I servizi di streaming sono destinati a unirsi con altre piattaforme per sopravvivere? In questo momento può sembrare un’ipotesi azzardata, ma secondo diversi esperti non è da escludere che in futuro Spotify, Apple music e Deezer, tra gli altri, decidano di unire le forze con quelle dedicate ai video per contrastare il calo generalizzato degli abbonamenti. Lo suggerisce uno studio condotto dall’azienda statunitense Bango, citato questa settimana dal sito Digital Music News.

I guadagni globali del mercato dello streaming, ricorda la ricerca, hanno raggiunto i 19,3 miliardi di dollari (17,8 miliardi di euro) e i 713 milioni di abbonati nel 2023. Ma, a differenza dei servizi di streaming video, Spotify o Apple music hanno praticamente lo stesso catalogo, perché hanno firmato accordi con le stesse case discografiche.

Tra un servizio e l’altro cambia solo qualche dettaglio o funzionalità. L’unica grande differenza, come nel caso di Tidal o Qobuz, è la qualità audio. Come fanno quindi i servizi di streaming a differenziarsi gli uni dagli altri? Spotify, per esempio, ha scelto di espandersi nel mercato dei podcast e degli audiolibri. Ma questo ha comportato un aumento del prezzo degli abbonamenti. E molti utenti cominciano a non potersi più permettere una spesa simile.

Spotify licenzia il 17 per cento dei suoi dipendenti
Il 4 dicembre Spotify ha annunciato una riduzione del personale di “circa il 17 per cento”, ovvero di circa 1.500 persone.
 

La Bango ha condotto uno studio su 2.200 persone che usano i servizi di streaming a pagamento: il 66 per cento degli intervistati sostiene di non potersi più permettere “tutti i suoi abbonamenti”. Questi consumatori ora preferiscono scegliere tra streaming di musica, tv, giochi e altri servizi.

Il 60 per cento degli intervistati ha dichiarato di aver cancellato almeno un abbonamento per far fronte all’aumento dei prezzi. Se questa tendenza proseguirà, ecco che l’accorpamento (che in gergo si chiama superbundling) potrebbe diventare un’ipotesi concreta.

Già oggi negli Stati Uniti gli abbonati Amazon Prime hanno diritto a un accesso limitato ad Amazon Music, mentre gli abbonati a YouTube Premium possono usare senza pubblicità anche YouTube Music. E si prevede che il superbundling si farà strada nei prossimi anni: un abbonamento a un servizio di streaming musicale, per esempio, potrebbe essere associato stabilmente a uno per vedere film e serie.

Secondo la ricerca della Bango, il 77 per cento degli intervistati è convinto che questa strada sia la risposta migliore all’aumento dei costi. Quale sarà l’azienda a fare il primo passo? Per il momento ci sono alcune sperimentazioni nel settore della telefonia: in Australia, per esempio, la compagnia Optus ha incluso Amazon Music in alcuni tipi di abbonamento. Altri, in futuro, potrebbero seguire il suo esempio.

Questo testo è tratto dalla newsletter Musicale.

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