04 marzo 2022 15:01

I paesi del Medio Oriente osservano a distanza l’offensiva della Russia in Ucraina. In generale nei primi giorni del conflitto sulla stampa e a livello politico le dichiarazioni sulla situazione a Kiev sono state rare. Secondo L’Orient-Le Jour, si tratta di “un silenzio strategico che mette in luce una volontà di mantenere la neutralità tra Washington e Mosca”. Anche se la maggioranza dei governi arabi tradizionalmente ha relazioni più forti con gli Stati Uniti, negli ultimi anni la Russia è diventata un partner commerciale e militare sempre più importante nella regione. Inoltre, di fronte al disimpegno di Washington dal Medio Oriente, molti paesi hanno cercato di ampliare la loro rete di alleanze, anche con Mosca.

All’inizio dell’invasione i giornali arabi sono rimasti concentrati sull’attualità regionale. A parte la cronaca dei fatti, gli articoli di opinione, spesso usati dai giornali mediorientali per veicolare una linea ufficiale, sono stati pochi. Riflettendo una tendenza generale nella regione, Abdel Aziz Aluwaisheg, segretario generale aggiunto del Consiglio di cooperazione del Golfo per gli affari politici e la negoziazione, il 22 febbraio ha spiegato sul sito saudita Arab News perché “i paesi in via di sviluppo dovrebbero restare fuori dalla nuova guerra fredda”.

Grano ed energia
Le conseguenze della guerra potrebbero farsi sentire molto presto in ogni caso. Come ha scritto Alessandro Lubello, editor di Economia di Internazionale, l’invasione russa dell’Ucraina avrà “effetti non trascurabili per l’economia globale”. In un articolo riassunto nel numero di Internazionale in edicola, Al Araby al Jadid avverte che la crisi minaccia la sicurezza alimentare dei paesi arabi: “Questi stati, dove vive il 5 per cento della popolazione mondiale, sono tra i maggiori importatori di derrate alimentari, tra cui il 20 per cento di tutto il grano venduto nel mondo, che arriva in buona parte da Russia e Ucraina”.

Ma potrebbe anche esserci un risvolto positivo, commenta il sito Raseef22: i paesi del Golfo potrebbero approfittare dell’aumento dei prezzi dell’energia e prendere il posto nel mercato finora occupato dalla Russia in Europa. Questo gli consentirebbe non solo di ottenere enormi benefici finanziari, ma anche di ridare lustro alla loro immagine agli occhi degli occidentali.

E proprio i paesi del Golfo, soprattutto Emirati Arabi Uniti e Arabia Saudita, sono stati particolarmente cauti a prendere le distanze da Mosca, sottolinea il Financial Times: “La risposta della maggior parte degli stati del Golfo, che per decenni hanno visto gli Stati Uniti come garanti della loro sicurezza, è stata attenuata, nel tentativo di mantenere una posizione neutrale per preservare la cooperazione con Mosca su questioni geopolitiche ed energetiche”.

Abu Dhabi, che questo mese ha assunto la presidenza del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, sta cercando di mantenere un equilibrio per non scontentare Mosca. Dopo essersi astenuti sulla risoluzione che deplorava l’invasione russa presentata al Consiglio di sicurezza dell’Onu il 25 febbraio, il 2 marzo gli Emirati sono stati tra i 141 paesi a votare a favore della risoluzione per condannarla all’assemblea generale dell’Onu (insieme anche all’Egitto e all’Arabia Saudita). Il consulente presidenziale Anwar Gargash ha chiarito su Twitter che per lo stato del Golfo “schierarsi da una parte porterà solo a più violenza” e che la priorità è “incoraggiare tutte le parti a ricorrere all’azione diplomatica”.

Da parte loro, l’Egitto e la Giordania, ma anche il Qatar e il Kuwait, si sono limitati a un prudente appello a cercare “soluzioni diplomatiche”. Solo il governo ufficiale della Libia e il Libano hanno espresso un chiaro sostegno all’Ucraina.

Diverse persone hanno sottolineato con amarezza la differenza nel trattamento offerto dai paesi europei

Sui social network molti utenti mediorientali esprimono il loro sostegno e la loro vicinanza agli ucraini e in particolare ai profughi costretti a fuggire dal paese. Diverse persone hanno però sottolineato con amarezza la differenza nel trattamento offerto dai paesi europei, che hanno accolto i profughi ucraini mentre negli ultimi anni hanno chiuso le porte al flusso di persone in fuga dai paesi arabi e musulmani. Online circolano immagini di città distrutte in Siria, Iraq, Libia e Yemen, con commenti che accusano le democrazie occidentali di aver alimentato la violenza e aver destabilizzato quei paesi, abbandonando al loro destino le persone in viaggio verso l’Europa, e di usare invece un approccio diverso nel caso dell’Ucraina.

Altri utenti criticano alcuni articoli usciti sulla stampa occidentale in cui si fa una distinzione tra la guerra in Ucraina e i conflitti che arrivano da “popolazioni povere e lontane”, come ha scritto sul Telegraph il giornalista Daniel Hannan, deputato europeo del Partito conservatore dal 1999 al 2020. Commenti come questo hanno spinto l’Associazione dei giornalisti arabi e mediorientali (Ameja) a pubblicare il 27 febbraio un comunicato per condannare “i sottintesi orientalisti e razzisti” presenti nella stampa occidentale, che tendono a “normalizzare la tragedia nelle regioni come il Medio Oriente, l’Africa, l’Asia del sud e l’America Latina”.

In Palestina molti hanno definito “ipocrita” l’esaltazione della resistenza armata in Ucraina da parte delle stesse persone e mezzi d’informazione che da decenni condannano come terrorista la lotta palestinese contro l’occupazione israeliana. Altri invece hanno sottolineato le similitudini tra l’invasione russa dell’Ucraina e l’occupazione israeliana della Palestina. “Il modo in cui Putin contestualizza la violenza di stato russa in Ucraina è simile alla retorica che Israele ha usato nelle sue guerre contro i palestinesi per decenni”, scrive Meron Rapoport sul sito +972 Magazine. Non a caso la guerra è sostenuta dalla destra israeliana, innanzitutto, spiega Rapoport per “provare la presunta ‘debolezza’ degli Stati Uniti sotto il presidente democratico Joe Biden”. Il governo invece sta cercando di mantenere un difficile equilibrio tra la necessità di schierarsi con i suoi alleati occidentali e il desiderio di non urtare Mosca, sui cui “fa affidamento per facilitare le sue operazioni militari nella vicina Siria”, commenta Bethan McKernan sul Guardian.

Un discorso a parte merita il caso della Siria. Il presidente Bashar al Assad deve la sua permanenza al potere all’intervento russo che a partire dal 2015 gli ha consentito di schiacciare i gruppi di opposizione e i jihadisti che stavano per rovesciare il suo regime. Il 25 febbraio in una telefonata con Vladimir Putin ha appoggiato l’intervento russo in Ucraina. Invece nella provincia di Idlib, l’ultima roccaforte in mano all’opposizione nel nordovest della Siria, le persone si sono mobilitate per esprimere solidarietà agli ucraini. Inoltre diversi osservatori hanno sottolineato che il Cremlino sta riproponendo in Ucraina lo stesso schema usato durante la guerra civile siriana. “La strada della Russia verso l’Ucraina è cominciata a Damasco”, titola The New Arab, che in un altro articolo commenta: “Il mondo avrebbe dovuto fermare Putin in Siria. Ora l’Ucraina sta pagando il prezzo del silenzio internazionale”.

Questo articolo è tratto dalla newsletter Mediorientale, che racconta cosa succede in Medio Oriente. Ci si iscrive qui.

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