02 gennaio 2019 09:29

Nelle sei ore di auto tra New York e una piccola località di frontiera, la studente iraniana Shirin Estahbanati ha pianto al pensiero d’incontrare suo padre per la prima volta in quasi tre anni. L’uomo ha avuto un infarto, ma lei non ha avuto il coraggio di uscire dagli Stati Uniti per andare a dargli conforto.

Mentre si spostava verso nord, continuava a preoccuparsi. E se avesse preso l’uscita sbagliata e si fosse trovata oltre il confine tra gli Stati Uniti e il Canada?

Estahbanati, come molti studenti iraniani che vivono negli Stati Uniti, ha un visto a ingresso singolo e se esce dal paese rischia di non poterci rientrare. I suoi genitori, cittadini iraniani, non possono andare a trovarla negli Stati Uniti a causa del divieto di ingresso (travel ban) imposto dal presidente Donald Trump a chi proviene Iran, Libia, Somalia, Sudan, Siria e Yemen. Per questo doveva fare attenzione all’uscita giusta per la sua destinazione: la biblioteca pubblica e il teatro dell’opera Haskell.

Insolito teatro di incontri
Estahbanati e la sua famiglia avevano deciso di vedersi verso le nove del mattino nella biblioteca che, a causa di un’anomalia storica, si trova sul confine tra gli Stati Uniti e il Canada, e oggi è diventata l’insolito teatro d’incontri commoventi tra persone separate dalle politiche migratorie dell’attuale amministrazione statunitense.

Shirin ha parcheggiato la sua auto e, con un misto di emozione e ansia, è andata a piedi verso l’ingresso dell’edificio vittoriano. Ma due ore dopo i suoi genitori e sua sorella ancora non si vedevano sul lato canadese. E sua sorella non rispondeva al telefono. Alla fine, eccoli. Il loro dispositivo gps, disturbato da alcuni edifici, li aveva indirizzati al varco d’ingresso ufficiale negli Stati Uniti, ma gli agenti di frontiera statunitensi li avevano fermati perché erano senza visti. Dopo circa due ore, sono stati liberati e hanno potuto riunirsi con Estahbanati nella biblioteca. Quando si sono abbracciati, il padre sembrava rimpicciolito. L’uomo ha inspirato mentre abbracciava la figlia. “Mi è mancato il tuo profumo”, le ha detto.

Un iraniano saluta la madre nella biblioteca Haskell, 3 novembre 2018. (Yeganeh Torbati, Reuters/Contrasto)

Quest’anno, mentre le famiglie migranti provenienti dall’America Latina finivano separate alla frontiera meridionale degli Stati Uniti, una realtà più sfumata è emersa alla frontiera settentrionale con il Canada, dove decine di famiglie iraniane si sono incontrate nella biblioteca Haskell. Spinte dal passaparola e da alcuni post sui social network, hanno intrapreso viaggi insidiosi e costosi per raggiungere una zona grigia della geopolitica in questa biblioteca di frontiera, situata al contempo a Derby Line, nello stato del Vermont, e a Stanstead, in quello canadese del Québec.

Parecchi hanno dichiarato di non aver avuto problemi con le autorità, ma altri hanno raccontato di essere stati fermati per ore dai funzionari di frontiera statunitensi, che hanno cercato d’impedirgli di entrare nella biblioteca, sostenendo che era proibito o intimandogli di limitare gli incontri a pochi minuti. Le autorità canadesi e statunitensi hanno minacciato di chiudere la biblioteca per evitare quesi incontri, ha dichiarato una dipendente.

“Questa è un’area neutrale, ma il governo degli Stati Uniti fa di tutto per ostacolarci”, ha spiegato Sina Dadsetan, un iraniano che vive in Canada e che ha raggiunto la biblioteca per vedere sua sorella lo stesso giorno in cui Estahbanati ha incontrato la sua famiglia.

L’amministrazione Trump sostiene che il divieto d’ingresso sia necessario per proteggere gli Stati Uniti perché i paesi in questione – Iraq, Libia, Corea del Nord, Somalia, Siria, Yemen e in misura minore Venezuela – non forniscono le informazioni necessarie a confermare se i loro cittadini sono o meno una minaccia, o che siano essi stessi una fonte di minacce terroristiche. I funzionari dell’agenzia per la protezione dei confini e le dogane degli Stati Uniti, da cui dipende la polizia di confine, hanno rifiutato di rilasciare dichiarazioni a proposito della biblioteca.

Agenti di frontiera canadesi controllano i passaporti dei cittadini iraniani che si incontrano nella biblioteca, 3 novembre 2018. (Yeganeh Torbati, Reuters/Contrasto)

Erique Gasse, portavoce dell’agenzia di pubblica sicurezza federale canadese, nega di aver minacciato di chiudere la biblioteca. “Non ci esprimiamo in questo modo”, ha affermato, “e non è così che ci comportiamo”.

Punti di contatto
Mahsa Izadmehr, una studente iraniana iscritta a un dottorato in ingegneria all’università dell’Illinois-Chicago, è stata vari anni senza poter vedere la sorella minore, che vive in Svizzera. Alla fine di settembre hanno potuto incontrarsi nella biblioteca. Ma mentre si stavano avvicinando al confine, segnato all’esterno della biblioteca da una serie di vasi di fiori, un agente della polizia di confine degli Stati Uniti, è improvvisamente uscito da un’automobile parcheggiata lì vicino. “Mi ha detto che da circa un mese avevano chiuso la casa, e non permettevano a nessuno d’incontrarsi qui”, ha raccontato Izadmehr. “Gli ho chiesto di darmi almeno il permesso di abbracciare mia sorella”.

L’agente gli ha dato il permesso, ma impedendo che si scambiassero i doni – vestiti, cioccolato svizzero e un orologio – e le ha tenute sotto stretta sorveglianza mentre parlavano dai lati opposti della schiera di vasi. Le sorelle alla fine sono entrate nella biblioteca quando un dipendente le ha invitate di visitarla, suscitando le proteste delle guardie di frontiera, secondo la testimonianza di Izadmehr che ha assistito al rimprovero.

Richard Creaser, uno dei tre consiglieri comunali di Derby Line, dice di capire perché gli incontri nella biblioteca possono rappresentare un “elemento di tensione” per gli agenti della polizia di confine, poiché gli iraniani devono calpestare il suolo degli Stati Uniti prima di entrarvi. La corte suprema ha convalidato il divieto d’ingresso di Trump dopo una lunga battaglia legale, e gli iraniani sono forse quelli più colpiti perché tanti studiano negli Stati Uniti e provengono da famiglie che possono permettersi viaggi all’estero.

Testimonianza di un tempo passato
Sina Dadsetan e sua sorella calcolano che la loro famiglia abbia speso più di 1.600 dollari per il loro incontro di due giorni ad Haskell, una cifra che non include il costo del biglietto aereo dall’Iran per la loro famiglia, il tutto per trascorrere circa dieci ore insieme. La biblioteca è soggetta alla pressione delle autorità perché, nonostante l’edificio condivida il territorio statunitense e canadese, il suo ingresso si trova sul versante statunitense. I funzionari degli Stati Uniti permettono al personale e ai visitatori provenienti dal Canada di percorrere alcuni metri in territorio statunitense senza dover passare dalla porta di accesso ufficiale.

“Spesso ci sono discussioni con i federali canadesi o con i funzionari di sicurezza degli Stati Uniti”, ha spiegato il capo bibliotecario Joel Kerr in una breve intervista, concessa a inizio novembre in una giornata in cui due famiglie iraniane si sono ritrovate nella libreria. “Perlopiù ci intimidiscono e minacciano di farci chiudere”.

La biblioteca pubblica e il teatro dell’opera Haskell, 3 novembre 2018. (Yeganeh Torbati, Reuters/Contrasto)

La biblioteca è la testimonianza di un tempo in cui statunitensi e canadesi, dicono i residenti, potevano attraversare il confine senza pensarci o salutare gli agenti di frontiera. È il dono lasciato all’inizio del novecento da una famiglia del posto alle comunità canadesi e statunitensi. “Siamo fieri di avere una biblioteca con una sola porta d’ingresso”, ha spiegato Susan Granfors, che ha fatto parte della direzione della biblioteca. “Qui non serve un passaporto. Io parcheggio nel mio lato, tu parcheggi nel tuo, ma entrambi entreremo dalla stessa porta”.

Ma dopo gli attentati dell’11 settembre 2001 i controlli al confine nord si sono intensificati e la presenza della polizia in zona oggi è subito visibile. Eppure dentro l’edificio, decorato con pannelli di legno, finestre di vetro colorato e, sul lato canadese, una testa d’alce, continuano a prevalere le vecchie abitudini. Lettori e personale attraversano liberamente il confine internazionale, segnato da un’esile e sbiadita linea nera che si estende per tutta la stanza di lettura dei bambini, decorata con colori squillanti, e per il corridoio principale.

È difficile sapere esattamente quante famiglie si siano incontrate nella biblioteca, ma un libro delle firme posto vicino all’ingresso contiene 12 nomi di chiara origine iraniana tra marzo e novembre. Chi ha un legame forte con la biblioteca è riluttante a parlare di queste visite, perché teme che troppa pubblicità porti qui più famiglie, faccia aumentare la pressione delle autorità, o entrambe le cose.

Kerr, il bibliotecario, spiega di aver chiesto un incontro tra i responsabili della biblioteca e le autorità di entrambi i paesi per parlare di come affrontare la questione delle visite. “Non vogliamo necessariamente interrompere la cosa, ma abbiamo bisogno di controllarla in qualche modo, se non vogliamo chiudere”, ha detto Kerr. “Di fatto la cosa è solo tollerata da entrambi i paesi; tecnicamente, non dovrebbe essere consentita”.

Un sabato d’inizio novembre, due famiglie iraniane si sono incontrate nella biblioteca, conversando nelle due sale lettura. Le normali attività della biblioteca sono proseguite in mezzo lacrime e abbracci: genitori e bambini entravano e uscivano per restituire libri e passare in rassegna gli scaffali, mentre alcuni adolescenti accedevano a internet dai computer della biblioteca o attingevano alla sua collezione di dvd.

Quasi nessun iraniano si è reso conto dei cartelli, in francese e in inglese, che, per ordine della direzione, sostenevano che gli “incontri familiari non sono consentiti”. A quanto dice Kerr, i cartelli erano comparsi solo la settimana precedente.

(Traduzione di Federico Ferrone)

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