09 giugno 2017 17:15

Il primo ministro indiano Narendra Modi ha firmato un nuovo provvedimento contro la macellazione dei bovini e il consumo di carne di manzo (legge del 2017 sulla prevenzione della crudeltà sugli animali e sulla regolamentazione del mercato del bestiame). È improbabile che queste norme siano state ideate per proteggere gli animali, perché anche quella che le ha precedute, risalente al 1960, consentiva la macellazione non crudele di animali a fini alimentari. Le nuove norme sono in contrasto con la legge originale, e lo sono per motivi che niente hanno a che vedere con l’etica del benessere animale.

Il provvedimento è giunto alla vigilia del ramadan, il mese sacro dei musulmani. Le famiglie musulmane che digiunano durante il giorno spesso mangiano la carne di sera. Tenuto conto dell’atteggiamento di questo governo e dell’organizzazione che l’ha generato – il movimento fascista Rashtriya swayamsevak sangh (Rss) – è probabile che il provvedimento sia stato emanato in questo periodo per mandare un messaggio ai 120 milioni di musulmani indiani.

Ma, come afferma il giornalista indiano Palagummi Sainath, la maggioranza degli indiani non ha alcun problema a consumare carne di manzo o di altro tipo. Uno sguardo all’ultimo censimento permette di dire che più del 42 per cento della popolazione indiana è composto da dalit, musulmani, adivasi, cristiani e sikh. Nessuno di questi gruppi ha problemi particolari con il consumo di carne, e alcuni basano la loro dieta sulla carne di manzo. Se si aggiungono le decine di milioni di indù in stati come il Kerala, Goa e Manipur, che mangiano la carne di manzo, la percentuale cresce fino a coprire metà della popolazione. “Sappiamo poco della carne di manzo e del suo ruolo nella nostra società”, mi dice Sainath.

Impatti diversi
Il provvedimento di Modi non riguarderà solo chi mangia la carne di manzo, ma avrà un impatto negativo anche sull’industria del pellame e sui produttori di carne (che non riforniscono solo il mercato interno, ma anche quello estero). L’industria del pellame ha un valore stimato di 17,8 miliardi di dollari, provvede quasi per intero al settore calzaturiero interno e fornisce materie prime all’industria farmaceutica.

Il bando sulla carne di manzo, già effettivo in diversi stati, ha avuto un impatto anche sul bestiame. I contadini non vogliono più allevare bovini, perché temono di non poterli più rivendere quando gli animali saranno invecchiati e dal censimento del bestiame emerge che gli stati dove è vietato macellare le vacche hanno registrato un declino del numero di capi. Altrove, invece, il numero è rimasto lo stesso o è aumentato. Come mi ha detto Sainath, “il divieto di macellazione delle vacche danneggia le vacche”.

Sainath sa molte cose sulle vacche. Studia da trent’anni l’impatto sociale dei cambiamenti nell’India rurale. Nel suo Everybody loves a good drought (1996), Sainath racconta tra l’altro come gli specialisti di sviluppo rurale abbiano cercato di importare vacche straniere per sostituire quelle indiane nel distretto di Kalahandi, nello stato di Odisha. Nel tentativo di migliorare la situazione nelle aree rurali, questi specialisti benintenzionati ma illusi hanno castrato i tori khariar locali, lasciando gli abitanti del posto in condizioni ben più gravi di prima. “Ho cinque vacche e compro ogni giorno il latte al mercato”, ha raccontato Bishwamber Joshi a Sainath.

Di rado in India ci si è preoccupati delle vacche, dei tori e dei bufali. Perfino quei settori della destra oltranzista che vogliono mostrare la loro pietà nei confronti della vacca spesso non sanno quello che fanno. I ricoveri per le vacche sottratte alla macellazione perché non producono più latte sono spesso gestiti in modo miserevole e sono frequenti le notizie di animali che muoiono come mosche in questi ricoveri (gaushalas).

Nell’ultimo anno i gruppi di vigilanti in difesa delle vacche hanno linciato persone sospettate di voler portare gli animali al macello. La violenza contro questi uomini e questi donne, spesso musulmani o dalit, è stata ripresa anche con i cellulari. All’inizio l’opinione pubblica ne è rimasta colpita, ma adesso, come spesso accade con questo genere di violenza, non mostra più repulsione. Nel frattempo, di quelle vacche condotte al mercato o al mattatoio si sono perse le tracce. Che ne è stato di loro? Non importa. La cosa rilevante è che gli autori delle violenze si concentrano più su questi uomini e su queste donne vulnerabili che su quello che in teoria dovrebbe essere il centro della loro attenzione, ossia la vacca.

La decisione del governo di perorare il bando sulla carne di manzo non fa che incoraggiare le violenze dei vigilanti, dimostra che il governo è dalla loro parte e non considera le loro azioni contrarie alle norme di una società democratica.

L’appello dal Kerala
Dal Kerala, dove il governo del Fronte democratico di sinistra ha appena compiuto un anno, il governatore Pinarayi Vijayan ha scritto una lettera al primo ministro indiano. Vijayan, leader del Partito comunista indiano-marxista, ha postato la lettera sulla sua pagina Facebook. La carne, ha scritto Vijayan “è la principale fonte di proteine per milioni di poveri e di gente comune in questo paese”, in cui 780 milioni di persone conducono una vita di stenti. “Nel nostro paese consumano la carne persone di tutte le fedi, non solo le minoranze. Quando il divieto entrerà in vigore”, ha proseguito, “non solo priverà queste persone di un nutrimento adeguato, ma l’industria del pellame perderà la sua materia prima”. Questi provvedimenti “sono una sfida al nostro pluralismo, vera essenza del nostro paese”.

Gli attivisti di sinistra, guidati dalla Federazione studentesca dell’India (Sfi), hanno organizzato delle sagre della carne di manzo che è stata cucinata e distribuita in pubblico. In Kerala queste feste si sono svolte in modo per lo più pacifico. A Bangalore l’estrema destra ha sfidato gli studenti che sono stati tutti quanti arrestati. A Chennai uno studente, Sooraj, è stato picchiato dai sostenitori dell’estrema destra all’Indian institute of technology (Madras).

Il segretario dell’Sfi per lo stato del Kerala, M. Vijin, ha dichiarato che il governo “dovrebbe preoccuparsi di capire se la popolazione mangia a sufficienza. O pensano di usare questo provvedimento per cancellare la povertà dai villaggi indiani?”. Parla del sistema agricolo impoverito del paese e dei gravi problemi legati alla malnutrizione. Vijin però si preoccupa anche dei diritti delle persone e del crescente potere dei vigilanti. “Non permetteremo a questo fascismo di invadere le nostre cucine”, afferma Vijin.

(Traduzione di Giusy Muzzopappa)

Questo articolo è uscito su Alternet.

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it