13 luglio 2015 12:38

Le autorità del tribunale militare di Ofer, in Israele, mi permettono di tenere la macchina fotografica. Però non posso scattare foto durante l’udienza né ritrarre i giudici, il giovane procuratore e i soldati e le guardie che entrano ed escono dalla sala.

Sono qui per seguire il caso di un ragazzo accusato di aver aggredito un poliziotto mentre l’amministrazione “civile” israeliana demoliva un palo dell’elettricità nel suo villaggio beduino. Il ragazzo e suo padre sostengono l’esatto contrario. Secondo loro è stato il poliziotto ad aggredire il padre, che stava cercando di spiegare che il palo non poteva essere demolito in attesa di una sentenza dell’alta corte. Il ragazzo sarebbe intervenuto solo per difendere il padre.

Un altro giudice lo aveva lasciato in libertà in attesa del processo, ma la procura ha presentato appello contro la decisione. Io sono in tribunale in attesa della nuova decisione, ma a quanto pare bisognerà aspettare qualche giorno.

Poche ore prima, il tribunale ha discusso in appello il ricorso contro la scarcerazione di un avvocato, accusato di aver consegnato illegalmente un telefono cellulare a un detenuto. La moglie dell’avvocato voleva sedersi su una panca di fronte a lui. “È vietato”, le ha detto una guardia. “In base a quale legge?”, ha ribattuto l’avvocato. “Quella che mi costringe a stare seduto su panche di ferro quando mi portano da una prigione all’altra? Quella che mi ha tenuto in prigione per cinque mesi, senza alcuna prova?”.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

Questo articolo è stato pubblicato il 9 luglio 2015 a pagina 27 di Internazionale, con il titolo “Una mattina al tribunale militare”. Compra questo numero | Abbonati

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