05 aprile 2017 15:55

Gentile bibliopatologo,
se ascolto uno scrittore presentare il suo romanzo, io so che quel romanzo poi non lo leggerò. Il problema è che non riuscirei a immaginare una voce e una faccia diverse da quelle dello scrittore o della scrittrice che sono andato ad ascoltare, e la cosa mi dà fastidio. Ma ci dev’essere qualche ragione più profonda, no? È per questo che mi rivolgo a lei.

– Iconoclasta

Caro Iconoclasta,
per tutto quel che riguarda presentazioni, festival, saloni del libro, premi letterari, reading, poetry slam, book party, certamina, colazioni con l’autore, merende con l’autore, cene con l’autore, spuntini di mezzanotte con l’autore e altre occasioni di varia mondanità cerco di attenermi – salvo eccezioni – a un monito vecchio di duemila anni del filosofo stoico Epitteto:

Non frequentare senza ragione, con tanta facilità, le pubbliche letture; e, quando vi assisti, mantieni la tua dignità, la tua fermezza, ma nel contempo senza risultare sgradevole.

Le deroghe al mio stoicismo sono state indotte di solito dalla presenza di un buffet, specie negli anni in cui il mio frigorifero non conteneva che scorze di parmigiano e formaggini cubici da cocktail. Quale miglior espediente, per foraggiarmi, di uno di quegli eventi enogastronomico-letterari dove si gozzoviglia e si brinda alla faccia dell’autore? Avevo anche immaginato una specie di rubrica dello scroccone culturale, con un’agenda settimanale degli appuntamenti dove rimediare un surrogato di cena. Ma a frigorifero pieno preferisco astenermi, per due motivi – uno superficiale, l’altro più profondo.

Primo: conoscere gli autori è un gioco a perdere, e la storia è piena di testimonianze di lettori devoti che si sono pentiti di aver voluto dare un volto e una voce ai libri più amati. Lasciando da parte la circostanza – che per ovvie ragioni statistiche è anche la più diffusa – di scrittori mediocri che presentano mediocremente romanzi mediocri, i casi sono due. O incontreremo oratori avvincenti, e allora è probabile che il loro romanzo non lo sia altrettanto (diffidare, sempre, dell’artista che sa parlare con troppa disinvoltura della propria opera!). Oppure patiremo conferenzieri scialbi, che come in un racconto alla Edgar Allan Poe hanno fatto trasmigrare il meglio dei loro spiriti vitali nel romanzo, tanto che accanto alla loro creatura di carta ci appaiono come pallidi e anemici ectoplasmi: non potranno che danneggiare l’opera, parlandone in pubblico.

Il secondo motivo per cui seguo Epitteto te lo presento sotto forma di indovinello zen: di chi è la voce che legge quando leggiamo un romanzo? Non parlo delle quadriglie narratologiche e semiotiche tra l’autore, il narratore, i personaggi e il lettore. Alludo proprio alla voce mentale che sentiamo risuonare nella lettura silenziosa. È la nostra voce? È l’eco di un’altra voce sconosciuta? È la voce di quelle “considerazioni fatte in sogno” di cui parlava T.S. Eliot? È uno spirito da cui siamo temporaneamente posseduti? È la voce di un super-io che ha preso domicilio nei piani alti della nostra mente fin dalla prima infanzia? Qualunque sia la tua risposta, è certo che la voce dell’autore in carne e ossa è un elemento di disturbo, un’intrusione nel più privato dei santuari, un’effrazione psichica. Questo è specialmente evidente quando incontriamo la descrizione di una scena erotica. Chi è quell’intruso nelle nostre fantasie, quel terzo incomodo tra noi e il libro? Ho provato, dietro sollecitazione di diversi amici, a leggere La separazione del maschio di Francesco Piccolo. Niente da fare: ogni volta che mi imbattevo in un amplesso non potevo fare a meno di immaginare la voce e le fattezze di Piccolo, al cui sex-appeal – per la limitatezza e la banalità delle mie inclinazioni erotiche – ho la sfortuna di non soccombere. Se l’autore fosse rimasto un nome e un cognome sulla copertina, mi sarei risparmiato queste disavventure.

Il consiglio che ti do è semplice: leggi prima il romanzo. Se è bello, stai alla larga dall’autore e segui il calendario dei suoi appuntamenti pubblici solo per evitare il rischio di incrociarlo (senza eccezioni, neppure per il più imperiale dei buffet). Se non è bello, puoi tutt’al più compiere qualche esercizio mentale, una scorciatoia per arrivare più rapidamente alla prima radice della bruttezza. Tempo fa ho fatto questo esperimento: ho letto un romanzo di Veltroni immaginando la voce di Veltroni; poi immaginando la voce di Corrado Guzzanti che imita Veltroni. È stato un trip psichedelico tutto sommato innocuo, e perfino istruttivo. Ieri invece ho avuto la sciagurata idea di leggere le prime pagine del romanzo di Michela Marzano con la voce di Michela Marzano. È stato un bad trip, e probabilmente mi sono bruciato parecchi neuroni. Scegli tu se correre questi rischi neurologici. Il mio compito di bibliopatologo finisce qui.

Il bibliopatologo risponde è una rubrica di posta sulle perversioni culturali. Se volete sottoporre i vostri casi, scrivete a g.vitiello@internazionale.it

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