17 dicembre 2020 13:30

Gentile bibliopatologo,
ho quarantanove anni, non sono più il lettore vorace che ero da giovane e da qualche tempo non ricordo più niente del poco che leggo. Non ricordo i titoli, i protagonisti, vagamente ho memoria della trama. Il massimo che posso dire è se un libro mi è piaciuto o meno. La cosa che mi preoccupa è che mi succede anche con i grandi classici che ho letto in età adulta: come si chiamava la moglie di Zeno Cosini, le cognate, l’amante? E a proposito, poi come andava a finire con l’amante? Mi pare di ricordare che ci fosse di mezzo uno psicanalista. Ecco, questa è la mia situazione. È grave?

-Lo Smemorato di San Benedetto del Tronto

Caro Smemorato,
so io di cosa hai bisogno: di una piccola dose di elleboro di Anticira. Sì, ma dove rimediarlo? Qui cominciano i problemi. Potrei dartene un po’ dalla mia scorta di spezie e di piante selvatiche, ma quando entro in cucina vedo davanti a me una fila impassibile di dispense chiuse, tutte bianche e tutte uguali. Cosa c’è dentro? Non ne ho idea. Torno dal supermercato, metto a posto la spesa, richiudo le ante e dopo cinque minuti già non so più cosa ho comprato. Di conseguenza faccio scadere tutto, anche i pelati, anche la frutta sciroppata, anche i legumi secchi. Tirando le somme: ho io l’elleboro che ti serve, ma non escludo che sia andato a male verso la prima metà del sedicesimo secolo.

Nastasic/Getty Images

Non è una data a caso. L’elleboro di Anticira è infatti la purga che il pedagogo Ponocrate somministra a Gargantua, che ha la testa imbottita di nozioni pedanti e di scolasticismi inutili. L’effetto è immediato, ci fa sapere Rabelais: uno starnuto e via, la mente di Gargantua si ritrova libera da tutta la spazzatura che la ostruiva. Obietterai che mi hai scritto per il problema opposto, che non soffri dell’eccesso della memoria ma della facilità esasperante dell’oblio. Ebbene, non è detto che sia un problema, e la sola cosa da cui devi sicuramente guarire è la disinvoltura nel diagnosticare disturbi che tali non sono. L’elleboro ti libererà in uno starnuto di tutta questa scienza medica abborracciata.

Sai perché non so cosa c’è nel mio frigorifero? Suggerimento: è la stessa ragione per cui tu sei incapace di raccontare la trama del libro che hai appena finito. Abbiamo una pessima memoria di richiamo tu e io, quella memoria attiva e volontaria che ci serve a estrarre le informazioni dal magazzino. Pensa, io spesso faccio scena muta anche quando mi chiedono il titolo dell’ultimo libro che ho letto, o addirittura di quello che sto leggendo. Siamo dunque dei colabrodo umani? Sì, ma il brodo non va perduto, perché sotto il colabrodo c’è una pentola più grande, e questa pentola è la memoria di riconoscimento, quella che ci fa ritrovare il noto nell’ignoto, e che convoca senza preavviso raduni di famiglia. Al rintocco di una lettura nuova, risponde l’eco di letture simili che credevamo di aver dimenticato, e che invece attendevano discretamente, nell’ombra, la prima occasione di rendersi utili.

Ne vuoi la prova? L’episodio di Rabelais sull’elleboro di Anticira l’avevo trovato quindici anni fa in Lete di Harald Weinrich; la distinzione tra memoria di richiamo e di riconoscimento era invece in una voce di un Dizionario della memoria e del ricordo che i miei genitori mi regalarono nel Natale del 2002. Pensavo di aver cancellato tutto di quelle letture. E invece, caro il mio Smemorato, erano lì che aspettavano la tua lettera.

Quanto a Svevo, non preoccuparti: le quattro sorelle Malfenti avevano tutte nomi con la stessa iniziale, e lo stesso Zeno le considerava più o meno intercambiabili.

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