13 gennaio 2021 13:31

I rari prati di Kampala sono ormai occupati dalle tende dei militari. A pochi giorni dalle elezioni presidenziali del 14 gennaio 2021 il presidente Yoweri Museveni, 76 anni, candidato a un sesto mandato, ha deciso di schierare l’esercito nella capitale.

Il regime sostiene di voler evitare disordini. Ma sono i soldati, con i loro controlli arbitrari, a creare una tensione permanente. “Quando usciamo, non sappiamo se saremo arrestati o se potremo tornare a casa la sera. Seguire i corsi o dare gli esami è diventato pericoloso. Viviamo nella paura”, affermano Atim e Priscilla, due studenti dell’università di Makerere, una delle più importanti dell’Africa orientale. L’avvocato Liwingstone Swanyana, direttore della Federazione dei diritti umani in Uganda, conferma: “La campagna elettorale è stata caratterizzata da gravi violenze. Alcune persone sono state uccise, altre sono sparite o sono state rapite. C’è molta più tensione rispetto al passato”.

A Kampala regna questo clima perché Museveni, al potere da trentaquattro anni, deve per la prima volta affrontare un avversario forte: Robert Kyagulanyi, detto Bobi Wine, è il più quotato tra la decina di candidati in lizza. Non è facile trovare un suo manifesto. Lungo la strada che collega la città di Entebbe, dove si trovano l’aeroporto e la residenza presidenziale, al centro della capitale Kampala si vedono solo enormi manifesti di Museveni.

Soltanto addentrandosi nei quartieri più poveri della città, si scorge finalmente il viso del cantante, anche lui originario del “ghetto”, che a 38 anni è diventato un’icona per i giovani del paese. La popolazione ugandese, l’80 per cento della quale ha meno di trent’anni, è una delle più giovani del mondo. I commercianti che sostengono Wine mettono la sua musica nei loro negozi. Come il burkinabé Smockey o il camerunese Valsero, è un musicista impegnato. Ma Bobi Wine non si accontenta: dopo essere stato eletto in parlamento nel 2018, oggi ambisce alla carica più alta.

“Nel corso degli anni i suoi album hanno cambiato registro: è passato dalle canzoni d’amore a testi sempre più impegnati, che denunciano la corruzione del paese, le disuguaglianze, i servizi pubblici malridotti”, osserva il giovane imprenditore e docente di marketing Patrick Bujingo. “I suoi concerti sono diventati dei raduni politici. Perciò il governo li ha proibiti”. Nemmeno le radio possono trasmettere i suoi brani e rischiano multe elevate se lo fanno. Il partito di Bobi Wine, la Piattaforma per l’unità nazionale (Nup), ha puntato così sui social network: il suo profilo su Facebook è seguito da 1,7 milioni di persone e quello su Twitter da un milione di utenti.

Ma in un paese dove meno della metà della popolazione può accedere a internet, la campagna dei candidati dev’essere condotta sul campo. A causa del covid-19 il regime ha adottato regole molto rigide, vietando i comizi in alcune regioni. Finora la pandemia ha causato appena 250 morti. “In base a questa logica, Museveni avrebbe dovuto rinviare le elezioni. Ma ha scelto di non cancellarle e di impedire ai suoi avversari d’incontrare la popolazione. È una negazione della democrazia”, protesta Mwambutsya Ndebesa, docente di storia a Makerere.

Ai rari comizi dell’opposizione le forze di sicurezza hanno dato prova di estrema violenza. Il 27 dicembre 2020 un addetto alla sicurezza di Bobi Wine è stato ucciso e diverse persone sono state gravemente ferite a Masaka, nel sud del paese. La campagna si è perciò svolta in modi più informali. A Mukono, a est di Kampala, una camionetta che attraversa la città trasmette i successi del cantante invitando gli abitanti a riprendere in mano la tessera elettorale.

Alcuni dei suoi sostenitori hanno paura di parlare con i giornalisti. “È troppo pericoloso”, ci hanno ripetuto diversi giovani. Altri invece ci tengono a testimoniare. “Non abbiamo lavoro né prospettive. Bobi Wine è la nostra unica speranza”, dice Kabuzi, che ha interrotto gli studi per cercare lavoro come meccanico. Accanto a lui, la commerciante Babi ci spiega: “Quando sono nata Museveni era già al potere. È ora di cambiare!”.

Le disuguaglianze saltano agli occhi a Kampala, dove i centri commerciali all’ultimo grido si affiancano alle abitazioni in lamiera sparse lungo strade non asfaltate. “L’Uganda è più capitalista degli Stati Uniti”, esclama Godfrey Asiimwe, professore di economia a Makerere, tra gli autori del volume Uganda: the dynamics of neoliberal transformation. “Il regime ha privatizzato e affidato a investitori stranieri tutti i servizi, dall’acqua all’elettricità. Solo una piccolissima parte della popolazione, vicina al presidente, trae vantaggio da questa situazione”.

Un insegnante guadagna 150 dollari al mese, un poliziotto cento. Il 20 per cento della popolazione ugandese vive sotto la soglia della povertà. Grazie a questa politica improntata a un neoliberismo estremo, il paese si è conquistato nel 2017 la definizione di “storia di successo africana” da parte dell’allora direttrice generale del Fondo monetario internazionale, Christine Lagarde. La comunità internazionale sostiene il clan Museveni, formato in gran parte da suoi familiari, con interessi nei principali gruppi e posizioni chiave della vita politica: sua moglie è ministra dell’educazione e suo figlio consigliere sulla sicurezza (e responsabile delle elezioni).

La commistione tra neoliberismo e metodi autoritari è diventata il marchio di fabbrica del regime. Denunciarlo è diventata la missione di Bobi Wine.

Rosso e giallo
Per raggiungere la sede del partito Nup ci addentriamo nel quartiere di Kamwookya, interamente votato alla sua causa, dove gli abitanti vanno in giro vestiti di rosso, in opposizione al giallo dei sostenitori di Museveni. Dietro una cancellata ben sorvegliata c’è un cortile con un grande murale che ritrae i visi dei leader africani dell’indipendenza, da Patrice Lumumba a Thomas Sankara.

Incontriamo l’uomo che, secondo molti osservatori qualificati, è la “mente” del programma di Wine, il portavoce Joel Ssenyonyi: “Bisogna investire nei servizi pubblici, negli ospedali, nelle scuole e pretendere delle garanzie dagli investitori stranieri. Dobbiamo cambiare la nostra economia, sviluppando competenze locali per non dipendere più solo dalle esportazioni”. Il disavanzo commerciale incide negativamente sul deficit, che nel 2019 ha raggiunto il 9,4 per cento del pil, contro l’8,3 del 2018.

Non sono mai stati spesi tanti soldi per una campagna elettorale

Alla domanda su cosa farebbe per prima cosa in caso di vittoria, Ssenyonyi risponde elencando due provvedimenti dall’alto valore simbolico: “Innanzitutto libereremo i prigionieri politici. Poi modificheremo la costituzione per imporre un limite ai mandati presidenziali, che non potranno durare più di dieci anni”. Museveni ha modificato la costituzione per potersi candidare, a 76 anni, a un nuovo mandato.

Ma se è vero, commenta Godfrey Asiimwe, che “la campagna di Bobi Wine seduce con la sua energia e le sue promesse, resta da vedere come conta di raggiungere i suoi obiettivi, soprattutto quelli economici”.

Per opporsi al controllo del processo elettorale del partito di governo, il Nup ha lanciato un’app con la quale i cittadini possono denunciare frodi e violenze. “Non sono mai stati spesi tanti soldi per una campagna elettorale”, osserva Ndebesa. Il partito presidenziale mette l’apparato dello stato al servizio della campagna, mentre Bobi Wine raccoglie la maggior parte dei suoi fondi dalla diaspora. Gli ugandesi che vivono all’estero aspettano che migliori il rispetto delle libertà prima di tornare in patria, un movimento che si sta osservando in molti altri paesi dell’Africa subsahariana.

Il Nup non si accontenta di sedurre i giovani. Cattolico convinto, Bobi Wine ha attirato anche i fedeli di un paese dove la prima religione è quella cristiana. Davanti alla chiesa di Masolodi, abbarbicata su una collina della capitale, padre Joseph Ssebyala è felice di vedere “Bobi Wine a messa ogni domenica. Si è perfino sposato in chiesa!”. Ogni giorno fino alle elezioni il sacerdote prega per la pace “per lottare contro lo scatenarsi della violenza”.

Bobi Wine, originario della capitale, è anche e soprattutto un’espressione dell’Uganda delle città. “Gli abitanti delle campagne simpatizzano per Museveni, figlio di allevatori dell’ovest del paese. L’agricoltura è ancora la principale fonte di occupazione in Uganda”, sottolinea Ndebesa, precisando che “il regime ha fatto di tutto per evitare che Wine raggiungesse le aree rurali”.

Insensibili al fascino di Wine
Un’altra parte della popolazione resiste al fascino del cantante. Nel quartiere di Nsambya, il ristorante Prince Royal è un quartier generale dei profughi congolesi, che seguono attentamente le notizie politiche anche se non hanno diritto di voto. Nel locale si serve il fufu e non i “rolex”, delle specie di piadine ripiene di omelette tipiche dell’Uganda. Nell’estate del 2020 quasi 45mila abitanti dell’est della Repubblica Democratica del Congo sono scappati in Uganda per sfuggire alle violenze. Nonostante il covid-19, Kampala non ha chiuso le frontiere.

“Museveni ha sempre accolto i congolesi, non ci arresta. Vuole mantenere l’asse economico con la Rdc, in particolare con la città commerciale di Goma”, spiega Arsène Mutuga, arrivato nel 2016. In Uganda c’è anche il più grande campo profughi africano, quello di Bidi Bidi, che ospita quasi 280mila sudsudanesi.

Nonostante non sia vasta, l’Uganda ha una posizione strategica. Sorge nel cuore della regione dei Grandi laghi e confina con paesi estremamente instabili. È anche per questo che Museveni ha il sostegno di molti paesi occidentali, che lo considerano una garanzia di stabilità. Quando il regime abusa dei diritti umani, dagli Stati Uniti o dall’Europa non arrivano mai critiche aspre, ma solo dichiarazioni ambigue.

“Nelle ultime elezioni, nel 2016, quando l’Unione europea ha criticato il presidente, lui ha minacciato di ritirare i suoi soldati dalla Somalia. A quel punto l’Europa si è subito zittita”, ricorda Ndebesa. “E ora che l’ex potenza coloniale, il Regno Unito, è uscito dall’Unione, gli europei hanno ancora meno voce in capitolo”.

La Francia ha molti interessi economici nel paese. L’azienda francese Total ha vinto un appalto per esplorare le risorse petrolifere del paese. Un mercato ancora emergente, ma che promette bene: sono stati scoperti giacimenti che potrebbero fornire 6,5 miliardi di barili di greggio. Queste risorse, però, scatenano attriti forti con le organizzazioni ambientaliste, che hanno fatto ricorso contro le attività di trivellazioni e la costruzione di un oleodotto che minaccia le persone e la natura.

Lo scorso dicembre la corte d’appello di Versailles ha deciso che il caso è di competenza del tribunale del commercio. Così è una lotta persa in partenza, sostiene Dickens Kamugisha, direttore dell’Afiego, una delle sei ong che portano avanti la battaglia giudiziaria: “Quel tribunale prende in considerazione solo gli aspetti economici, non quelli sociali e ambientali”.

Secondo Kamugisha, “oggi c’è una distanza tra le dichiarazioni del regime, che sostiene di difendere la natura, e la realtà dei fatti, che mostra come svenda le risorse del paese senza curarsi dell’ambiente. I nostri laghi sono inquinati e tra qualche anno, se non facciamo niente, non avremo più foreste”. Nella sede del Nup Joel Ssenyonyi promette che “proteggere la natura sarà sempre più importante degli investimenti finanziari”. Kamugisha, però, ammette con amarezza che “è difficile coinvolgere i giovani, quando devono lottare ogni giorno per sopravvivere”.

L’estrema precarietà in cui vivono i giovani ugandesi, che hanno la sensazione di non avere più niente da perdere, potrebbe causare scontri ancora più violenti il 14 gennaio, il giorno delle elezioni. Pochi pensano che Bobi Wine abbia la possibilità di vincere. “Museveni ha in mano l’intero apparato statale e perfino la commissione elettorale. È lui ad annunciare il nome del presidente!”, spiega Ndebesa.

Assisteremo a una rivoluzione in Uganda? Tutti hanno in mente l’esempio del vicino Sudan, dove le proteste del 2019 hanno portato alla caduta del dittatore Omar al Bashir. A pochi giorni dal voto però le opinioni divergono. I più anziani non ci credono: “Rischiamo di avere l’effetto di un soufflé, che si sgonfierà pochi giorni dopo il voto”, sospira Godfrey Asiimwe.

Gli studenti Joel e Nbassa, che incontriamo a Makerere, sono pronti: “Durante la campagna ci sono stati scontri. E dal momento che nessuno saprà il vero risultato delle elezioni, il movimento crescerà”. L’esercito difenderà il presidente fino alla fine o anche i soldati si ribelleranno? Una cosa è certa: la musica di Bobi Wine non smette di riecheggiare sulle colline di Kampala.

(Traduzione di Giusy Muzzopappa)

Quest’articolo è uscito su Mediapart il 10 gennaio 2021 con il titolo “Ouganda: le réveil de la jeunesse”.

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