23 novembre 2015 12:34

La cantina Settesoli di Menfi è una grandissima cooperativa vinicola, con 50 milioni di fatturato, il 60 per cento del quale proviene dalle esportazioni. Il suo presidente sta provando da più di un anno a sponsorizzare il parco archeologico di Selinunte, ma non c’è verso.

Qual è il problema? Manca un regolamento regionale (promesso lo scorso settembre, ma ancora non pervenuto) che permetta agli ineffabili burocrati della regione Sicilia di accettare sia un primo contributo di cinquantamila euro, sia uno successivo, dieci volte più consistente. La storia, che è surreale, rimbalza sui giornali (qui il Corriere della Sera. Qui il Sole 24Ore).

Promessa di aiuto

Sponsor è una delle molte parole latine (come tutor, monitor, deficit, raptus, status eccetera) che usiamo quotidianamente, spesso senza riconoscerne l’origine. Viene dal verbo spondeo (promettere solennemente): dunque sponsor è chi fa una promessa solenne. Oggi la parola indica chi si impegna a finanziare un evento, un’attività, una persona o un’organizzazione a fronte di un ritorno pubblicitario.

In Italia le prime sponsorizzazioni risalgono agli anni cinquanta e riguardano soprattutto il calcio. Ancora oggi le aziende, solo per mettere il loro nome sulle maglie dei calciatori della serie A (e infatti sono definite sponsor di maglia) spendono più di 92 milioni di euro.

Le sponsorizzazioni di carattere culturale si affermano in tempi più recenti, come ulteriore strumento per aumentare il valore intangibile dell’impresa consolidandone la reputazione e facendole guadagnare la benevolenza (goodwill) del pubblico.

Aiutare la cultura del nostro paese è decisamente più difficile che aiutare il calcio

L’International event Group (Ieg) di Chicago dice che nel mondo, dal 1990 a oggi, le sponsorizzazioni non hanno mai smesso di crescere. In Italia, secondo l’ultima edizione che riesco a recuperare dell’indagine Il futuro della sponsorizzazione condotta da StageUp e Ipsos, la spesa per le sponsorizzazioni dal 2008 al 2013 si è invece ridotta di un terzo, passando dai 1.795 milioni di euro spesi nel 2008 ai 1.195 spesi nel 2013.

Il settore cultura, arte e spettacolo, che comunque vale solo il 13,3 per cento del totale, appare invece in controtendenza, soprattutto grazie a Expo. E infatti nel 2015 il padiglione Italia prende, in sponsorizzazioni, 60 milioni.

Ma forse il caso Settesoli ci dice che, anche per le imprese che hanno le migliori intenzioni, aiutare la cultura del nostro paese è decisamente più difficile che aiutare il calcio. Vitalba Azzollini, autrice del rapporto Fare cultura è un’impresa, arriva a parlare, nelle conclusioni e dopo 40 pagine di intricati rimandi legislativi, di “ipertrofia regolatoria” e di “approccio normativo ostile”.

Far incontrare domanda e offerta

Forse può semplificare le cose una recentissima iniziativa della Utenti pubblicitari associati (Upa), l’associazione che dal 1948 raccoglie le aziende che investono in pubblicità in Italia. Mi sembra una buona idea, interessante per molti e utile per il paese. Così vado a farmi spiegare bene di che si tratta dalla direttrice generale, Giovanna Maggioni.

È un portale. Si chiama upaperlacultura ed è attivo da una ventina di giorni. Ha l’obiettivo di far incontrare in modo semplice e diretto le associazioni e gli enti culturali che cercano sponsorizzazioni e le imprese che potrebbero offrirle, dice Maggioni.

Poiché vanno presentati con buon anticipo, enti e associazioni si abituano a formulare progetti ben strutturati

Ecco come funziona: enti e associazioni inseriscono il loro progetto nel portale descrivendolo in una scheda che prevede tutte le informazioni indispensabili. Upa vaglia le proposte e, se sono convincenti, le pubblica. Fino a oggi ne sono già arrivate una cinquantina tra archeologia, architettura, libri, cinema, musica, teatro; sia piccoli progetti da duemila euro, sia grandi iniziative da centinaia di migliaia di euro, che possono avere più di uno sponsor.

Ogni settimana, Upa comunica i nuovi inserimenti alle 400 aziende associate. Così, anche grandi imprese nazionali che hanno specifiche esigenze territoriali possono facilmente entrare in contatto con proposte degne d’attenzione perché affini alle loro strategie di sviluppo, e altrimenti quasi impossibili da intercettare.

E, poiché i progetti vanno presentati con buon anticipo, anche enti e associazioni si abituano a formulare proposte ben strutturate, in tempi utili e non all’ultimo momento, e a ragionare in termini progettuali.

L’altra cosa interessante è che in molti casi le aziende possono diventare partner, contribuendo allo sviluppo delle iniziative non solo sotto il profilo economico. Upa sta lavorando con il ministero per estendere anche alle sponsorizzazioni i benefici dell’artbonus, conclude Maggioni.

Mi auguro che molti progetti siano pubblicati. Che molte aziende trovino quello giusto. E, accidenti, che siano pubblicati molti più progetti per il sud di quanti non ce ne sono ora.

Così, magari, le iniziative culturali nel nostro paese riusciranno a procurarsi qualche risorsa in più. Magari le imprese ci prendono gusto. E magari perfino quei cinquantamila euro di Settesoli trovano una collocazione degna. Insomma: passate parola.

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