11 marzo 2017 12:10

Il Cairo alla fine degli anni trenta era una grande capitale, vitale e cosmopolita: c’erano nutrite comunità di italiani, francesi, inglesi, greci, siriani e libanesi; uomini d’affari, commercianti, militari ma anche intellettuali, artisti e poeti. L’Egitto era ancora un protettorato britannico e con l’avvicinarsi della seconda guerra mondiale si riempiva sempre di più di militari inglesi. Al milione e mezzo di abitanti del Cairo, nel 1940 si sono aggiunti 35mila soldati britannici. L’anno dopo erano già 140mila. In città però non arrivavano solo i militari: molti intellettuali, attivisti e agitatori, soprattutto comunisti e anarchici, trovavano nella metropoli nordafricana un rifugio dai totalitarismi europei.

Mentre l’Europa era in guerra, al Cairo si respirava un’aria di grande eccitazione e di possibilità: l’Egitto sembrava un paese straordinariamente in bilico tra un’antichità ancestrale e un modernismo esplosivo e antagonista. Non è un caso che proprio nella capitale egiziana si fosse formato, nel 1938, un gruppetto di artisti e letterati surrealisti. Il gruppo Art et Liberté era guidato da Georges Henein (1914-1973), un letterato, figlio di un diplomatico egiziano copto e di un’italoegiziana. A Parigi Henein aveva conosciuto André Breton, il poeta animatore del primo manifesto del surrealismo (1924), ma riteneva che in Europa la poetica del surrealismo si fosse trasformata in un canone un po’ stanco e svuotato del senso politico e rivoluzionario delle origini. Henein invece voleva fare di Art et Liberté un gruppo autenticamente rivoluzionario e capace, dal Cairo, di contrastare guerra, fascismo, capitalismo e borghesia.

La mostra Art et Liberté. Ruptura, guerra y surrealismo in Egipto (1938-1948), al museo Reina Sofia di Madrid fino al 28 maggio, ricostruisce la storia di questo gruppo di artisti che ha voluto radicalizzare le istanze surrealiste durante la guerra, renderle pratica rivoluzionaria e spargerle come un virus, dal Cairo, fino all’America Latina e al Giappone, grazie a una rete intercontinentale di contatti e di simpatizzanti.

Contro fascismo e nazismo
Fin dal titolo del loro manifesto del 1938, Lunga vita all’arte degenerata, si capisce che Henein e i suoi compagni prendono di mira fascismo e nazismo in ogni loro forma. Partono proprio dall’Entartete Kunst, l’arte d’vanaguardia condannata dai nazisti in Germania, per farne un’arma appuntita da conficcare nel cuore dei fascisti. Filippo Tommaso Marinetti, fascista, fondatore del futurismo e nato proprio ad Alessandria d’Egitto, aveva tenuto una conferenza al Cairo a marzo dello stesso anno. E il manifesto di Henein sembra proprio una reazione ai valori della “guerra come igiene del mondo” che Marinetti, inviato ufficiale in Egitto del governo di Mussolini, ha sbandierato in una città straripante di soldati. Una metropoli tanto millenaria quanto futurista, brulicante di luci, mezzi militari, cinema, teatri, varietà e bordelli.

Artisti e simpatizzanti del gruppo Art et Liberté, Il Cairo, 1945 circa. (Collezione Christophe Bouleau)

Le opere di Houssein Youssef Amin, Mayo, Anwar e Fouad Kamel, Ramses Younane e gli altri artisti di Art et Liberté partono proprio dagli stilemi dell’arte degenerata per creare il proprio alfabeto visivo. Anziché perdersi nella pratica della scrittura automatica e nell’esplorazione dell’inconscio come i surrealisti europei, gli artisti egiziani cercano, nei linguaggi visivi delle avanguardie, i segni più acuminati, violenti ed efficaci per trasformare la loro visione del reale in pratica rivoluzionaria.

Nelle opere degli esponenti di Art et Liberté le figure si deformano, gridano, digrignano i denti, flettono i muscoli

Le anatomie allungate delle bagnanti del Picasso degli anni venti perdono, nei lavori di Mayo, qualunque forma di sensualità o di gioco, per diventare corpi straziati, sofferenti, piegati ma mai spezzati, sempre pronti a risollevarsi. È il violento espressionismo di Guernica il punto di partenza iconografico di molti di loro: le figure si deformano, gridano, digrignano i denti, flettono muscoli. Henein ha coniato la formula di “realismo soggettivo” per descrivere la pratica di Art et Liberté: non una fuga dal reale dunque, ma una corsa disperata verso la realtà, per possederla, dominarla e sovvertirla.

Consapevolezza postcoloniale
La pittura di Art et Liberté è profondamente modernista. Non c’è traccia di accademismo, di esotismo o di orientalismo nel tratto deciso di questi artisti cosmopoliti ma già consapevolmente postcoloniali. I simboli dell’antico Egitto, che tanto hanno solleticato gli artisti più ermetici, dal cinquecento fino alle più recenti tendenze dell’afrofuturismo, non trovano spazio nell’immaginario di Art et Liberté. Sì, le tante donne nude rappresentate come se fossero un arco nel cielo richiamano il mito egizio di Nut, la madre-sorella-concubina di Osiride, diversi pezzi archeologici compaiono, totalmente decontestualizzati, nella fotografia surrealista di Étienne Sved, ma l’antico Egitto non esercita alcun fascino su questi artisti tutti proiettati verso un futuro rivoluzionario.

Il merito fondamentale di questa mostra è quello di mostrare quanto policentriche fossero le avanguardie artistiche del novecento. Gli stessi studiosi egiziani, a seconda del periodo storico o delle mode, hanno voluto vedere Art et Liberté o come una semplice imitazione delle avanguardie europee o come un genuino esempio di spirito egiziano. L’esposizione invece mostra che i surrealisti egiziani, da intellettuali rivoluzionari quali erano, avevano soprattutto a cuore l’internazionalismo. Non erano né vittime del colonialismo né nazionalisti: erano catalizzatori di una potente carica rivoluzionaria ed estetica che dal Cairo ha rimbalzato fino a New York, Santiago del Cile, Città del Messico e Tokyo.

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