24 giugno 2019 10:07

Come mai solo il Partito democratico, al livello nazionale, subisce la tirannia degli ultrasettantenni? Perché non succede lo stesso tra i repubblicani? Ci si aspetterebbe l’esatto contrario, anche considerando che i democratici si presentano come il partito del progresso e del futuro. L’argomento ha ormai raggiunto lo status mitologico di altre domande senza risposta, come “Cosa c’è dopo la morte”? o “Perché Mick Taylor ha lasciato i Rolling Stones?”.

Oggi chi ha tra i 75 e gli 80 anni è in piena attività, mentre in epoche passate, a quell’età, era molto più probabile trovarsi già da tempo nella tomba. Il ragionamento vale soprattutto per i centri urbani del nordest e della costa atlantica centrale, come dimostra un recente studio sui dati del censimento condotto dall’Associated Press-Norc Center for public affairs research. In particolare, secondo lo studio, l’area di Washington guida la classifica della “partecipazione degli anziani alla forza lavoro”. In sostanza, quest’area geografica abbonda di individui ben oltre l’età pensionabile che in qualche modo continuano a lavorare.

Basta dare un’occhiata ai ranghi del Partito democratico alla camera dei rappresentanti. I repubblicani, per qualche motivo (magari l’attività governativa li annoia più dei rivali, oppure sono ansiosi di monetizzare nel settore privato il loro passato nella sfera pubblica) non hanno lo stesso problema con chi ha più di settant’anni. I deputati repubblicani alla camera sono relativamente giovani (anagraficamente, non certo dal punto di vista delle idee politiche) e sono guidati da un terzetto di età compresa tra i 52 e i 54 anni. Il più anziano all’interno della leadership repubblicana in parlamento è Mitch McConnell di 77 anni (ometto il presidente pro tempore del senato Chuck Grassley, con i suoi 85 anni).

Più anziani della costituzione
L’azienda informatica di ricerca sulla sfera pubblica Quorum ha stabilito che l’età media degli esponenti della leadership democratica alla camera è 72 anni, 24 in più rispetto alla media dei repubblicani. I tre democratici più influenti alla camera (James Clyburn, Nancy Pelosi e Steny Hoyer) hanno rispettivamente 78, 79 e 80 anni, per una sconcertante età complessiva di 237 anni. Questo significa che, in totale, la leadership democratica è più vecchia della costituzione.

La gerontocrazia parlamentare dei democratici, inevitabilmente, si ripresenta nel gruppo di candidati alle primarie per le presidenziali. Il favorito, Joe Biden, ha 76 anni. Bernie Sanders, indicato come principale sfidante di Biden da quasi tutti i sondaggi, ha 77 anni. Sanders e Biden sperano di prendere il posto di Trump, l’uomo più anziano mai eletto alla Casa Bianca, ma comunque più giovane di entrambi. Se Biden o Sanders dovessero vincere le presidenziali e poi ottenere un secondo mandato, saremmo governati da un ottantenne, vent’anni più anziano di quanto lo era Franklin D. Roosevelt quando, dopo aver ottenuto il quarto mandato, morì per l’eccessivo carico di lavoro. Inutile dire che Sanders e Biden sono molto più arzilli di quanto lo fosse Fdr.

La gerontocrazia ha come protagoniste persone che cercano di trasformare la vetta della loro carriera politica in un altopiano

Naturalmente chiunque voglia criticare la nostra gerontocrazia dovrebbe inserire per correttezza un paragrafo di encomio per l’intraprendenza e la resistenza dei nostri vecchietti, con la loro sorprendente energia e la loro infinita riserva di saggezza. Ecco il paragrafo in questione. Nancy Pelosi, Steny Hoyer, Biden e Sanders (per non parlare del nostro settantatreenne presidente innamorato di McDonald’s) sono la prova vivente dei progressi fatti dalla medicina geriatrica dagli anni cinquanta, quando i politici in questione erano già adolescenti. L’idea che il passare degli anni porti con sé la saggezza è una pietra miliare della nostra cultura, da Aristotele e Giobbe a Shakespeare e Austen. Inoltre è innegabile che tutte le belle parole che siamo tenuti a pronunciare a proposito dell’età avanzata siano un necessario contrappeso all’ossessione infantile della nostra cultura nei confronti della giovinezza.

Ma è altrettanto vero che l’equivalenza tra vecchiaia e saggezza presenta alcune complicazioni. La gerontocrazia ha come protagoniste persone che cercano di trasformare la vetta della loro carriera politica in un altopiano. Aristotele e altri ammettevano che questa tendenza presenta anche effetti insidiosi e mette in evidenza le qualità meno apprezzabili dei gerontocrati, come dimostra oggi l’impatto che ha questo fenomeno sul Partito democratico.

Una generazione perduta
Attualmente esiste un divario enorme in termini di creatività ed energia all’interno del partito, con un gruppo di dinamici attivisti e deputati sulla trentina (o più giovani, come nel caso di Alexandria Ocasio-Cortez) e la classe dirigente degli ultrasettantenni arroccata ai piani alti.

Nel contesto del sistema formativo che prepara i giovani politici di oggi a diventare i leader di domani (supponendo che questo domani arrivi) il divario di cui sopra ha partorito una generazione perduta. Possiamo presumere che un giorno, all’interno del partito, il potere passerà finalmente di mano, compiendo un enorme balzo dalle persone nate attorno alla fine della seconda guerra mondiale a quelle troppo giovani per ricordare l’attentato contro le torri gemelle. In questo senso è più che probabile che non arriverà mai il turno della generazione X, cioè di chi oggi ha tra i 55 e i 35 anni. Un’intera generazione, dunque, sarà sottoposta al destino del principe Carlo d’Inghilterra, che non è mai arrivato al trono. Dopo le sofferenze imposte dai baby boomer subito dopo la seconda guerra mondiale alla generazione X, dalla musica disco alla teoria letteraria post-moderna, è veramente ingiusto che essa subisca anche questo affronto.

La situazione ha spinto alcuni rappresentanti della generazione X a prendere provvedimenti piuttosto estremi. Le campagne elettorali improbabili di parlamentari minori come Tim Ryan e Seth Moulton rappresentano una sorta di grido d’allarme, un disperato tentativo di alcuni politici giovani e ambiziosi di superare il collo di bottiglia creato da una leadership avvinghiata al potere.

Alcuni ultrasettantenni sono più facili da perdonare. Pelosi e la sua squadra stanno invecchiando conservando gli incarichi che ricoprono ormai da almeno un decennio. In questo senso, più che la sete di potere e attenzione, la causa del loro rifiuto di farsi da parte potrebbe semplicemente essere l’inerzia. Per Biden e Sanders, invece, è più difficile trovare giustificazioni. Tre anni fa entrambi hanno avuto la possibilità di uscire di scena con dignità. Ma non l’hanno fatto e non hanno nessuna intenzione di farlo.

Un grande politico una volta ha detto che l’unica cura per il desiderio di diventare presidente è l’imbalsamazione

Sanders, le cui posizioni politiche sono sostanzialmente identiche a quelle dei rivali, ha spiegato la sua decisione di ricandidarsi in modo meno plausibile rispetto a Biden. L’argomentazione di Biden potrebbe valere per un paziente disposto ad assumersi i rischi di un’operazione per curare l’ernia del disco, ed è sostanzialmente ideologica: l’ex vicepresidente ha un approccio diverso da quello di tutti gli altri. Biden, infatti, si presenta come il paladino di un liberalismo pragmatico appartenente a un’epoca passata in mezzo a un gruppo di progressisti convinti che il pragmatismo sia una fesseria.

Ma questa tesi è stata palesemente smentita la scorsa settimana, quando Biden ha fatto marcia indietro dopo aver sostenuto per quarant’anni l’emendamento Hyde, che vieta l’impiego di fondi federali per finanziare l’aborto. Anziché continuare a offrire un’alternativa al radicalismo di un’ala del suo partito, Biden ha dimostrato di essere disposto a tutto pur di inseguire il sogno della presidenza. Questa ambiguità è già abbastanza sgradevole nelle persone nel fiore degli anni, figuriamoci in un individuo anziano che dovrebbe mostrare tutta la saggezza maturata in anni di esperienza.

Vanità e autoindulgenza
Un grande politico una volta ha detto che l’unica cura per il desiderio di diventare presidente è l’imbalsamazione. Abbiamo tutti bisogno di avere un obiettivo nella vita. Il problema, per gli anziani, è che spesso non sanno adattare gli obiettivi al corso naturale dell’esistenza e fare posto ai più giovani. La via verso l’affermazione che potevano percorrere da ragazzi e ragazze ora spetta a una nuova generazione. La scelta più dignitosa sarebbe quella di seguire un altro cammino verso l’appagamento.

È facile immaginare un futuro decoroso per i nostri ultrasettantenni che aspirano alla presidenza, magari lontano dal New Hampshire e l’Iowa. Sanders potrebbe fare la guida turistica in Nicaragua o gestire la raccolta fondi per la New York Review of Books. Biden, invece, potrebbe assumere il ruolo, un tempo venerato e oggi in disgrazia, di “vecchio statista”, felice di far parte di una commissione di esperti, di ricoprire la carica di inviato speciale in qualche angolo del mondo, di offrire i suoi consigli a persone ansiose di riceverli o magari di vivere un’esistenza fatta di lettura, svaghi e contemplazione. Se le cose andassero così nessuno avrebbe una cattiva opinione di Sanders e Biden.

E invece entrambi hanno scelto la strada della vanità e dell’autoindulgenza, a scapito della causa politica che sostengono di voler perorare. Sanders e Biden si sono trasformati nell’equivalente del turista attempato che se ne sta a bordo piscina in un Club Med indossando uno slip da mare, con bianchissimi denti finti, spalle nodose, catena d’oro scintillante e pettorali cadenti e cosparsi di olio abbronzante.

Con questo non voglio sostenere che uno di loro non possa raggiungere il suo obiettivo, anche se personalmente nutro forti dubbi su entrambi. Voglio dire che in un mondo più sano la loro candidatura sarebbe palesemente inopportuna. Il rifiuto di Biden e Sanders di riconoscere lo stadio della vita in cui si trovano danneggia i loro pari e di sicuro non fa bene ai candidati più giovani – Pete Buttigieg, 37 anni, Kamala Harris, 54 anni, e perfino Elizabeth Warren, 69 anni – ansiosi di sfruttare la loro occasione, come è loro sacrosanto diritto.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

Questo articolo è uscito su The Atlantic. Leggi la versione originale. © 2019. Tutti i diritti riservati. Distribuito da Tribune Content Agency.

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it