09 marzo 2018 11:18

Negli Stati Uniti è andato tutto alla grande. La destra americana, Trump in testa, lo ha accolto come uno dei suoi. Ora però il premier israeliano Benjamin Netanyahu è tornato a casa, e le cose si fanno più difficili.

Per sfuggire alle inchieste giudiziarie, tre dei suoi più stretti collaboratori hanno testimoniato contro di lui nei diversi casi che lo riguardano e di cui ogni israeliano conosce ormai la lista.

Per cominciare ci sono i piaceri della vita – sigari, grandi vini e cene eleganti – che Netanyahu e la sua famiglia si sarebbero concessi a spese dei contribuenti o dei ricchi amici che in cambio, naturalmente, si aspettavano un occhio di riguardo da parte del primo ministro. La cifra totale ammonterebbe a circa trecentomila dollari, una grossa somma che però è trascurabile davanti ai veri scandali di stato (non ancora provati) come il tentativo di corruzione di un magistrato, l’incasso di commissioni su un contratto di armamenti e i negoziati con i proprietari di giornali, che avrebbero ottenuto grandi vantaggi commerciali in cambio di una copertura stampa favorevole.

Senza inquietudine
Dal 13 febbraio la polizia israeliana ha chiesto alla magistratura di incriminare Netanyahu in due dei casi che lo riguardano. Probabilmente seguiranno nuove rivelazioni, ma Bibi, come lo chiamano amici e avversari in Israele, non lascia trasparire la minima inquietudine.

Per il primo ministro si tratta solo di una persecuzione per farlo cadere. Netanyahu sostiene, con l’elettorato di destra che lo appoggia al 100 per cento, che la polizia e la magistratura sono nelle mani dei laburisti (fondatori dello stato) e che giudici, poliziotti e la sinistra un tempo egemone costituiscono un’élite che non ha mai accettato che la destra abbia assunto i comandi nel paese.

Netanyahu ha regnato su un deserto politico

Netanyahu legge i sondaggi. Tutto lascia pensare che la sua popolarità sia intatta e che in caso di elezioni anticipate il suo Likud guadagnerebbe altri voti e dunque seggi. Politicamente parlando, il primo ministro sa di essere forte, anche perché la sinistra vive due crisi contemporanee, quella che condivide con tutte le socialdemocrazie occidentali e quella, specificamente israeliana, scatenata dal fallimento del processo di pace avviato dai laburisti a Oslo.

Primo ministro ormai da nove anni dopo un primo mandato che gli ha permesso di liberalizzare l’economia israeliana alla fine del secolo scorso, Netanyahu ha regnato su un deserto politico. La sua tranquillità è alimentata anche dalla situazione economica positiva di Israele. Che decida o meno di convocare elezioni anticipate, il primo ministro si prepara a opporre la sua legittimità politica alla legge, la sua popolarità alla giustizia. È un braccio di ferro che fa male alla democrazia.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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