15 aprile 2020 11:12

Il cinema del Medio Oriente ha prodotto negli ultimi anni opere indipendenti di altissima qualità, che raramente in Italia si possono vedere fuori del circuito dei festival. Le più importanti istituzioni cinematografiche in Palestina, Libano o Iraq, oltre ad alcuni collettivi di registi indipendenti della regione, in questi tempi d’isolamento offrono film da vedere online.

Questa selezione non esaustiva di film in lingua originale, sottotitolati in inglese, propone di avvicinarsi a conflitti conosciuti, come la guerra in Iraq o in Libano, o alla tragedia dei campi profughi attraverso storie personali forti, originali e spesso anche divertenti. Abbiamo per una volta la possibilità di immergerci in narrazioni lunghe, agli antipodi da quelle notizie flash che troppo spesso mascherano mondi affascinanti e complessi.

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Homeland: Iraq year zero di Abbas Fahdel (Iraq 2015)
Porta lo stesso titolo ma è anche il perfetto antidoto della serie statunitense, capolavoro di orientalismo e di cliché, dove gli iracheni servono solo da sfondo all’intrigo americano. Fahdel in questi giorni ha reso disponibile il suo incredibile affresco della società irachena (ha girato per 17 mesi con la famiglia e gli amici), che ha ricevuto innumerevoli premi alla sua uscita nel 2015 ed è inedito in Italia. Il film è un piccolo capolavoro, con tempi di narrazione che ben si adattano a questo periodo di isolamento: la pellicola è divisa in due parti, prima e dopo l’invasione statunitense dell’Iraq, per un totale di cinque ore. La camera di Fahdel ci porta sulle rive dell’Eufrate, con i bambini che guardano i video di Saddam Hussein, a casa dei suoi amici che festeggiano compleanni, discutono di politica o di vita e aspettano la guerra. E in queste cinque ore il regista riesce a demolire venticinque anni di rappresentazioni distorte dell’Iraq e degli iracheni.
Disponibile fino al 20 aprile su Vimeo

Amreeka di Cherien Dabis (Stati Uniti, Canada, Kuwait 2009)
Il Palestine film institute, l’ente responsabile per il finanziamento, la conservazione e la promozione del cinema palestinese, propone come film della settimana Amreeka (America) di Cherien Dabis, che segue una madre single palestinese e il figlio adolescente mentre emigrano in una piccola città dell’Illinois durante l’invasione statunitense dell’Iraq nel 2003. Affrontano razzismo, discriminazione e disoccupazione. Il film ha ricevuto il premio Fipresci per la critica a Cannes nel 2009 ed è stato votato come uno dei dieci film indipendenti più importanti di quell’anno dal National board of review statunitense. Inoltre, l’interpretazione della grande attrice palestinese Hiam Abbas è molto commovente.
Disponibile fino al 15 aprile sulla Palestinian film platform

A perfect day di Joanna Hadjithomas e Khalil Joreige (Libano 2006)
Aflamuna (i nostri film) è l’iniziativa di un collettivo libanese di registi e istituzioni cinematografiche arabe, guidata da Beirut DC, un’organizzazione che dal 1999 promuove la creatività cinematografica nella regione. Aflamuna offre gratuitamente alcune delle opere indipendenti del cinema arabo contemporaneo. I titoli cambiano ogni 15 giorni. Fino al 22 aprile è disponibile A perfect day, il secondo film di una delle più importanti coppie di artisti libanesi, Joanna Hadjithomas e Khalil Joreige. Il “giorno perfetto” consiste nelle 24 ore di vita di Malek nella Beirut di oggi. Malek soffre di apnea notturna e tende ad addormentarsi non appena si ferma. È riuscito a convincere sua madre a dichiarare ufficialmente la morte del marito, rapito 16 anni prima durante la guerra civile. Il presente di Beirut, tra bar e discoteche, offre a Malek un incontro con Zeina, l’ex fidanzata, e la possibilità di una seconda possibilità per il loro amore. Una storia di fantasmi difficili da scacciare in una Beirut festiva e forzatamente spensierata.
Disponibile fino al 22 aprile su Aflamuna

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A world not ours di Mahdi Fleifel (Libano 2013)
Ad Ain el Hilweh, il più grande campo profughi palestinese nel sud del Libano, vivono da più di sessant’anni 120mila palestinesi. Non hanno documenti d’identità e le forze libanesi li controllano all’entrata e all’uscita dal campo. Mahdi, il regista, ha recuperato alcuni vecchi filmati del padre per rendere l’immagine di quello che era il campo per lui da bambino: una specie di Disneyland, soprattutto c’erano i Mondiali di calcio. Questi rifugiati da tre generazioni, che non hanno mai avuto una nazione, diventano agguerriti tifosi italiani, tedeschi, brasiliani. Con il passare degli anni il regista si rende conto che dalla sua Disneyland non si può uscire, e restituisce la noia e la follia che deriva dall’obbligo di rimanere confinati senza prospettive e senza diritto al lavoro: i bambini che giocano a calcio sui tetti delle case per mancanza di spazi verdi, i nonni che cercano la pace introvabile in un campo sovraffollato. Una storia d’isolamento spesso divertente: la colonna sonora attinge ai musical hollywoodiani o a vecchie canzoni romantiche italiane per accompagnare immagini disperanti. Rinchiuso dalla nascita, lo zio di Mahdi, eroe di gioventù del regista, è diventato lo scemo del villaggio: guarda programmi per bambini o le trasmissioni di Al Manar, la tv di Hezbollah, sempre che non sia impegnato a lavare il suo piccione con lo shampoo. L’isolamento non è uguale per tutti, ma la follia della chiusura ci appare particolarmente chiara di questi tempi.
Disponibile fino al 22 aprile su Aflamuna

The wall di Odette Makhlouf (Libano 2012)
Un piccolo gioiello visivo della durata di 24 minuti. La regista, Odette Makhlouf, ripercorre i ricordi di cinque famiglie residenti nello stesso palazzo durante la guerra civile libanese. Nella periferia di Beirut la famiglia della regista e i vicini si nascondevano tutti a casa di Maria, perché il muro del salone era stato costruito in cemento armato e poteva resistere alle bombe. Vent’anni dopo la fine della guerra Makhlouf fa sedere di nuovo i principali protagonisti nel salotto di Maria, dove hanno cercato rifugio e vissuto più di trenta adulti e bambini ai tempi dei bombardamenti. I ricordi evocati dal muro sono incantevoli: i giochi a carte che duravano giorni, con altrettanti litigi, le condivisioni di piccole e grandi paure e, soprattutto, l’odore del gelsomino che saliva nelle notti calde “come se niente facesse paura, come se la primavera fosse arrivata”. Quando il figlio di Maria decide di abbattere il muro per avere più spazio, i vicini ritrovano insieme l’emozione e la forza di questa parete che, invece di dividere, è diventata un luogo di ricordi di amicizia e di solidarietà in tempo di guerra.
Disponibile fino al 22 aprile su Aflamuna

Arij. Scent of revolution di Viola Shafik (Germania 2014)
L’Afac, il Fondo arabo per le arti e la cultura, fondato nel 2007 su iniziativa di attivisti culturali arabi, ha organizzato la rassegna Screens and screams che è terminata il 14 aprile. Tra i titoli più interessanti c’era Arij. Scent of revolution di Viola Shafik, disponibile su Vimeo, un docufilm del 2014 che propone un racconto della rivoluzione egiziana lontano dalle note immagini di piazza Tahrir, al Cairo. Al centro della riflessione è la città di Luxor: insieme ad Arij, il più grande collezionista di negativi in Egitto, la regista comincia un viaggio nel passato e nei disastrosi tentativi di sviluppare la città per il turismo di massa. Shafik voleva collegare tra loro i ritratti di vari intellettuali egiziani. Ostacolata dalla rivoluzione, si rende conto dell’impossibilità di disegnare il legame tra i protagonisti e i diversi fili della memoria, e questo perché l’autoritarismo in Egitto ha tolto a tutti la capacità di ricordare o di connettersi.
Disponibile su Vimeo

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