27 marzo 2020 12:42

Per il governo cinese l’epidemia di coronavirus è cominciata con un disastro comunicativo. Ma ora – mentre il numero di contagiati continua a scendere in Cina e a crescere negli Stati Uniti e in Europa – Pechino ha l’opportunità di riscrivere la narrazione globale. Il nuovo approccio del governo cinese consiste nel sottolineare l’efficacia delle misure radicali adottate dal Partito comunista per fermare il virus, mettendola in contrasto con la risposta caotica degli Stati Uniti e di gran parte dell’Europa.

Questa versione degli eventi è utile sia sul fronte interno sia al livello internazionale. Se Pechino riuscirà a imporla, gli effetti del coronavirus dureranno a lungo, anche dopo che sarà stato trovato un vaccino. L’idea che la Cina è in ascesa mentre l’occidente va verso un declino inesorabile sembra destinata a diffondersi, e questo rafforzerà i sostenitori dell’autoritarismo a discapito dei difensori della democrazia, sia in Cina sia nei paesi occidentali.

Un esito di questo tipo sembrava improbabile quando il virus ha cominciato a diffondersi in Cina. All’epoca lo scarso livello di igiene e sicurezza nei mercati cinesi e il maldestro tentativo delle autorità di nascondere le notizie avevano facilitato la diffusione incontrollata dell’epidemia. Gli Stati Uniti, l’Italia e altri paesi avevano cancellato i voli dalla Cina, alimentando la sensazione che il paese fosse ormai diventato un paria a livello internazionale.

Il cuore di un neonato
Eppure, anche in quella situazione, in Cina molti sostenitori del regime restavano convinti che il Partito comunista sarebbe uscito rafforzato dalla crisi. Alla fine di gennaio Eric Li, un commentatore politico nazionalista, mi ha confidato di essere sicuro che “la forza dello stato e la cultura collettiva, due caratteristiche uniche del sistema politico cinese”, avrebbero permesso al paese “di superare con successo la crisi”. All’epoca quella di Li mi era sembrata una tesi piuttosto debole, ma alla fine la Cina è riuscita davvero a isolare i sessanta milioni di abitanti della provincia di Hubei e a imporre limitazioni agli spostamenti di altre centinaia di milioni di persone. Per il momento la strategia sembra aver funzionato.

La macchina propagandistica cinese approfitta di questa svolta per coprire di elogi il presidente Xi Jinping

Nicholas Christakis, un medico che insegna all’università di Yale, negli Stati Uniti, ha elogiato la Cina per aver “ottenuto un risultato sorprendente sul piano della sanità pubblica”. Una volta che l’impatto del virus all’interno del paese si è ridotto, il governo cinese ha compiuto diversi gesti di solidarietà nei confronti del resto del mondo. Alcuni medici cinesi sono atterrati in Italia portando con loro 31 tonnellate di materiale sanitario d’emergenza, proprio quando gli italiani si stavano lamentando della scarsa collaborazione offerta dai paesi dell’Unione europea.

La macchina propagandistica cinese sta approfittando di questa svolta per coprire di elogi il presidente Xi Jinping e il sistema politico nazionale. Di recente il Renmin Ribao, quotidiano del Partito comunista, ha scritto che “la Cina dispone del coraggio e della lungimiranza necessari per affrontare l’emergenza, mentre gli Stati Uniti sono in difficoltà”. Secondo un articolo pubblicato dall’agenzia di stampa Xinhua la gestione di Xi dimostrerebbe addirittura che il presidente “ha il cuore puro come quello di un neonato”.

Questi panegirici sono grotteschi, ma è innegabile che la gestione del leader cinese sembra apprezzabile se confrontata con quella dell’amministrazione statunitense. Il presidente Donald Trump ha detto più volte che l’epidemia sarebbe scomparsa “come per miracolo” o che era soltanto il frutto di una macchinazione ordita dai suoi nemici.

Per i progressisti occidentali è facile ridicolizzare Trump. È molto più difficile, invece, riconoscere (e tantomeno risolvere) i difetti strutturali del sistema democratico statunitense, capace di portare una persona palesemente incompetente alla Casa Bianca. Il modello statunitense, inoltre, ha evidenziato un’ampia serie di carenze, a cominciare da un sistema sanitario pubblico inadeguato, che per molti giorni non è riuscito a fare test su larga scala. A conti fatti questo malfunzionamento politico potrebbe provocare migliaia di decessi evitabili.

È ancora presto per assegnare la vittoria ai regimi autoritari

L’Europa, nel frattempo, è finita al centro della pandemia. La lentezza della reazione del governo britannico e di altri stati dell’Unione europea dipende in parte da una scarsa lungimiranza, ma riflette anche le difficoltà dei sistemi democratici a mantenere per un lungo periodo limitazioni paragonabili a quelle decise da Pechino. Oggi in Spagna, in Italia e in Francia sono in vigore misure che limitano in modo estremo la libertà di movimento dei cittadini e mettono a dura prova le capacità amministrative e sociali delle democrazie europee.

In ogni caso è ancora troppo presto per assegnare la vittoria ai regimi autoritari. In Asia paesi democratici come Corea del Sud, Singapore e Taiwan sembrano aver arginato la diffusione del virus senza ricorrere all’isolamento totale, ma affidandosi ai test a tappeto e alla rapida imposizione del distanziamento sociale, provvedimenti che gli Stati Uniti e i paesi europei hanno forse adottato con eccessivo ritardo.

Inoltre il governo cinese deve ancora chiarire come il virus sia sfuggito al controllo nella fase iniziale dell’epidemia e su cosa succederà quando le limitazioni al movimento dei cittadini saranno allentate. La preoccupazione delle autorità cinesi davanti a questi interrogativi è evidenziata dalla scomparsa di alcune persone che avevano osato criticare la gestione della crisi messa in campo da Xi Jinping. Alcuni funzionari cinesi, inoltre, hanno manifestato la loro agitazione cercando di scaricare le colpe e suggerendo che il virus potrebbe essere arrivato dagli Stati Uniti. Questo genere di propaganda sembra superflua, anche perché la narrativa globale sul coronavirus sta già cambiando a vantaggio della Cina.

Naturalmente la situazione potrebbe ancora cambiare, perché gli eventi si susseguono a ritmo serrato. Ma al momento sembra che per la Cina il peggio sia passato, mentre in occidente l’epidemia è appena agli inizi. L’ultima crisi globale, il crollo finanziario del 2008, ha intaccato la fiducia dell’occidente e ha prodotto uno spostamento dell’asse politico ed economico mondiale verso la Cina. La crisi attuale potrebbe provocare un cambiamento molto più consistente, nella stessa direzione.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

Questo articolo è uscito sul quotidiano britannico Financial Times.

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