Teresa Ciabatti, La più amata
Mondadori, 218 pagine, 18 euro

La più amata è Teresa Ciabatti, l’autrice di questa inquietante autofiction, un’inchiesta su una famiglia e sul potere occulto di una certa borghesia italiana negli ultimi decenni del novecento. È la più amata dal padre: “il professore”, primario dell’ospedale di Orbetello, famiglia di ricchi costruttori, uomo “buono” ma temuto, dalle conoscenze poco chiare, un massone. Un uomo con legami oscuri negli Stati Uniti e con un fratello che partecipa al golpe Borghese del 1970.

Crescendo, la bambina si rende conto che la considerazione di cui lei gode in città è dovuta unicamente al potere paterno. La madre, donna di spirito e medico anche lei, viene ridotta a inerme casalinga. Quando il mito del buon padre s’incrina, le conseguenze sono terribili: squilibri, anfetamina e litio. In breve, La più amata è la storia di una famiglia molto disturbata, proprio come lo era l’Italia impantanata nei mille misteri della P2. Le prime tre parti del romanzo funzionano a meraviglia.

La quarta parte, intitolata I sopravvissuti, delude un po’. C’è troppa prima persona e il conto delle cicatrici psicologiche finisce per sopraffare quella realtà parallela, un’Italia malata e prepotente, che dà spessore a questo coraggioso romanzo.

Questa rubrica è stata pubblicata il 31 marzo 2017 a pagina 88 di Internazionale. Compra questo numero| Abbonati

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