07 ottobre 2021 12:43

Analizzando gli strascichi del grande furto anglo-americano del contratto di vendita di sottomarini francesi all’Australia viene da pensare che Londra e Parigi siano agli opposti in ogni senso: dalla personalità dei rispettivi leader alle strategie generali, dai modelli economici ai costumi sociali. Ma la verità è che, paradossalmente, il conflitto scatenato dal nuovo patto di difesa tra l’Australia, il Regno Unito e gli Stati Uniti (Aukus) rivela che in fondo i due paesi sono molto simili.

Per Parigi l’episodio dei sottomarini è la prova dell’“opportunismo permanente” di Londra e della sua tendenza a preferire il ruolo di partner di minoranza nell’alleanza con gli Stati Uniti a qualsiasi significativo rapporto di associazione con l’Europa. Apparentemente non è cambiato nulla da quando Winston Churchill esprimeva la sua frustrazione a Charles de Gaulle alla vigilia del D-Day, sottolineando che davanti a una scelta forzata “tra l’Europa e il mare aperto” il Regno Unito avrebbe sempre scelto quest’ultimo. Secondo la visione francese, la decisone del primo ministro Boris Johnson d’inseguire il sogno di una “Global Britain” al di fuori dell’Unione europea è solo l’ultima manifestazione di questo profondo e deprecabile istinto nazionale britannico.

Vista da Londra, invece, la reazione di Parigi all’Aukus non fa che evidenziare il latente sciovinismo antiamericano dei francesi, la loro ossessione per una grandezza svanita da tempo e la loro cinica strategia consistente nell’usare l’Unione europea come strumento della missione impossibile di riconquistare una rilevanza globale. Questa linea di pensiero britannica è stata di recente illustrata da Boris Johnson a Washington, quando il primo ministro britannico ha detto, forse per irritare ulteriormente il governo di Emmanuel Macron, “Donnez-moi un break” (espressione mista anglo-francese traducibile con “datemi tregua”).

Paralleli innegabili
Eppure basta fermarsi un attimo a riflettere per accorgersi che la Francia e il Regno Unito sono paesi tutt’altro che diametralmente opposti, e probabilmente più simili di qualsiasi altra coppia di stati al mondo, non solo in termini di popolazione, ricchezza, passato imperiale, influenza globale e tradizione democratica, ma anche in una prospettiva più profonda, che ha a che fare con il senso di eccezionalismo, la paura del declino, il culto dell’indipendenza nazionale, il desiderio di ottenere rispetto e la preoccupazione per la crescente influenza di altri paesi, come Stati Uniti, Germania o Cina. Londra e Parigi hanno scelto strategie diverse, ma i paralleli tra i due paesi sono innegabili.

Anziché rendersene conto, però, il Regno Unito e la Francia agiscono come una sorta di specchio deformante l’uno per l’altro, oscurando qualsiasi reciproca valutazione ragionevole con un’immagine di sé che somiglia molto a un collage di speranze e paure.

Ufficialmente Londra ha cercato di calmare le acque, ma in privato i britannici hanno sostanzialmente ignorato le rimostranze francesi

Anche se la Francia non sembra preoccuparsi del Regno Unito quanto questo si preoccupa della Francia, la ferocia delle critiche partite da Parigi verso l’altra sponda della Manica è comunque emblematica, se non altro come prova della mancanza di autocoscienza da parte dei francesi.

Il ministro francese per gli affari europei Clément Beaune ha dichiarato che la partecipazione di Londra all’Aukus, più che un esempio della “Global Britain” segna “un ritorno alla sottomissione nei confronti degli Stati Uniti”. Il ministro degli esteri Jean-Yves le Drian ha aggiunto che Londra è solo “la ruota di scorta” del progetto statunitense.

Nessuna ruota di scorta
All’inizio, almeno fino all’irridente risposta di Johnson, il governo britannico aveva evitato lo scontro pubblico. Ufficialmente Londra ha cercato di calmare le acque, ma in privato i britannici hanno sostanzialmente ignorato le rimostranze francesi, sottolineando che Parigi ha passato anni a convincersi che la Brexit sarebbe stata un disastro e non si è mai presa la briga di immaginare in che modo Londra avrebbe cercato di rafforzare la propria influenza. Un importante funzionario britannico vicino a Johnson – che, come altri, ha parlato a condizione di rimanere anonimo – mi ha confidato che a suo parere i diplomatici francesi hanno dato troppo peso a quei funzionari britannici che concordavano con la loro tesi secondo cui la Brexit avrebbe isolato e marginalizzato Londra. Questo li ha resi incapaci di prevedere cosa avrebbe fatto il Regno Unito per restare un elemento centrale dell’alleanza occidentale. “Se i tuoi ambasciatori si limitano a leggere il Financial Times, poi non puoi lamentarti quando scopri che la ‘ruota di scorta’ è ancora attaccata all’automobile”, ha spiegato il funzionario.

La verità è che la ragione, almeno in parte, sta da entrambe le parti.

Negli anni successivi al referendum sulla Brexit gli sforzi diplomatici della Francia per influenzare il governo britannico, o per comprenderne meglio la strategia interna, sono stati palesemente insufficienti. Secondo Robert Tombs, professore di storia francese all’università di Cambridge, l’ambasciatrice francese nel Regno Unito durante la crisi della Brexit, Sylvie Bermann, si è abbandonata a una “anglofobia di vecchio stampo”, tra l’altro evidentissima nel suo recente libro Goodbye Britannia. Le Royaume-Uni au défi du Brexit. Le persone vicine a Johnson sostengono che la situazione sia rimasta sostanzialmente invariata con l’attuale ambasciatrice francese, Catherine Colonna, che alla prudenza della diplomazia ha preferito le critiche aggressive su Twitter, privandosi così di un accesso diretto ai componenti del governo britannico.

Nel Regno Unito le critiche francesi fanno male, perché in buona parte sono fondate

Da una prospettiva francese l’annuncio dell’Aukus rappresenta non solo la perdita del “contratto del secolo” per la costruzione di sottomarini, ma una minaccia alle aspirazioni della Francia di affermarsi come potenza indipendente nella zona pacifico-asiatica. Inoltre la Francia è stata colta di sorpresa da un’amministrazione statunitense che in teoria avrebbe dovuto essere istintivamente ostile al Regno Unito della Brexit e vicina all’Europa. A Londra, invece, l’Aukus offre la possibilità concreta di rafforzare la sua presenza nella regione, aprendo la strada a un rapporto più proficuo con il Giappone, l’India e altri paesi, e facilitando l’ingresso nell’accordo commerciale Trans-Pacific Partnership. Sostenere che la Francia avrebbe dovuto prevedere simili sviluppi è assolutamente legittimo.

Potenza media
Allo stesso tempo, nel Regno Unito le critiche francesi fanno male, perché in buona parte sono fondate. È evidente che Londra ha accettato il ruolo di partner di minoranza degli Stati Uniti al prezzo di una ridotta influenza in Europa. Le persone vicine a Johnson non si fanno illusioni a tale proposito. Anche se i britannici non ammetteranno mai in pubblico di essere una “potenza media”, la recente politica estera ed economica di Londra è stata costruita su questo presupposto. La Brexit, in parole povere, è stata la scelta di lasciare un club in cui il Regno Unito era uno dei tre componenti più importanti (anche se spesso relegato in terza posizione, in quanto l’alleanza franco-tedesca guidava e guida ancora il progetto europeo) in cambio del ruolo di “potenza media” in un mondo in cui altri paesi sono chiaramente più influenti.

Ma davvero la Francia è così diversa? Tra tutte le nazioni di media grandezza del mondo, la Francia è forse l’unica – insieme al Regno Unito – a poter rivendicare lo status di “potenza a tutti gli effetti”, perché possiede un esercito dotato di armi nucleari, un’estesa rete diplomatica, un efficiente servizio d’intelligence e ha un seggio permanente al Consiglio di sicurezza dell’Onu. D’altra parte, quanto allo status di “partner di minoranza”, la Francia non è esattamente nelle condizioni di poter dare lezioni al Regno Unito, considerato che negli ultimi dieci anni ha dovuto assistere all’ascesa della Germania come potenza dominante dell’Unione europea. Oggi Berlino guida l’Europa unita attraverso la sua forza economica, e questo permette ai tedeschi di costruire un percorso diplomatico ancora più indipendente rispetto a quello dei francesi. “È possibile immaginare un futuro in cui il Regno Unito sarà il partner di minoranza degli Stati Uniti, la Francia quello della Germania e la Russia quello della Cina”, mi ha detto Michel Duclos, ex diplomatico francese.

Volontariamente o meno, le critiche francesi al Regno Unito rivelano tutte le insicurezze di Parigi, e lo stesso vale per quelle rivolte dai britannici alla Francia. Da questa dinamica emergono problematiche che nel ventunesimo secolo affliggono molti paesi del mondo, per i quali è impossibile ottenere una reale leadership globale (in un sistema che sarà probabilmente dominato per i prossimi decenni da Stati Uniti e Cina) e, allo stesso tempo, accettare una evidente condizione di subalternità.

Non solo il Regno Unito e la Francia mettono reciprocamente in risalto le proprie insicurezze, ma attirano l’attenzione sulle sfide che gran parte del mondo dovrà affrontare in una fase in cui i paesi cercano in tutti i modi di ritagliarsi una sovranità che sia sufficiente per rispondere alle preoccupazioni degli elettori e di mantenere la propria ricchezza in un panorama economico che non può prescindere da regole e governance globali.

In un certo senso sia la visione del mondo del Regno Unito sia quella della Francia sono state plasmate dal modo in cui i due paesi sono usciti dalla seconda guerra mondiale

Naturalmente esistono differenze concrete tra il Regno Unito e la Francia. Sostenere che il Regno Unito sia individualista e anglosassone, mentre la Francia collettivista e continentale sarebbe semplicistico (i britannici, per esempio, possono contare su un capillare servizio sanitario pubblico), ma resta il fatto che in Francia la presenza dello stato è significativamente più importante che nel Regno Unito e offre maggiori protezioni ai lavoratori (ma determina anche un tasso di disoccupazione quasi doppio rispetto a quello britannico).

La Francia di oggi è erede di una storia grandiosa e unica, per quanto profondamente intrecciata con quella del paese situato sull’altra sponda della Manica. Per la Francia, questa storia è rivoluzionaria, espansiva, eccezionale ma allo stesso tempo dolorosa, soprattutto quando si parla della vergogna del collaborazionismo durante la seconda guerra mondiale. Anche la memoria collettiva del Regno Unito è molto specifica, ma spesso è definita dal conflitto con la Francia. Anch’esso ex potenza imperiale, il Regno Unito si considera paladino del gradualismo riformista a scapito della rivoluzione e delle libertà individuali a scapito dei diritti astratti, nonché erede della grande tradizione della resistenza al nazismo. Il modo in cui i due paesi vedono se stessi e il loro posto nella storia continua a plasmarne gli istinti anche oggi.

Un certo grado di separazione
Dall’acclamata serie televisiva Le bureau, che segue le vicissitudini quotidiane di alcuni agenti dei servizi segreti francesi, emerge una visione del mondo spiccatamente francese. Nella serie le spie francesi manifestano un profondo disprezzo e un’ossessione per la Cia, ritratta quasi come un’istituzione nemica. In una delle scene più significative, un agente francese si offre di lavorare in segreto per la Cia. Il suo reclutatore americano gli chiede se sia consapevole che sta tradendo il suo paese. E poi gli dice: “Stai passando dalla parte dell’occidente”.

Per i britannici una scena simile è difficile da capire, perché per loro è impossibile “passare” dalla parte degli statunitensi o “dell’occidente”. Da un punto di vista pratico gli Stati Uniti e il Regno Unito sono dalla stessa parte, strettamente legati dal loro “rapporto speciale”, dalla partnership dei Five Eyes, dalle guerre in Iraq e in Afghanistan e ora dall’Aukus. Anche il concetto di defezione, in questo contesto, è poco comprensibile per un britannico. La maggioranza della popolazione britannica considera istintivamente “l’occidente” come un’entità formata da Stati Uniti, Canada e gran parte dell’Europa occidentale, compresi Regno Unito e Francia. Parigi, invece, è convinta che esista un certo grado di separazione. Anche se fa parte dell’occidente, la Francia ritiene di essere esclusa dal nucleo centrale, cioè il club dei paesi anglofoni.

In un certo senso sia la visione del mondo del Regno Unito sia quella della Francia sono state plasmate dal modo in cui i due paesi sono usciti dalla seconda guerra mondiale: il Regno Unito affidandosi sempre di più alla “relazione speciale” con Washington e la Francia cercando di proteggere la sua indipendenza nazionale e il suo eccezionalismo. La differenza è che Londra è uscita da quell’esperienza con la consapevolezza del proprio eroismo (e le casse vuote), mentre la Francia ha dovuto affrontare l’eredità del collaborazionismo.

Nella sua biografia di Charles de Gaulle, Una certa idea della Francia, Julian Jackson scrive che il più grande merito del leader francese è stato quello di creare “il mito indispensabile” secondo cui la Francia si sarebbe unita nella resistenza contro l’occupante nazista sotto la leadership dello stesso de Gaulle, riuscendo poi a liberarsi da sola dal nazismo. Per ricostruire la propria dignità nazionale, la Francia doveva necessariamente raccontarsi questa storia. In tempo di pace il gaullismo è diventato la forza motrice per ripristinare la grandezza del paese, dal ritiro dalla Nato alla costruzione del proprio deterrente nucleare fino al tentativo di sviluppare una sfera d’influenza europea alternativa alle potenze della guerra fredda. Esiste un’evidente continuità nella politica estera e nella strategia francese. Oggi l’obiettivo dichiarato di Macron è costruire una maggiore “autonomia strategica” per l’Europa, in modo da permetterle di agire indipendentemente dagli Stati Uniti. Macron, tra l’altro, ha accusato la Nato di essere “in coma” e vorrebbe che l’Europa mettesse a punto una serie di politiche rispetto alla Russia e alla Cina distinte da quelle statunitensi.

Intransigenza ammirevole
La continuità dell’approccio britannico è altrettanto chiara, e si basa sulla collaborazione con gli Stati Uniti al fine di rafforzare il proprio potere. Per Johnson l’avvento di un’alleanza anglofona è una sorta di conferma dell’idea di Global Britain, dell’eccezionalismo britannico e della validità del progetto della Brexit. Di recente il primo ministro mi ha confidato di ritenere che il Regno Unito sia sempre stato “un po’ diverso, o meglio molto diverso” dalle altre potenze europee, e che questo abbia reso instabile la sua adesione all’Unione europea. Nella nostra conversazione, Johnson ha ricordato una cena di qualche anno fa con alcuni alti funzionari francesi a Parigi, dopo la traduzione in francese di uno dei suoi libri. “Parlavamo del ruolo del Regno Unito nell’Unione europea e sono rimasto di stucco quando uno dei presenti ha detto chiaramente: ‘Dovreste uscire’”.

Secondo Johnson il suo interlocutore era un “sincero anglofilo”, ma era convinto che il Regno Unito non potesse trovare il suo spazio nell’Unione. “Mi ha sorpreso profondamente. A volte c’è bisogno dell’opinione dall’esterno per capire cosa succede davvero nel tuo paese”.

Lo specchio deformante

Una battuta, che contiene più di un pizzico di verità, recita che il Regno Unito non ha lasciato l’Unione europea per tornare alla grandezza passata, ma per diventare più francese.

Tra le persone vicine a Johnson, in effetti, circola una certa ammirazione per quella tendenza francese che descrivono come la determinazione a difendere i propri interessi nazionali e ricercare incessantemente un vantaggio comparativo per il paese. In una parola, ammirano l’intransigenza francese. Definire Johnson come il primo premier “gaullista” del Regno Unito forse sarebbe un po’ troppo, ma sicuramente esistono delle somiglianze: nazionalismo, interventismo economico, attenzione per la sovranità nazionale. E poi l’eccezionalismo.

Johnson non è il primo leader britannico ad ammirare i princìpi del gaullismo. Quando gli chiesero se ritenesse De Gaulle un grande uomo, Churchill rispose: “È egoista, arrogante e crede di essere al centro del mondo. Quindi, certo, è un grande uomo”.

La passione per il gaullismo non è una novità nemmeno per l’attuale primo ministro britannico. In un’antologia dei suoi articoli del 2003, Johnson descriveva in termini entusiastici quello che considerava come l’efficace perseguimento da parte della Francia dei suoi interessi attraverso l’Unione europea. “La Comunità europea, purtroppo, è governata dalla Francia”. In particolare, Johnson elogiava i funzionari pubblici francesi e la loro “genialità scacchistica, che gli permette di pensare in prospettiva, nascondendo gli interessi nazionali francesi dietro la retorica del sogno europeo”.

Nella mente di Johnson, all’interno dell’Unione europea il Regno Unito è stato superato in astuzia dalla Francia. “Londra non dispone di un network da opporre a quello francese”, scriveva nello stesso articolo. “Con il loro timido ghigno e le loro scarpe con le suole di gomma, i funzionari britannici sono alla mercé della brutalità intellettuale” dei colleghi francesi. Non serve una grande immaginazione per capire che Johnson vorrebbe che il Regno Unito prendesse ispirazione dalla Francia. È proprio questo il punto essenziale della battuta, pronunciata a Washington il 22 settembre, in cui Johnson invitava Parigi a “darsi una regolata” a proposito delle continue critiche all’indirizzo dell’Aukus. Johnson è convinto che nei panni del Regno Unito la Francia avrebbe agito esattamente allo stesso modo.

Un alto funzionario di Downing street con cui ho parlato concorda sostanzialmente con questa valutazione. Johnson – sostiene – è convinto che il Regno Unito abbia l’occasione di definire il suo ruolo indipendentemente dall’Unione europea e di “essere più creativo e deciso nella scelta di chi vorrà appoggiare e in che modo”. “E se questo sembra un atteggiamento francese, pazienza”, ha aggiunto. Un suo collega, sempre britannico, ritiene invece che il paragone non sia del tutto corretto, ma ammette che esistono diversi parallelismi tra le strategie di Francia e Regno Unito, soprattutto nell’attenzione all’eccezionalismo nazionale. Come sostiene l’ex diplomatico Michel Duclos, le attuali tensioni tra Londra e Parigi possono essere interpretate come una sorta di “scontro tra gaullismi”.

I due paesi hanno adottato strategie diverse per rafforzare la loro posizione, la rilevanza e l’indipendenza, ma in entrambi i casi si tratta di un tentativo di conservare la propria grandezza. Per Parigi la visione è quella di una Francia globale sempre più forte attraverso l’Unione europea, mentre per Londra l’obiettivo è una Global Britain fuori dell’Europa unita. Entrambi gli approcci sono ragionevoli ed entrambi evidenziano chiari limiti rispetto al rapporto con il resto del continente. La Francia ha perso la leadership europea a beneficio della Germania, mentre il Regno Unito ha smesso di provare a guidare l’Europa e deve ancora stabilire che tipo di rapporto vuole avere con i suoi alleati più vicini.

Se si osservano le cose con un certo distacco, è facile riconoscere che tra Regno Unito e Francia le similitudini sono tante quante le differenze. Lo specchio attraverso il quale i due paesi si osservano a vicenda ha proiettato a lungo l’immagine che ognuno voleva vedere di sé, oscurando la realtà delle sfide che entrambi devono affrontare.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

Questo articolo è uscito sul mensile statunitense The Atlantic.

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