11 gennaio 2022 12:13

“Solo nelle Filippine si potrebbe prendere in considerazione una sepoltura di stato per un leader come Ferdinand Marcos, che ha saccheggiato il paese per più di vent’anni”, scriveva nel 2000 Lee Kwan Yew, padre fondatore di Singapore, nel suo libro di memorie From third world to first. “Nonostante sia stata recuperata solo una parte insignificante del bottino, a sua moglie e ai suoi figli è stato consentito di tornare e fare politica”.

Oggi, a distanza di più di vent’anni da quando Lee criticava pubblicamente l’atteggiamento incomprensibilmente misericordioso delle Filippine nei confronti dei Marcos, la famigerata dinastia politica è a un passo dalla conquista del palazzo Malacanang. L’unico figlio maschio e omonimo del dittatore filippino, Ferdinand “Bongbong” Marcos, è il favorito per prendere il posto del presidente populista uscente, Rodrigo Duterte.

Da un recente sondaggio è emerso che alle elezioni presidenziali del 9 maggio 2022 il figlio dell’ex dittatore potrebbe contare sul sostegno di quasi la metà degli elettori filippini. La sua rivale più vicina, la vicepresidente Leonor “Leni” Robredo, registra il sostegno di appena un quarto di potenziali elettori. Dopo aver convinto Sara Duterte, figlia dell’attuale presidente, a correre con lui come vice, Marcos Jr. è adesso in testa nei sondaggi a pochi mesi dal giorno delle elezioni. Poiché le Filippine hanno un sistema elettorale maggioritario a turno unico, senza ballottaggio, a Marcos Jr. basterà conquistare più voti di tutti gli altri candidati per ottenere la presidenza.

L’ex first lady Imelda Marcos, famosa per la sua stravaganza e i suoi gesti retorici, si sta preparando a rivendicare il suo posto d’onore nel palazzo presidenziale. Se è vero che le elezioni filippine sono particolarmente imprevedibili, la rapidissima rinascita dei Marcos è di per sé un giudizio impietoso sui profondi fallimenti delle istituzioni democratiche del paese. Decenni di impunità giudiziaria, revisionismo storico, politica infestata dalla corruzione e crescita economica solo per le élite hanno spinto un numero crescente di filippini tra le braccia dei Marcos.

Una dittatura disastrosa
Bongbong ha lanciato la sua candidatura alla presidenza promuovendo una “leadership unificante” che potrà a suo dire rendere di nuovo grandi le Filippine. Pur non schierandosi apertamente a favore di un ritorno alla dittatura, l’ex senatore ha affermato che “se a mio padre fosse stato permesso di perseguire i suoi progetti, secondo me oggi saremmo come Singapore”. Una dichiarazione piuttosto ironica, visto che Lee Kuan Yew, il leader politico che ha reso Singapore quella che è oggi, una volta ha descritto Marcos Senior come un “vecchio governante pieno di vizi che ha consentito a sua moglie e ai suoi accoliti di ripulire il paese grazie a un ingegnoso sistema di monopoli, addossando pesanti debiti al governo”.

E in effetti, secondo qualsiasi indicatore oggettivo, la dittatura di Marcos è stata disastrosa per le Filippine.

Agli inizi degli anni sessanta, prima che Marcos diventasse presidente, le Filippine possedevano una delle economie più dinamiche del mondo. Ecco perché nel 1965 Manila è stata scelta come sede della Asian development bank (Adb), un importante istituto finanziario. In corsa c’erano anche Seoul, Teheran e Tokyo. Tutto però è cominciato a cambiare quando Marcos ha assunto la presidenza delle Filippine, poco dopo l’insediamento della Adb a Manila. Nel 1986, quando dopo ventuno anni ha lasciato il potere travolto da un’ondata di proteste nazionali, il paese del sudest asiatico era economicamente sul lastrico e le sue istituzioni erano a pezzi.

Gli anni della dittatura sono stati segnati da un’estrema brutalità e da una corruzione endemica. Dopo la proclamazione della legge marziale nel 1972, migliaia di attivisti, giornalisti e sospetti dissidenti filippini sono stati torturati. Alcuni sono spariti per sempre. I mezzi di comunicazione indipendenti sono stati chiusi e il sistema bipartitico delle Filippine, modellato sull’esempio degli Stati Uniti, è stato abolito.

Nonostante qualche anno di rapida crescita economica, l’ex uomo forte filippino ha presieduto un regime cleptocratico schiantato dall’insolvenza all’inizio degli anni ottanta. Gli accoliti di regime sono diventati miliardari mentre la stragrande maggioranza della popolazione è stata spinta verso l’indigenza.

Secondo alcune stime, le Filippine continueranno a pagare fino al 2025 il debito ereditato dall’era Marcos. Nei suoi vent’anni di potere Marcos ha miseramente fallito nell’impresa di riprodurre i miracoli economici e le industrie globali emerse nei paesi vicini di Corea del Sud, Taiwan e Singapore.

Salvo pochissime eccezioni però, nei tre decenni successivi alla caduta del regime di Marcos nemmeno i leader democraticamente eletti delle Filippine sono riusciti a mantenere le loro promesse di libertà e benessere.

La facciata della democrazia
Pur ripristinando le libertà politiche di base, la costituzione filippina del 1987 promulgata dopo la caduta della dittatura di Marcos ha protetto in larga misura gli interessi delle dinastie politiche e i principali monopoli, evitando deliberatamente le riforme radicali.

Di conseguenza le Filippine sono ancora controllate in gran parte da un’élite scandalosamente ristretta. Più del 70 per cento degli incarichi ottenuti per elezione nel paese sono controllate da dinastie politiche. Al congresso delle Filippine negli ultimi anni la proporzione ha superato l’80 per cento.

Secondo la Banca mondiale, nel contesto di rapida crescita economica registratosi all’inizio degli anni 2010 le 40 famiglie più ricche nel mondo degli affari, che controllano anche i partiti politici e i principali organi di stampa, hanno incamerato i tre quarti della nuova ricchezza.

Le agenzie governative hanno pochissimi fondi, sono piene di personale di nomina politica e sono infestate dalla corruzione. Il caso più famigerato è quello del sistema giudiziario filippino, in cui molti giudici e impiegati oberati di lavoro devono affrontare intimidazioni e corruzione.

Non c’è da stupirsi perciò se i Marcos, pur essendo stati condannati per diversi reati, non hanno mai scontato nessuna pena. Nel 2018 la corte suprema delle Filippine ha condannato Imelda Marcos per corruzione e nonostante questo l’ex first lady è ancora in libertà.

Suo figlio Bongbong è stato condannato per aver violato le norme fiscali, eppure nei decenni passati gli è stato permesso di candidarsi e aggiudicarsi numerosi incarichi pubblici. L’impunità sistemica è andata di pari passo con il revisionismo storico che emerge nelle istituzioni educative del paese e nella proliferazione ininterrotta di propaganda a favore di Marcos in rete.

Le pietose carenze della democrazia filippina spiegano come mai la maggioranza dei filippini abbia più volte dichiarato nei sondaggi la volontà di sostenere un “leader forte” che non deve preoccuparsi delle elezioni né del controllo esercitato dalla legge.

In un sondaggio condotto nel 2020 dal Pew research center quasi la metà (47 per cento) dei filippini intervistati ha dichiarato che “la maggior parte dei funzionari eletti non ha a cuore” gli interessi e le opinioni degli elettori comuni. In un precedente sondaggio del 2017 sempre il Pew ha rilevato che solo il 15 per cento dei filippini appoggia con convinzione un sistema democratico liberale e più dell’80 per cento si è dichiarato disponibile a valutare un leader potenzialmente autoritario. Incredibilmente, sono i nuovi membri della classe media filippina in espansione, abituati a viaggiare nei paesi vicini come Singapore, i sostenitori più entusiasti della leadership autoritaria nelle Filippine.

Un secolo fa lo scrittore spagnolo George Santayana avvertiva che “chi non ricorda il passato è condannato a ripeterlo”. Nelle Filippine questa massima si è rivelata premonitrice. I ricordi del dolore inflitto al paese da Marcos sono stati sostituiti dalla nostalgia per una immaginaria “età dell’oro” vissuta sotto il regime del defunto dittatore. E questa nostalgia, accompagnata dai tanti fallimenti della politica democratica, ha aperto la via alla risurrezione dei Marcos.

(Traduzione di Giusy Muzzopappa)

Questo articolo è stato pubblicato dal sito di Al Jazeera.

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