20 dicembre 2023 12:39

“Agnes Chow, la ‘dea della democrazia’, costretta all’esilio”, titolava Le Monde qualche giorno fa raccontando la decisione dell’attivista di Hong Kong, volto delle proteste nell’ex colonia britannica fin dal 2014 insieme a Joshua Wong (in carcere) e Nathan Law (in esilio a Londra), di rimanere in Canada, dove si trova per un master. La “dea della democrazia” è il soprannome che questa donna di 27 anni, attiva in politica da quando ne aveva 15, si è guadagnata in anni di lotte arringando la folla col megafono in mano. Il riferimento è alla statua che durante la rivolta studentesca a Pechino nel 1989 fu eretta in piazza Tiananmen mentre era occupata da migliaia di giovani che chiedevano più libertà e meno corruzione.

“Anche la creazione e l’esposizione della Dea della democrazia, una figura femminile bianca e appariscente che portava il nome di un ideale invece che di una persona potente, fu una sfida alla versione della storia calata dall’alto e centrata sul partito”, scrive lo storico della Cina Jeff Wasserstrom, che ripercorre le sorti di quella statua e delle sue repliche. Vista la fine che fece l’originale, distrutta dai soldati dell’esercito popolare di liberazione armati di spranghe di ferro durante la cruenta repressione della protesta, e considerata la situazione attuale a Hong Kong, quel soprannome oggi suona alquanto sinistro.

La più importante delle repliche di quella statua si trovava nel campus della China university di Hong Kong (Cuhk) ed era una dei tanti oggetti legati ai fatti del 1989 che si potevano trovare nella regione amministrativa speciale (questa la designazione data alla città dopo il ritorno sotto il controllo cinese). Fino al recente giro di vite imposto da Pechino con la legge sulla sicurezza nazionale, per decenni Hong Kong è stata, insieme a Macao, ex colonia portoghese e altra regione amministrativa speciale, l’unico luogo della Repubblica popolare “dove i bambini a scuola imparavano nei dettagli cos’erano state le proteste di Tiananmen” e dove “ogni anno potevano svolgersi veglie in ricordo dei martiri del 4 giugno 1989”.

Dai tempi del movimento degli ombrelli del 2014, la statua nel campus della Cuhk è diventata un punto di riferimento per gli studenti che manifestavano chiedendo, come i loro predecessori nel 1989, libertà fondamentali. Tale era il suo potere simbolico che nel dicembre del 2021, in silenzio e lontano dai riflettori, la statua è stata rimossa. “È stata tirata giù in un lungo strangolamento in più fasi di una città”, continua Wasserstrom.

La metamorfosi di Hong Kong in una città qualsiasi della Cina continentale è quasi completa. L’11 dicembre si sono svolte le elezioni distrettuali, riservate ai “patrioti” e senza candidati dell’opposizione. Pochi giorni prima Tsang Chi-kin, un manifestante a cui la polizia nel 2019 sparò un colpo al petto, era comparso in tv esprimendo rimorso per aver protestato e dicendo di aver imparato a gestire le sua emozioni grazie a piano di riabilitazione seguito in carcere, dove si trova dopo essere stato condannato. Una confessione in pieno stile cinese che ha fatto gelare il sangue agli hongkonghesi. Lunedì è cominciato il processo a Jimmy Lai, il fondatore dell’Apple Daily, il tabloid che si schierò dalla parte dei manifestanti e che per questo fu costretto a chiudere.

Questo testo è tratto dalla newsletter In Asia.

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