“Chi di noi può resistere alla tentazione di sentirsi indispensabile?”, scrive Margaret Atwood. È una bella domanda, ed è una domanda maliziosa.

“Sentirsi indispensabili per la propria azienda è una grandiosa combinazione di euforia e di sicurezza”, afferma Lolly Daskal, senza alcuna malizia, su Inc.com. Che poi elenca 12 modi per rendersi indispensabili: dall’aiutare gli altri senza aspettarsi niente in cambio, al dare sempre il meglio, all’essere aperti e adattabili, all’offrire sempre informazioni e soluzioni ai colleghi, all’essere onesti, al lavorare più di quanto è richiesto dal ruolo.

Ovviamente non funziona così: tra rendersi utili all’azienda aderendo perfettamente alle sue logiche e risultarle indispensabili c’è una gran differenza. Sono un po’ più astute le dritte contenute in un articolo di Forbes sul medesimo tema.

Per esempio: fai il lavoro che conta. Monopolizza una competenza speciale. Monopolizza una relazione importante. Padroneggia una lingua in più, sia essa il cinese o l’html. Migliora continuamente le tue competenze di comunicazione orale e scritta. E così via.

La stessa tentazione
La differenza tra i due approcci dovrebbe risultare più che chiara: la logica di Inc.com riguarda l’aumentare quantità e qualità delle prestazioni offerte, la più sottile logica di Forbes riguarda il poter offrire anche prestazioni diverse, nuove o esclusive, e di valore maggiore.

Ma la tentazione dell’indispensabilità è la stessa, e la cosa più rilevante sta scritta nelle ultime righe dell’articolo di Forbes: è un’illusione pensare di potersi rendere (o di poter essere) indispensabili. Nessuno lo è davvero.

C’è un ulteriore elemento che dovrebbe dissuadere chiunque dal lanciarsi nella missione impossibile di rendersi indispensabile: spesso a ritenersi tali sono proprio le persone più incapaci. Ma questo rimanda all’effetto Dunning-Kruger (il fatto che gli incompetenti tendono sempre a sovrastimare le proprie capacità e il proprio ruolo) e ci porterebbe a tutto un altro discorso.

Le persone tendono a ricordare meglio il proprio contributo mentre tendono a sottovalutare o a dimenticare quello altrui

Torno al punto, elencando alcuni sinonimi di indispensabile: necessario, essenziale, fondamentale, imprescindibile, irrinunciabile. E ancora: determinante, sostanziale, importante, basilare, cruciale.

Bene: siamo davvero convinti che tutto ciò possa corrispondere a un singolo essere umano?

A dirci che tuttavia succede proprio così, e a spiegare come mai, è una remota (risale al 1979) e citatissima ricerca dell’università di Waterloo, in Canada, che rileva la presenza delle medesime dinamiche in gruppi assai diversi: in sostanza, le persone tendono sempre a sovrastimare il proprio ruolo e i propri compiti, ricordano meglio il proprio contributo mentre tendono a sottovalutare o a dimenticare quello altrui, attribuiscono molto più facilmente a se stesse il merito delle vittorie che la colpa delle sconfitte.

Cruciali o indispensabili
Questo capita sia che si tratti di studenti che devono contribuire alla discussione nel corso di un seminario, sia che si tratti persone che stanno svolgendo un lavoro di gruppo, sia che si tratti di giocatori di pallacanestro, o di mariti e mogli che condividono la gestione della casa.

Dal ritenere cruciale il proprio contributo al fantasticare sulla propria indispensabilità il passo è breve. D’altra parte, la fantasia di potersi considerare indispensabili (necessari, fondamentali eccetera) in azienda serve a placare l’ansia, a esorcizzare la paura di restare senza lavoro e a dare un senso e un fine a quel che si fa.

La simmetrica fantasia dell’essere indispensabili nella propria sfera familiare e di relazione ha meccanismi che forse sono piuttosto simili: il desiderio di sentirsi al centro del sistema degli affetti, il bisogno di sentirsi amati per sempre e, sì, anche il bisogno di dare un senso alla gran fatica che una relazione può richiedere.

Tuttavia la soluzione del rendersi indispensabili, se anche fosse realmente praticabile, risulterebbe impropria perché proiettata in una logica che ha più a che fare con il dare e l’avere che con l’essere, e con l’essere insieme. E frutto di un pensiero rivolto non ai sentimenti ma al ruolo inteso come mestiere (di coniuge, di genitore, di parente, di amico), in cui si paga un maggiore tributo di affetto a chi offre prestazioni migliori.

Forse, tutto sommato, per resistere alla tentazione di sentirsi indispensabili basta pensarci un po’ su. E rendersi conto che già essere brave persone e fare onestamente del proprio meglio per essere utili e amabili è più che apprezzabile. E non è facile, proprio per niente.

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