19 luglio 2016 13:55

L’inizio del terzo millennio viene ricordato dagli appassionati di musica soprattutto per un motivo: l’abbattimento definitivo dei confini tra rock ed elettronica. Oggi sembra strano anche solo pensarlo, ma fino a poco tempo prima questi due generi erano divisi da uno steccato alto. È stato grazie a una serie di band che questa divisione, già messa in crisi da decenni, è stata finalmente abbattuta. C’è un disco che rappresenta bene questa transizione, ed è Kid A dei Radiohead.

C’è un altro album, pubblicato appena due anni dopo, che è riuscito in modo brillante a far dialogare questi due generi. Si intitola Neon golden ed è stato registrato dai Notwist, band di Weilheim in Oberbayern, in Baviera. Un gruppo venuto fuori dalla scena hardcore tedesca di inizio anni novanta, evolutosi poi verso altre direzioni. Ascoltate ad anni di distanza, le canzoni di Neon golden non hanno perso per niente la loro forza.

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I Notwist stanno per tornare in Italia. Suoneranno il 23 luglio al Siren festival di Vasto, manifestazione arrivata ormai alla sua terza edizione dopo aver ospitato artisti come The National, Mogwai, Verdena e James Blake. In occasione del loro concerto al festival abruzzese, unica data italiana del 2016, i Notwist suoneranno per intero Neon golden.

Abbiamo raggiunto al telefono Markus Acher, il leader dei Notwist, per farci raccontare com’è nato il disco, pubblicato nel gennaio 2002.

Che impressione vi fa oggi Neon golden? Vi aspettavate che diventasse così importante per la vostra carriera?
No, per noi è solo uno dei nostri album. Quando l’abbiamo registrato non abbiamo fatto niente di diverso rispetto al solito. Però oggi mi rendo conto che dal punto di vista sonoro è stato un disco importante, anche per la nostra crescita. Al tempo non c’erano molte band, a parte gli Stereolab e pochi altri, che cercavano di mettere insieme rock ed elettronica in quel modo.

Che ricordo hai delle registrazioni del disco?
Neon golden è un album che abbiamo concepito quasi completamente in studio. Alle registrazioni hanno partecipato anche musicisti esterni alla band. Abbiamo registrato diverse parti strumentali in modo separato e le abbiamo incastrate le une con le altre, lavorando per strati. Abbiamo sperimentato molto, ci sentivamo liberi.

Neon golden , nonostante sia ricco di arrangiamenti elettronici, ha molti tratti in comune con la musica rock e country statunitense. Non ti sembra strano?
Per niente. Ho sempre amato Neil Young, fin da ragazzino. Nel periodo prima di registrare Neon golden ascoltavamo molto American recordings di Johnny Cash e Ease down the road di Bonnie Prince Billy. Mi piace un disco dove in alcuni momenti c’è un tizio che rimane da solo con la sua chitarra, in altri è accompagnato da una band, in altri ancora da loop elettronici.

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Molti critici vi hanno definiti degli eredi del krautrock. Che effetto ti fa?
Abbiamo cominciato come un gruppo punk e hardcore. All’inizio della nostra carriera non ascoltavamo molti gruppi krautrock. Ma con il passare del tempo ci siamo avvicinati ai Can, ai Neu!, agli Harmonia. Oggi queste band sono una grande influenza per noi.

Ci tenete molto a rivendicare le vostre origini punk. Perché?
È un genere che rappresenta bene il modo istintivo in cui viviamo la musica. Tutti possono fare canzoni e dovrebbero provarci. La tecnica non è così importante, è l’idea che conta. Il punk è anche un modello di indipendenza, di autosufficienza artistica. Noi non facciamo musica per gli altri, ma solo per noi stessi.

In una recensione uscita nel 2003, un giornalista di Pitchfork ha paragonato la tua voce a quella di Arto Linsday
Non lo sapevo, ma è un bel complimento. Arto Linsday ha una voce non rock, che assomiglia alla musica brasiliana. Mi piacerebbe un giorno riuscire a cantare come lui.

A Vasto suonerete Neon golden dall’inizio alla fine?
Suoneremo tutti i pezzi del disco, ma non nell’ordine originale. Mescoleremo quel repertorio con i pezzi degli altri album, in particolare degli ultimi, The devil, you + me, Close to the glass e The messier objects.

Avevate già sentito parlare del Siren Festival?
Sì, ce ne hanno parlato bene. Non vediamo l’ora di suonarci. Il giorno in cui suoniamo noi, mi vedrò volentieri anche il concerto The Thurston Moore Group.

Stare registrando cose nuove?
Stiamo lavorando a diversi brani. Alcuni, strumentali, faranno parte della colonna sonora di uno spettacolo teatrale tedesco. Altri finiranno nel nuovo disco dei Notwist.

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Il regista Paolo Sorrentino è un vostro fan, ha usato il brano One with the freaks per la colonna sonora dell’Amico di famiglia. L’avete mai incontrato di persona?
Quando stava girando il film Sorrentino è venuto a Roma a un concerto dei Lali Puna, l’altro gruppo nel quale suonavo. Ci siamo conosciuti, è stato molto gentile. Mi ha parlato del film e mi ha chiesto se poteva usare One with the freaks e System on dei Lali Puna in alcune scene. Gli ho detto di sì senza problemi, ovviamente. Mi piacerebbe lavorare di nuovo con lui un giorno.

Potreste scrivere le musiche per un suo film…
Apprezzo i film di Sorrentino. Anche l’ultimo, Youth, mi è piaciuto molto, in particolare la colonna sonora di David Lang. Perché no, sarebbe bello collaborare con lui.

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