette negative. Si parla spesso di produrre energia elettrica basata sulla Beccs, ma questa tecnologia potrebbe essere più adatta al cemento, perché in un mondo attento alla sostenibilità ambientale gli strumenti per la cattura della CO2 saranno una realtà, e saranno usati per gestire gli effetti della calcinazione. Se questo si verificasse, uno dei paria del riscaldamento globale potrebbe riscattarsi aiutando a ridurre i danni arrecati al pianeta e lasciandosi dietro un’eredità a suo modo impressionante come quella dei romani.

(Traduzione di Davide Musso)

Correzione, 11 ottobre 2023. Il Pantheon non fu completato da Adriano intorno al 125 avanti Cristo, com’era stato precedentemente scritto.

Questo articolo è uscito sul settimanale britannico The Economist.

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