05 maggio 2023 15:39

Questo articolo è stato pubblicato il 5 aprile 2013 nel numero 994 di Internazionale.

Nel momento in cui Benedetto XVI ha annunciato di voler rinunciare al papato ha spiegato che “nel mondo di oggi, soggetto a rapidi mutamenti, è necessario anche il vigore, sia del corpo sia dell’animo. Un vigore che, negli ultimi mesi, in me è diminuito in misura tale da dover riconoscere la mia incapacità di amministrare bene il ministero a me affidato”. Benedetto XVI ha dato prova di conoscere i suoi limiti, una consapevolezza più unica che rara tra i potenti di oggi. Per esempio il suo comportamento è molto distante da quello del senatore statunitense Frank Lautenberg. Prima di farsi da parte, Lautenberg ha definito Cory Booker, il sindaco di Newark di 43 anni, un bambino “irrispettoso” per aver deciso di sfidarlo alle elezioni del senato. Se Lautenberg avesse ottenuto un nuovo mandato da senatore, sarebbe entrato in carica a 92 anni.

Può essere un argomento spinoso ma l’invecchiamento ha un effetto enorme sulla personalità e sulle funzioni cognitive di un individuo. Alcuni uomini di potere e capi di stato possono conservare la loro vitalità e le loro capacità anche in età avanzata, ma dopo un po’ di tempo che sono in carica, il loro rendimento tende a peggiorare. Anche se alcuni studiosi sostengono che i leader hanno un impatto limitato sulla politica estera perché i sistemi politici tendono a produrre candidati facilmente sostituibili, esistono circostanze specifiche in cui un singolo individuo ha grande importanza. Per esempio quando, una volta in carica, cambia radicalmente, cogliendo alla sprovvista il sistema.

Il potere ha effetti profondi, e quasi sempre deleteri, su chi lo esercita. Spesso gli amministratori delegati delle aziende sono talmente viziati da essere paragonati ai bambini. Se questo è vero per i manager, lo è a maggior ragione per chi deve guidare un paese, spesso con potere di vita e di morte sui cittadini. Con il passare del tempo questa autorità tende a modificare la personalità di un individuo. Sarebbe strano, del resto, che qualcuno abituato per anni, o addirittura decenni, a essere trattato con deferenza e premura non ne fosse influenzato. Il problema è che il potere rende sociopatico chi lo esercita: si diventa più precipitosi, più machiavellici e inclini a disumanizzare chi il potere non ce l’ha.

Inoltre i leader sono spesso circondati da familiari e collaboratori che vogliono continuare a godere dei loro privilegi, perciò preferiscono nascondere eventuali comportamenti eccentrici o segni di declino. Edith Wilson, moglie del presidente statunitense Woodrow Wilson, tenne nascosto l’ictus del marito. I collaboratori più stretti di Richard Nixon cercarono di tenere segreto il suo alcolismo. Il medico del primo ministro britannico Anthony Eden lo aiutò a coprire la malattia e la dipendenza dalle anfetamine negli anni della crisi di Suez.

Gli effetti dell’età sono altrettanto preoccupanti. Innanzitutto l’invecchiamento prosciuga le energie e rende più vulnerabili alle malattie. I malanni fisici possono avere un impatto sorprendente sul processo decisionale. Come scrivono Roy Baumeister e John Tierney nel libro Volere è potere (Vallardi 2012), la forza di volontà può essere condizionata negativamente anche da piccoli disturbi come il raffreddore. Quando si è raffreddati è più difficile rinunciare alle gratificazioni o prendere decisioni problematiche perché il raffreddore riduce il livello di glucosio nel sangue, fondamentale per il funzionamento del cervello. Guidare con un forte raffreddore, per esempio, è statisticamente più pericoloso che guidare in lieve stato di ebbrezza. In Presidential leadership, illness and decision making, Rose McDermott spiega che la malattia rende i leader imprevedibili perché abbassa la loro curva dell’attenzione, riduce il loro orizzonte temporale di riferimento e le loro capacità cognitive. L’ictus, per esempio, accentuò la naturale rigidità di Wilson, vanificando ogni speranza che gli Stati Uniti entrassero a far parte della Società delle nazioni.

L’ascesa di Hitler
Nel saggio The impact of illness on world leaders il neurochirurgo Bert Park sostiene che la demenza senile di Paul von Hindenburg fu un fattore chiave nell’ascesa al potere di Adolf Hitler. Hindenburg aveva 82 anni quando sconfisse Hitler alle elezioni e fu rieletto presidente della repubblica di Weimar nel 1932. Per due volte rifiutò di concedere a Hitler incarichi di governo fino a quando, nel gennaio del 1933, Hindenburg, a 84 anni, sempre più malato, decise di nominare Hitler come capo dell’esecutivo.

Al di là degli effetti immediati della malattia, l’invecchiamento può avere un forte impatto sulla personalità: nessuno si addolcisce con l’età. Secondo gli studiosi Jerrold Post e Bert Park, con l’avanzare dell’età tendiamo a diventare versioni esagerate di noi stessi, quasi caricaturali, perché tutte le nostre inclinazioni naturali si accentuano. Questo fenomeno ha ripercussioni sulla politica estera. Chi per natura è aggressivo diventa bellicoso, chi è passivo diventa apatico. Tratti caratteriali che sono considerati accettabili diventano improvvisamente problematici, tutti mutamenti che quando coinvolgono un capo di stato probabilmente avranno conseguenze in politica estera.

Infine, ed è forse l’aspetto più preoccupante, ci sono gli effetti sulle capacità cognitive. L’invecchiamento, per esempio, tende a indebolire i ricordi, soprattutto degli avvenimenti recenti. Meno noti, ma forse più importanti, sono gli effetti sull’intelligenza. Le capacità cognitive si possono dividere in due categorie: cristallizzate e fluide. L’intelligenza cristallizzata è quella che usiamo per svolgere attività di routine. Si sviluppa con il passare degli anni e raggiunge l’apice dopo i sessant’anni. L’intelligenza fluida, invece, è la capacità di risolvere problemi nuovi e comincia a declinare già dopo aver compiuto i vent’anni. Questo deterioramento asimmetrico è l’aspetto più allarmante dell’invecchiamento. L’aumento dell’intelligenza cristallizzata può servire a mascherare il vero declino: in fondo, gran parte dell’esistenza è fatta di routine e un leader può dare l’impressione di non risentire dell’invecchiamento. Inoltre, i governi hanno ampie capacità istituzionali per gestire queste situazioni, compensando eventuali difficoltàdelle persone che svolgono incarichi importanti.

Le situazioni più critiche e pericolose sono quelle nuove e insolite, quelle che non possono essere gestite dal normale funzionamento delle istituzioni e quindi richiedono il massimo delle capacità di un leader. È proprio in questi momenti che il declino dell’intelligenza fluida ha gli effetti più gravi. Considerati i potenziali rischi, dovrebbero essere i leader in età avanzata a giustificare la loro permanenza al potere, non i loro sfidanti. Tuttavia questo pregiudizio può portare a escludere dal potere persone ancora in grado di dare un valido contributo. Bisogna tener presente, però, che i leader hanno un impatto limitato sugli eventi. Spesso sono meno indispensabili di quanto si pensi. Quando un leader riesce a lasciare il segno, il più delle volte lascia un segno negativo, non positivo. È molto più facile fare la figura degli stupidi che quella dei geni. I potenziali vantaggi mancati che derivano dalla prematura esclusione dal potere di un leader efficace sono minori dei danni che si evitano liberandosi di un leader vecchio e inefficace.

Un rischio da non correre
Negli Stati Uniti questo ragionamento potrebbe portare all’introduzione di un limite di mandato per tutti i funzionari che non possono essere facilmente sollevati dai loro incarichi. Il limite di mandato esiste già per la presidenza, ma potrebbe essere esteso anche ai giudici della corte suprema, ai governatori e al presidente della camera dei rappresentanti. Nel 1787, quando fu redatta la costituzione, l’aspettativa di vita negli Stati Uniti era inferiore ai trent’anni, perciò questi accorgimenti non erano necessari. Tra le persone di età compresa tra i 71 e i 79 anni – un’età che due secoli fa pochi erano in grado di raggiungere – il 21 per cento ha alte probabilità di soffrire di handicap cognitivi o di demenza a livelli patologici. Le probabilità che non siano in grado di rendere come dieci o venti anni prima sono molto maggiori. Data la posta in gioco nelle decisioni dei presidenti e dei giudici della corte suprema, anche una sola possibilità su cinque che una di queste persone sia affetta da deficit cognitivo collegato all’età rappresenta un rischio troppo elevato.

La General Electric, l’azienda energetica statunitense, riconosce questo pericolo e impone il pensionamento obbligatorio a 65 anni, anche per gli amministratori delegati. Quando il leggendario Jack Welch raggiunse il limite di età riuscì a strappare solo un altro anno, ma non di più. L’azienda riteneva che neanche lui fosse insostituibile e aveva un candidato pronto a prendere il suo posto.

Benedetto XVI ha avuto l’umiltà e la lucidità di capire che era arrivato al limite delle sue capacità fisiche. Possiamo aspettarci questa saggezza da un leader religioso, ma forse è troppo pretendere che i politici ne seguano spontaneamente l’esempio.

(Traduzione di Fabrizio Saulini)

Questo articolo è stato pubblicato il 5 aprile 2013 nel numero 994 di Internazionale.

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