28 gennaio 2024 10:48

Il 22 gennaio il colosso energetico statunitense Exxon Mobil ha avviato un’azione legale presso il tribunale di Houston, in Texas, contro due suoi azionisti che si battono per un’accelerazione dei piani d’uscita dell’azienda dalle fonti fossili, Arjuna Capital e Follow This. Come spiega il Financial Times, l’obiettivo è bloccare una mozione che la società d’investimento Arjuna Capital e il gruppo olandese di attivisti per il clima Follow This vogliono sottoporre alla prossima assemblea degli azionisti, prevista il 29 maggio, chiedendo di azzerare in tempi più brevi le emissioni del gruppo e quelle dei suoi clienti.

La Exxon sostiene che la mozione viola le regole della Securities and exchange commission (Sec, l’autorità di vigilanza della borsa statunitense). Dal momento che richieste simili erano già state bocciate dalla maggioranza degli azionisti nel 2022 e nel 2023, la Exxon ha deciso di appellarsi a una previsione della Sec secondo cui le proposte che non guadagnano consenso in un determinato periodo di tempo non possono essere ripresentate ogni anno. La multinazionale, inoltre, cita il divieto della Sec di avanzare richieste che cercano di indirizzare nei minimi dettagli le scelte dei dirigenti. La decisione del tribunale dovrebbe arrivare entro il 19 marzo.

Attualmente la Exxon prevede l’azzeramento delle sue emissioni entro il 2050 e, a differenza di alcuni concorrenti europei, finora ha resistito alle pressioni per fissare un limite alle emissioni, che di fatto costringerebbe il gruppo a produrre meno petrolio e gas. La prima dichiarazione in cui riconosceva pubblicamente che le fonti d’energia fossili sono una delle cause del riscaldamento climatico risale al 2006, ma da allora l’azienda ha cercato per anni di ridimensionare il problema.

Nel 2023 il Wall Street Journal ha preso visione di alcuni documenti interni da cui risulta che mentre in pubblico la Exxon si diceva preoccupata dei rischi per l’ambiente e sosteneva la necessità di un’azione globale per contrastarli, dietro le quinte “aveva un atteggiamento diverso: cercava di placare le paure sull’aumento delle temperature e offuscare le scoperte scientifiche che danneggiavano gli affari legati al petrolio e al gas”. Oggi tuttavia la strategia è cambiata, soprattutto dopo l’avvio di alcune azioni legali che accusano il gruppo di aver mentito sulla crisi climatica.

Le difficoltà della Exxon non sono un caso isolato. Da tempo tutti i grandi gruppi energetici sono costretti a rispondere a pressanti richieste di agire in modo più deciso contro la crisi climatica. Nel 2021 la Shell è stata perfino condannata da un tribunale olandese a ridurre le sue emissioni di anidride carbonica del 45 per cento entro il 2030. Nei primi giorni del 2024, invece, il gruppo statunitense Chevron ha annunciato che nel bilancio del 2023 registrerà svalutazioni per un valore compreso fra i 3,5 e i quattro miliardi di dollari a causa delle norme ambientali introdotte in California e dei problemi legati alla produzione di gas e petrolio nel golfo del Messico. Le difficoltà maggiori sono quelle con le autorità californiane, che hanno approvato una legge in base alla quale lo stato può “stabilire un tetto ai profitti ottenuti con i prodotti derivati dalla raffinazione del greggio”, scrive Bloomberg. Non è un caso che la Chevron abbia deciso di investire meno in California, dove risiede fin dalla sua fondazione, avvenuta 148 anni fa, e guardi con interesse a uno stato “più ospitale” come il Texas, dove oggi l’azienda ha più dipendenti che nell’area di San Francisco.

A ottobre del 2023 Mike Wirth, l’amministratore delegato della Chevron, ha dichiarato che le norme più severe, la pressione degli ambientalisti e le iniziative degli investitori attivisti “non possono distoglierci da quello che facciamo”. E ha aggiunto: “I nostri prodotti non sono il male”, ma qualcosa che ha “cambiato in meglio la qualità della vita sul pianeta”. Le sue parole non sono semplice retorica, ma esprimono la convinzione che il petrolio e il gas resteranno ancora a lungo materie prime molto richieste. In uno studio pubblicato lo scorso autunno l’Agenzia internazionale dell’energia (Iea) ha scritto che lo spostamento verso le rinnovabili è ormai inarrestabile, ma l’abbandono di quelle fossili non avverrà presto.

Secondo il World energy outlook dell’Iea, nel 2030 il numero delle auto con motore elettrico sarà dieci volte superiore; i pannelli solari produrranno più elettricità di quella assicurata attualmente dall’intero sistema statunitense; circa il 50 per cento delle fonti che generano elettricità saranno rinnovabili, contro il 30 per cento del 2023; le pompe di calore e altri sistemi di riscaldamento elettrico saranno più venduti di quelli alimentati dalle fonti fossili; gli impianti eolici offshore riceveranno tre volte gli investimenti destinati alle centrali elettriche a carbone e a gas. Tutto questo però non significa che presto si potrà fare a meno delle fonti fossili. Tutt’altro: il rapporto riconosce che il petrolio e il gas continueranno a giocare un ruolo essenziale nell’economia mondiale, anche se la quota dei carburanti fossili nell’offerta mondiale d’energia, per decenni stabilmente intorno all’80 per cento, dovrebbe scendere al 73 per cento nel 2030.

Non a caso le grandi aziende petrolifere sembrano aver aperto una corsa per assicurarsi una congrua quantità di riserve di greggio per il futuro. Le operazioni più significative sono quelle realizzate proprio dalla Exxon e dalla Chevron: quest’ultima il 23 ottobre 2023 ha comprato la Hess, un operatore attivo nel golfo del Messico, in Canada e soprattutto in Guyana e Suriname, dove ha scoperto uno dei giacimenti più importanti degli ultimi anni; due settimane prima, invece, la Exxon aveva rilevato la Pioneer Natural Resources, il principale operatore del bacino permiano, situato tra il Texas e il New Mexico, negli Stati Uniti. La cifra spesa per i due accordi, quasi 120 miliardi di dollari, è ai livelli di quelle investite negli anni novanta nelle fusioni che portarono alla creazione degli attuali colossi energetici globali.

Questo testo è tratto dalla newsletter Economica.

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