05 settembre 2018 16:07

In genere, quando si mette male, mormoriamo: “Sono senza parole”. È un’espressione di grande interesse, sembra l’ultimo messaggio pronunciato prima della catastrofe dei linguaggi. In realtà non è così. Semplicemente ci accorgiamo di colpo che ciò che prima si teneva dentro una sintassi che padroneggiavamo, ora non si tiene più. Per esempio ordinavamo il mondo con parole classificate come di sinistra e oggi con quelle non riusciamo nemmeno a scambiare quattro chiacchiere al bar.

Cos’è successo? La storia è lunga, dura da parecchi decenni, è fatta di oggetti rotti e reincollati senza criterio, tanto per tirare pigramente avanti. Finché ci siamo resi conto che parlavamo al vento; o peggio, che era come se buttassimo fuori solo fiato. Così abbiamo stinto le parole più aggressive, ci siamo sbarazzati delle più abusate, abbiamo convenuto gravemente, a scadenze fisse, che certe formule collaudate di sinistra non comunicavano più e altre invece, che una volta consideravamo di destra, avevano una loro verità, era bene adottarle pronunciandole con toni vibrati e il cuore in mano.

Oggi c’è ancora chi insiste ad andare per questa via, immaginandosi che la vera differenza con la destra sia un’esibita buona educazione e qualche lacrima. La verità è che, di fronte ai disastri del mondo, siamo appunto senza parole. Cioè non sappiamo più dove sono le nostre.

Questa rubrica è uscita il 31 agosto 2018 nel numero 1271 di Internazionale, a pagina 14. Compra questo numero | Abbonati

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